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Kaif era solo e malato in ospedale, ma Chiara l’ha amato fino all’ultimo

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BAMBINO, OSPEDALE, MALATTIA

Roylee_photosunday | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 04/05/22

Affetto da una patologia rarissima è morto a neanche 4 anni. Era stato lasciato alla nascita alle cure del Meyer di Firenze. Finché Chiara Fossombroni l'ha preso in affido e gli ha voluto bene fino alla fine.

Kaif avrebbe compiuto 4 anni ai primi di giugno. È morto il 1 maggio all’ospedale Meyer di Firenze, in seguito alle complicazioni di un intervento subìto. Una vita così breve ai nostri occhi ha collezionato enormi traguardi. Su di lui pesava una diagnosi infausta: una malattia rara chiamata Nbas di cui esistono solo 170 casi al mondo. Non dovevano esserci speranze alla nascita, ci sono stati quasi 4 anni di vita e l’incontro con una donna che si è scoperta madre amando fino all’ultimo istante questo bimbo fragilissimo.

L’attesa di Chiara

Chiara Fossombroni ha raccontato la storia del suo incontro con Kaif in un libro e, all’indomani della sua morte, su alcune testate nazionali. Ed è la storia del travaglio di un bambino che può essere raccontata anche come la lunga gestazione di una donna che attendeva di essere madre.

Di mestiere la Fossombroni è impegnata in politica, come consigliere nel Quartiere 2 di Firenze, ma ha trascorso gli ultimi due anni e mezzo a tu per tu con questo bimbo fragilissimo, che – prima che lei lo prendesse in affido – non aveva conosciuto altro che le corsie e i rumori del Meyer.

Kaif viveva in ospedale, la sua patologia gravissima aveva spinto la famiglia d’origine (pakistana) ad abbandonarlo. Si sa che erano impossibilitati a sostenere le spese e le cure di un figlio così malato, e con altri due figli da mantenere.

Questa frattura familiare combaciava perfettamente, in modo ancora inconsapevole per i protagonisti, con il pezzo mancante della vita di Chiara.

“Avevo da poco confidato al mio padre spirituale il mio desiderio, ormai da anni, di diventare madre. Mi aveva suggerito di aspettare e di avere fede. Poi è arrivata questa chiamata”.

Da Luce
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Il manico di scopa

La chiamata a cui si riferisce Chiara è una telefonata capitata per sbaglio. È tipico della Provvidenza mostrarsi in modo opposto a una tabella di marcia. Accade, come un inciampo o una svista, quasi per dirci che non dobbiamo preoccurarci troppo di imporre le nostre strategie. Dobbiamo accorgerci, più che pianificare.

“Emilia ha sbagliato numero: cercava una famiglia affidataria per questo bambino che aveva bisogno di affetto. Voleva contattare un’altra Chiara; ha chiamato per sbaglio me, trovando il mio numero sulla rubrica del cellulare”.

da Luce

Si tratta di Emilia Russo presidente di Mammematte, un’associazione che si occupa di affido di bambini con bisogni speciali. Emilia, sbagliando numero, aveva trovato la persona giusta. Vien da pensare che essere a servizio del bene non ha nulla a che fare con l’attivismo. Più ci si pensa e meno sembra negativo quell’essere servi inutili. Il bravo impiegato svolge mansioni impeccabili, il servo inutile digita un numero sbagliato e si scopre parte di una grande storia.

Chiara, dunque, va al Meyer a conoscere questo bambino, alle cui cure si erano dedicate in modo intermittente alcune volontarie dell’ospedale.

Finché non è arrivata Chiara: «Me lo fecero conoscere, fu amore a prima vista. Il professor Massimo Resti, che lo aveva in cura, mi disse che aveva tanto bisogno di affetto che si sarebbe attaccato anche a un manico di scopa pur di trovarne. Quel manico di scopa sono stata io». Chiara di Kaif ha ottenuto l’affido, è diventata sua mamma

Da Corriere

Grandi novità nella giungla

Il manico di scopa non è un’immagine esattamente romantica. Tanto meglio. Raccontiamo troppo spesso l’affetto in tono sentimentale e poco realistico. Un manico di scopa è un bastone, un arnese rustico e senza fronzoli. Kaif aveva bisogno di aggrapparsi a qualcuno, ecco. E Chiara, come un pezzo di legno dalla forma ancora indefinita, ha lasciato che l’incontro con quel bambino la levigasse fino a farla diventare la sua mamma.

«Davanti a me c’era un esserino minuscolo, mi ricordava Mowgli, il personaggio del Libro della Giungla per la peluria che aveva sulla fronte e la pelle ambrata. Mi ritrovavo sola ad accudire uno scricciolino indifeso, che in vita sua aveva visto solo camici bianchi e sentito il dolore degli aghi e il rumore degli allarmi dei macchinari. Non lo conoscevo e già gli volevo bene».

Da Corriere

Ha ragione, il voler bene ce lo pianta dentro un Altro, da principio come intuizione tanto prorompente quanto immotivata. E prendere sul serio questo indizio forse significa dare credito a qualcosa di antecedente alla formula del “gli ha voluto bene perché era piccolo e stava male“. La fragilità e il dolore tolgono, non aggiungono: non sono etichette che ci permettono di essere più buoni e caritatevoli; è carta vetrata che leva via l’epidermide.

La sofferenza altrui mette a nudo noi. E sveglia la coscienza dal suo comodo torpore.

Come può cavarsela un bambino nudo nella giungla, oltretutto braccato dalla tigre Shere Kan? È impari il confronto per Mowgli, come lo è stato per Kaif con la sua malattia. Però una delle cose che Mowgli impara nella giungla è quella di conoscere i versi di tutti gli animali, così da sapere come salutarli in modo gentile quando li incontra.

Queste vite fragili che passano sulla terra una manciata di ore o pochi anni lasciano al mondo intero una lingua nuova, un di più di espressione lasciato a beneficio di tutti, che ci permette di non restare più muti anche nelle zone più impervie dell’umano.

Imparare la lingua dell’altro (di suo figlio), è quello che ha fatto Chiara, che infatti sintetizza la sua esperienza come novità:

Le poche ore trascorse con lui quel giorno spalancarono i miei sensi a qualcosa di nuovo.

Corriere

Ha visto il mare e ha detto ‘mamma’

In tutto, Chiara e Kaif hanno trascorso insieme due anni e mezzo di vita. In tutto, Kaif ha visto il mondo esterno all’ospedale per sei mesi. Sembra un conto alla rovescia. Dal poco si passa al sempre meno. Eppure questo contenitore apparentemente piccolo ha ospitato una vita piena, anche una felicità che nessuno avrebbe messo in conto.

Kaif ha reagito all’amore infinito che riceveva. È uscito dall’ospedale. Ha visto il sole, ha toccato l’erba, ha visto il mare, è andato all’asilo, ha imparato a dire mamma.

Corriere

Un curriculum vitae davvero essenziale, nel senso che c’è tutto. Dalla genesi all’apocalisse, passando per il vertice della coscienza umana: quello di chiamare per nome chi si ama.

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