Di fronte a delusione, stanchezza e ira, ci vediamo spinti a rompere relazioni, e senza rendercene conto spezziamo noi stessi...
Abbiamo sperimentato tutti la voglia di lasciare tutto e fuggire via. È forse per questo che l’appello appassionato di Gesù a rimanere, espresso nel Vangelo, mi fa pensare che l’impulso che porta le persone a voler partire fosse già iniziato nella prima comunità cristiana.
Vogliamo andarcene quando siamo delusi, quando vediamo che le cose non vanno come speravamo. Quando ci sentiamo esclusi, quando sentiamo di non aver più nulla da dare.
Vogliamo andar via quando siamo arrabbiati, quando affrontiamo l’ingiustizia. Quando siamo stanchi e niente ci entusiasma più.
La nostra epoca, come quella di Gesù, sembra offrire molti spunti per non rimanere: paura dell’impegno, confusione dei valori, volatilità delle cose, prepotenza al potere, intolleranza nelle relazioni, incapacità di ascoltare e di valorizzare le persone.
È un’epoca in cui lo spirito sembra essersi ritirato dalla Terra. È come se Gesù avesse lasciato gli strumenti del mestiere nelle nostre mani e se ne fosse andato.
Come se tutto dipendesse da noi e non ci fosse più un Dio che lotta con noi.
Un esempio evangelico di fuga

In questo Tempo di Pasqua, anche l’evangelista Luca ci ha presentato questa dinamica di delusione e fuga: i due discepoli di Emmaus.
Dopo tre giorni, rendendosi conto che le cose non andavano come speravano, hanno deciso di andar via e abbandonare la loro fede.
Di fronte a delusione, stanchezza e ira, ci vediamo spinti a rompere relazioni, e senza rendercene conto spezziamo noi stessi.
L’invito di Gesù non è un appello a rimanere passivi là dove siamo, ma a rimanere collegati. A volte si può restare in una situazione, ma isolati.
L’amore non è l’ostinazione di non cambiare, ma l’apertura che permette che la vita circoli.