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Ligabue: ho sepolto nel cimitero degli angeli mio figlio, nato morto

LIGABUE, CANTANTE

Mariano Montella | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 02/05/22

In una lunga intervista che anticipa l'uscita, oggi, della sua biografia, il cantante emiliano racconta squarci di sacro che hanno attraversato la sua vita, dalla suora che a 5 anni gli salvò la vita donandogli il sangue al figlio sepolto nel cimitero degli angeli.

Di certi miracoli uno si accorge soltanto da sveglio

Esce oggi, 3 maggio, la biografia di Luciano Ligabue, intitolata semplicemente Una storia. Ne ha anticipato l’uscita una lunga intervista che il cantante di Correggio ha rilasciato ad Aldo Cazzullo sul Corriere.

Ed è un film, più che una chiacchierata. Piena di volti, comparse, ricordi che sono come scene magistrali alla Fellini. S’intuisce che dietro la voce rock c’è un’anima che si muove in punta di piedi e osserva e annota e rimugina. Dice di essere timido, Ligabue.

Sì. Nessuno mi crede, ma è vero. È come vivere con il freno a mano tirato; ma ti crea un mondo interiore più ricco.

Da Corriere

Vero. E ‘ricco’ significa non solo capace di profondità di sguardo sulla strana creatura che è l’uomo, ma anche in grado di parlare al plurale. Il timido non ha paura di lasciar parlare gli altri. E l’impressione di compagnia che si ricava ascoltando Ligabue è quella di essere al bar con un amico, un tripudio di voci.

Il verso che preferisco lo ha scritto in “Luci d’America”: di certi miracoli uno si accorge soltanto da sveglio. Se la sua è solo Una storia, quali miracoli ha incontrato? Si canta per rimanere svegli, cioé per essere presenti alla vita?

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Una vita da mediano

Le sue canzoni più famose sono state fraintese, sottolinea Ligabue. E si riferisce a Certe notti e Una vita da mediano. La prima sembra l’inno delle notti brave passate a far baldoria, invece parla di una notte in auto che gli salvò la vita.

Era il primo agosto del 1980, un venerdì. Avevo una licenza dal militare, e con due amici storici decidiamo di andare a Rimini, in cerca di ragazze. L’idea è partire la mattina dopo in treno da Bologna: l’autostrada sarebbe stata murata. Invece cambiamo idea e andiamo in macchina la notte stessa. Il mattino ci svegliamo con le immagini della strage in stazione.

Ibid.

Si riferisce, come è facile intuire, alla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Fu uno dei miracoli di cui ci si accorge da svegli? Forse il miracolo non fu tanto quello di essere scampato alla morte, ma quello di aprire gli occhi sul destino come percorso accidentato, pieno di colpi e occasioni che ci urtano, ci chiamano, ci meravigliano. Ligabue canta la vita così, come una successione di botte e carezze, che non va catechizzata. Ci si sta in mezzo.

Una vita da mediano

a recuperar palloni

nato senza i piedi buoni

lavorare sui polmoni

una vita da mediano

con dei compiti precisi

a coprire certe zone

a giocare generosi

Fu fraintesa anche questa vita da mediano. Capitò anche a me di discutere con amici che gli davano del pavido, pensando che stare nel mezzo significasse nascondersi nell’invisibilità di chi non è né arte né parte. L’opposto. Stare nel mezzo, sporcarsi le mani senza l’ambizione del risultato applaudito è l’opzione più snobbata e necessaria. Lavorare sui polmoni, cioè metterci fiato e impegno (non rabbia e urli). Un collega più giovane di Ligabue ed emiliano come lui, Cesare Cremonini, l’ha detto in modo diverso ma sostanzialmente identico: In questo mondo di eroi, nessuno vuole essere Robin.

In questo mondo di attaccanti, nessuno tiene palla e la custodisce in mezzo al campo. Anche Dante capì che bisognava mollare la presa sull’eroismo personale e mettersi nel mezzo del cammin di nostra vita. E fu l’esilio a farglielo capire, un’occasione poco dolce di umiltà/umiliazione. Ligabue forse se ne è reso conto grazie al suo rapporto sghembo col successo, arrivato tardi e dopo una lunga litania di rifiuti:

Ho fatto il primo concerto a 27 anni: l’età in cui i grandi del rock muoiono. Accompagnato dal mio amico Claudio Maioli, facevamo collezione di rifiuti. “C’è ancora molto lavoro da fare”, “magari possiamo sentirci più avanti”, o anche, più direttamente: “Le tue canzoni fanno schifo”. “C’è troppo Guccini” disse un produttore; e stava parlando di Balliamo sul mondo …”.

Ibid.

Ma nel frattempo a centro campo, nella vita vera cosa accadeva?

Andrai a modo tuo

Ligabue non ha mai spiattellato in pubblico la sua vita privata. Nell’intervista con Aldo Cazzullo entra nel merito di alcune ferite grosse vissute come padre di 3 figli che sono morti prima di nascere. Ne aveva già accennato in una vecchia intervista a Vanity Fair dicendo:

Un lutto che non trova casa. Nessuno lo considera un vero lutto ed invece è un dolore che ti segna per sempre.

Da Vanity Fair

Oggi è padre di 3 figli grandi il cui nome ha la sua stessa iniziale,  Lorenzo Lenny, Linda, Leon. Ne ha persi due, gemelli, per aborto spontaneo quando era sposato con la prima moglie Donatella Messori. Dopo essersi sposato nuovamente con Barbara Pozzo capitò un altro lutto: un bimbo partorito morto quando la gravidanza era al sesto mese. Su questo momento intimo e tragico, Ligabue spende oggi parole asciutte eppure purissime nel lasciare trapelare un affetto lacerato fin nel midollo:

«Ce lo fecero vedere. Me lo ritrovai in mano: un affarino di un chilo. Aveva i tratti della mamma. La voce di bambina della Barbara disse: è perfetto. L’ho fatto seppellire in un cimitero che ha un angolo chiamato degli angeli. All’inizio la Barbara ci andava tutti i giorni. Si sentiva come se il suo corpo fosse diventato marcio, incapace di dare la vita… Un pensiero ingiusto, ma il suo “sentire” la faceva stare così. Solo chi ci è passato lo capisce».

Da Corriere

Quando seppi che la canzone A modo tuo interpretata da Elisa era stata scritta da Ligabue ne fui stupita. Mi pareva uno sguardo materno, invece era quello altrettanto delicato (e allo stesso tempo robusto) di un padre che guarda i suoi figli andarsene. E nel testo si ripete spesso la frase sarà difficile. Ogni figlio ha il suo passo per allontanarsi da noi, padri e madri.

E c’è un altro Padre che ci guarda sempre da dietro, camminare e inciampare a modo nostro.

Qualcuno ci avrà messi lì

Per tutti quegli incroci
nessuna indicazione
di tutte quelle strade
trovarsi a farne una
qualcuno ci avrà messi lì

Da Siamo chi siamo

Esatto. Chi ci ha messo qui? Non è una posizione scontata di fronte alla realtà osare dire che Qualcuno ci ha voluti proprio dove siamo, anche se non è un posto chiaro, tranquillo e risolto. Il rapporto di Ligabue con Dio è legato a doppia mandata con il suo senso di colpa perenne. Parlando nell’intervista con Cazzullo degli anni di politica accesa vissuta nell’Emilia rossa, Ligabue la definisce la terra di Don Camillo e Peppone. Allora l’intervistatore incalza:

Lei da che parte stava?
«I miei genitori erano comunisti, ma io andavo in chiesa. Mi confessavo».

Crede ancora?
«Sì. Non può non esistere una linea di giustizia che regola il mondo».

Ibid.

Curioso come sintetizzi la sua esperienza in chiesa: confessarsi. È il sacramento più frainteso di sempre da chi non vive l’esperienza cristiana. E se il cantante, a modo suo , non facesse altro che confessarsi? Il racconto è sempre destinato a qualcuno, a un pubblico. Forse è quel fiume di gente entusiasta che lo applaudirà di nuovo a Campovolo. Eppure, anche solo in controluce e appena accennato, il destinatario ultimo di ogni nostra voce è Quello che ci ha messi qui. La confessione è proprio il gesto di chi riconosce che la vita non è un monologo ma un dialogo.

Sprazzi di sacro emergono nella vita di Ligabue, tentativi di un rapporto in fieri con Dio. Sghembo, schietto, irrisolto, umano. Un episodio tra tutti colpisce e riguarda un fatto accaduto quando il cantante di Correcchio aveva 5 anni. Rischiò di morire per un’operazione sbagliata alle tonsille.

La Rina [madre di Ligabue – NdR] aveva preteso di passare la notte con me in ospedale. Mi scossero, e vomitai tutto il sangue che stavo ingurgitando. Emorragia. Mancava il plasma del mio gruppo, me lo donò una suora. Forse il senso di colpa viene anche da lì, dal sangue della suora…

Idid.

Questo è un bell’incrocio, Liga. Perché hai svoltato per la strada sterrata del senso di colpa? Dio ha davvero versato il sangue per noi. Per intenderci con un esempio da buoni emiliani, è come quando al bar ti lasciano pagata una bevuta di lambrusco. Ringrazi l’amico e ti godi il dono. Ecco questo è appena un barlume di cosa sia la vera giustizia di Dio. E ne abbiamo proprio bisogno, è la gratuità di Uno che si è donato. E resta in eterno, non vuole sensi di colpa ma ci dà fiato per stare sempre lì, lì mezzo del mistero che è ogni giorno.

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