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Selvaggia Lucarelli e le relazioni tossiche: sono come la droga

SELVAGGIA LUCARELLI

DELBO ANDREA|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 27/04/22

Lo spunto è nato da un post di rimprovero al buon Claudio Bisio che ha espresso con enfasi l'amore che lo lega alla moglie. La polemica è pedante, ma l'attenzione che la giornalista pone sul tema della dipendenza affettiva e della sofferenza che comporta è tutt'altro che banale.

Bisio, colpevole di romanticismo?

In effetti sembra proprio così: la polemica, con annesso processo a distanza alle intenzioni delle parole di Bisio, è pretestuosa.

Non sa né può sapere, Selvaggia Lucarelli, nonostante la vista acuta e l’affilatissima lingua, se Claudio Bisio si trovi in una dipendenza disfunzionale nel rapporto con la moglie.

Quello che può sapere, e che si vede bene le preme sottolineare, è che una relazione d’amore sana non svuota la vita, ma la arricchisce.

Ogni gesto che facciamo educa

Giusta invece la raccomandazione che fa al senso di responsabilità rispetto a ciò che si dice e a favore di chi.

Una frase scritta su un bigliettino vergato di proprio pugno è una freccia che mira a un cuore solo, una dichiarazione su una delle testate più lette della nazione è una bomba a grappolo che colpisce ad ampio raggio e senza distinguo.

Ipercorrettismo in agguato

Casus belli del ragionamento in tweet (e post) della Lucarelli è stata l’intervista doppia di Claudio Bisio e sua moglie apparsa sul Corriere della Sera 5 giorni fa nella quale il capocomico di Zelig ha sottolineato, con espressioni che fuori dal contesto si possono considerare squilibrate, il legame intenso tra lui e la moglie.

(se per assurdo mi lasciasse) Non sopravvivrei. Mi sentirei completamente perduto. Lei possiede certi comandi che mi tengono vivo.

Claudio Bisio, Corsera

Apriti cielo! e anche Apriti glossario delle nuove parole proibite.

Sembra un esercizio di italica WOKE culture. Sempre all’erta, sempre ai blocchi di partenza pronti a scattare alla velocità di Marcell Jacobs sulla parola infelice, su ogni pallido retaggio di romanticismo maschilista, su ogni svenevolezza femminile che osi compiacersene.

Va bene, ha esagerato. Sciocco lui che non lo ha detto in musica o in endecasillabi.

D’amore, per amore, figurativamente si muore. E la liberazione dalle terribili spire delle relazioni tossiche non può passare per la traslitterazione prosaica di ciò che si prova in amore.

L’importanza del contesto

A essere onesti, però, la Lucarelli non riduce tutto a questo, anzi ammette che si tratti di artificio retorico. Peraltro da come si parlano, da come raccontano della loro vita insieme, Bisio e la moglie Sandra Bonzi, sembrano l’opposto di ciò che li ha portati sul patibolo social. Si mostrano rispettosi l’uno dell’altra, capaci di lasciarsi spazi psicologici e fisici in mezzo, (una è Milano, l’altro in Toscana) liberi di appartenersi senza soffocare. Liberi anche di incoraggiarsi, di promuovere i talenti l’uno dell’altra, di scherzare sui difetti che li caratterizzano e sui quali sembrano aver trovato un simpatico equilibrio senza ingessature.

Le relazioni tossiche e la dipendenza affettiva

Detto questo c’è anche molto altro che Selvaggia Lucarelli ha detto sulle relazioni tossiche e che merita attenzione senza ulteriori distinguo.

Innanzitutto le va dato atto di una certa spietata onestà nel riconoscere e raccontare ciò che ha attraversato in prima persona e di cui si ritiene in ultima analisi responsabile, lasciandosi inghiottire da una relazione distruttiva e umiliante.

Il podcast “Proprio a noi”

Lo fa, oltre che in qualche talk in tv, e in un libro, in un bel podcast Chora Media dal titolo Proprio a noi.

Racconta i momenti salienti del rapporto che per lei ha funzionato come una vera e propria droga. Una storia iniziata come una magia si è in breve trasformata in un carcere di massima insicurezza, la sua. Si è trovata alla fine annichilita, diventando la prima detrattrice di sé stessa perché aveva fatte sue le parole di lui: non vali niente, non sei capace, la tua è una bellezza da camionisti e via screditando.

La dipendenza, da dentro e da fuori

Importante la descrizione del ruolo degli amici che invano e a lungo l’hanno messa in guardia e di cui solo a posteriori riconosce il merito; doloroso vedere come si rende conto della sofferenza inflitta al figlio, innocente nella sua natura di bambino assai piccolo all’epoca dei fatti, e di quanto questa abbia lasciato il segno senza però compromettere la possibilità di essere felici.

La radiografia da appendere in casa

C’è un momento particolare, nel primo episodio, in cui l’uomo compie un gesto tragicamente rivelatore. Fin troppo stizzito per un danno che inavvertitamente lei aveva causato alla casa (per la quale lui aveva una cura maniacale) e che le aveva provocato un brutto taglio alla meno, chiede al medico del pronto soccorso di potersi portare a casa la radiografia, per bellezza, da esporre in casa.

All’assurda richiesta scende il gelo tra tutti i presenti: lei, lui, la dottoressa. Ma è anche, forse, l’inizio del disgelo per Selvaggia. Quello infatti è un momento topico che mostra in una sintesi straniante quanto fosse arrivato in basso il loro rapporto e quanto rendesse brutti entrambi: lui, personalità con un probabile disturbo narcisistico, lei che gli ha permesso di usarla come specchio, riducendosi a quasi nulla, fino a che quello specchio, dolorosamente e provvidenzialmente, si è rotto.

Il troppo amore che non è amore: conversazione con l’esperta

Nell‘episodio 7, l’ultimo, la conversazione si snoda in una riflessione condivisa con una psicologa e psicoterapeuta che da anni lavora con persone vittime di relazioni tossiche, Ameya Gabriella Canovi. Segue anche una pagina Facebook Di troppo amore.

Dipendente come un drogato

Offre criteri che ci permettono di comprendere le caratteristiche di questa dinamica relazionale di dipendenza patologica, di rintracciarne i sintomi e decidere di intraprendere il processo di guarigione, che è come l’uscita dal tunnel della droga.

Così la definisce la Lucarelli, droga. E così è stata classificata nel 2013 dal DSM, il Manuale diagnostico a cui tutti gli psicologi e psichiatri fanno riferimento.

La dipendenza affettiva è una disfunzionalità relazionale classificata come una new addiction alla stregua del gioco azzardo, del lavoro compulsivo, dello shopping compulsivo. Come le altre dipendenze infatti è caratterizzata da alcuni elementi:

Ameya Gabriella Canovi

I segni per riconoscerla

la pervasività, investe cioè tutti gli aspetti della propria esistenza; la necessità di “dosi” sempre maggiori per avere brevi momenti di sollievo e la percezione da parte dell’individuo di non poter più funzionare senza quella persona.

L’effetto di tale dipendenza è una sofferenza intensissima spesso ancora incompresa e sottostimata.

La strada per liberarsi

La psicoterapia è uno strumento assai efficace che può accelerare il processo di guarigione e ridurre intensità e durata della sofferenza, peccato, osserva l’esperta, che persistano ancora resistenze e tabù nei confronti di terapeuti e terapie.

I tratti comuni a tutte le storie

Le tante storie presentate nel podcast e passate in rassegna nell’ultimo episodio hanno una drammatica affinità tra loro: non sono amori, non sono nemmeno semplicemente amori infelici, sono relazioni altamente disfunzionali che però i protagonisti, vittima e carnefice, non riescono a riconoscere come tali, fino al momento della svolta.

Come faccio a capire?

Per riconoscere se state vivendo una situazione normale, pur nella fatica, o a rischio fate vostra la domanda cruciale della psicologa: da uno a cento, quanto?

Ovvero quanto sale l’ansia in caso di separazione, quanto influisce sulle altre sfere dell’esistenza l’assenza del partner? La mia gelosia è una semplice comparsa o diventa il solo attore protagonista? La patologia non è mai solo questione di qualità, di ciò che succede, ma soprattutto di quantità.

Le fasi del copione

Per questo il fatto che anche le storie d’amore normali inizino come quelle raccontate dalle protagoniste di questo podcast non ci deve affatto preoccupare. La fase patologica, quella che ingenera sofferenza e devastazione, avviene dopo.

Prima c’è la fisiologica fase fusionale, il desiderio di stare sempre insieme, le farfalle nello stomaco. Chi non vive queste cose quando si innamora e non le ricorda con dolcezza?

Secondo tempo, inizia la fine

Quando la storia entra nella seconda fase, in quelle che virano verso la dipendenza, il copione si differenzia. Arrivano dei segnali: una minaccia, un insulto, la reazione eccessiva per un tappo di detersivo avvitato male (come nel caso di Selvaggia). In quella fase i ruoli interni alla relazione si differenziano: uno diventa dominante, l’altro dipendente. E il malessere aumenta sempre più, fino al degrado e alla totale trascuratezza di sè.

Le ferite del passato

Quanto conta l’infanzia, quanto conta il passato in queste storie?

Selvaggia Lucarelli

Le risposte che riporto sono parafrasate da ciò che potete ascoltare nell’episodio del podcast. Secondo la dottoressa Canovi influiscono moltissimo, ma non sono mai una condanna.

Quello che emerge, da questa conversazione con una persona evidentemente competente e anche moralmente retta, è che lo spazio di libertà non è mai definitivamente soffocato dalla sofferenza, dalle carenze vissute, dalle ferite accusate.

Analisi transazionale:” io sono ok, tu sei ok”

Il modello di riferimento, si intuisce essere quello dell’analisi transazionale: da qualsiasi condizione esistenziale io parta mi resta sempre la libertà di salire in plancia di comando e determinare in autonomia dove andare, cosa fare con le risorse di cui dispongo, gli incontri che farò e anche con il passato che ho vissuto, che rimane ma non mi domina più.

Il peso del passato. Che si può portare

Nelle storie raccolte c’è sempre un riferimento al passato: inseguivo mio padre, le sue attenzioni; davo ragione a mia madre che mi aveva dato della prostituta; mi ero abituato ad accontentarmi delle briciole.

C’è un vuoto, una fame che corre sotto a tutte queste storie. L’incontro tra vittima e carnefice di solito avviene come un inconsapevole incastro perfetto che innesca le dinamiche patologiche di entrambi i soggetti.

Horror vacui

Nel dipendente affettivo la dinamica che si instaura è quella che porta la persona a cercare irresistibilmente quella goccia di infinito che si è sperimentata all’inizio. Da un lato una nostalgia lancinante, dall’altro la netta percezione che senza l’altro si smetterebbe di esistere.

C’è una sola fase della vita in cui questa percezione può essere considerata vera, ed è la primissima infanzia: il bimbo vive così, sente che senza la mamma morirebbe.

Adulti regrediti

L’adulto coinvolto in una dipendenza affettiva è di fatto regredito a quella fase, i suoi 30, 40 anni non hanno peso. Fino a che non decide di recuperarsi. Serve dunque una vera e propria educazione affettiva, che parta anche dalla definizione dei termini: l’altro, davvero, non sarà mai la tua ragione di vita.

La visione cristiana della persona e del suo valore

Ben vengano aiuti specialistici, professionisti competenti e preparati; ma pensiamo anche a quanto ci aiuta a mettere ordine la visione cristiana della persona e del suo destino ultimo.

Chi sa di essere una creatura amata direttamente e personalmente dal Padre, ha già in sé un robusto argine a queste degenerazioni: l’altro è solo una creatura come me, ha lo stesso desiderio di infinito che porto io, non posso chiedergli ciò per natura non può darmi.

Vale per il fidanzato, il marito, la moglie, ma vale anche nei confronti dei figli.

I manipolatori si infilano nei momenti di fragilità?

Sì, risponde la psicologa. Ma ricordiamoci che siamo tutti portatori sani di una fragilità. Le persone che chiedono aiuto hanno tutte un filo comune: sentono la casella dell’affettività molto traballante.

E spesso la reazione è di fuga: scappiamo dalla fragilità. Non siamo infatti in una società che stigmatizza la debolezza, la vulnerabilità? non è proprio la fragilità un tabù, o per contro, un’ostentazione morbosa? Dovremmo invece considerarla come un dato.

Il patto che imprigiona entrambi

La relazione che vira verso la dipendenza diventa asimmetrica. Si stipula inconsapevolmente un contratto emotivo dove uno dei due silenziosamente dice “faccio qualunque cosa, ma tu non lasciarmi” e l’altro ripete “tu devi essere come voglio io”. Il manipolatore di fatto in questa dinamica cerca la prova della sua stessa consistenza: “devo provare che esisto schiacciandoti, svalutandoti”.

A questo punto la relazione ha già preso il largo e si è trasformata in un campo di battaglia.

“Sta per succedere qualcosa di terribile”

Uno degli indicatori più tipici di cui la vittima può rendersi conto è quello di vivere con un senso di tragedia incombente, che le impone l’obbligo di provare sempre ad aggiustare sé stesso per adattarsi all’altro.

In un’alternanza ubriacante di fasi consolanti, “luna di miele”, e fasi di violenza e abbruttimento, ci si avvia determinati ma impotenti fino all’orlo del baratro.

Si vive in un mondo irreale ma con pericoli reali

Queste relazioni sono quindi oggettivamente pericolose. Ciò che viene a mancare è la prima difesa, la propria. La percezione che il venir meno dell’altro significhi la propria morte può precipitare fino al desiderio che questa morte arrivi sul serio come potesse portare sollievo.

Come se ne esce? Con l’amor proprio, ne basta una goccia soltanto, dice l’esperta. La voce stessa di Dio si nasconde in questi appelli che chiunque, ridotto in quello stato, può sentire risuonare in sé. Arriva un momento che spezza l’incantesimo e fa uscire da quella sorta di ipnosi vissuta anche per anni.

Guarire non è cancellare

La rinascita, perché di questo si tratta, comporta sempre una ri-significazione della propria ferita che non scompare. La fragilità che hai l’avrai per sempre ma, e qui sta la grande differenza, come tra la schiavitù e la libertà, tra l’angoscia e la gioia, non governa più la tua vita.

I tratti di una relazione sana

Se da un lato è giusto e utile avere ben chiaro l’identikit della relazione di dipendenza affettiva, molto benefico è anche riconoscere dentro di sé l’esperienza di una relazione sana.

Innanzitutto, continua l’esperta, la si riconosce dal senso di reciprocità che sperimentiamo con il nostro partner. E anche da una certa facilità: la relazione vera, normale e bella, non è sempre e solo fatica, tutta sforzo, solo tensione. E’ un luogo in cui la tua fragilità viene accolta, un posto in cui puoi condividere la pienezza di te e non provare disperatamente a riempire il tuo o l’altrui vuoto.

Quel mostro fragile del narcisista

Come se la passa il manipolatore?

Anche il carnefice è vittima, di sé stesso, della falsa immagine di sé, della necessità di specchiarsi in un altro di cui, alla fine, non riesce a importargli nulla.

Il manipolatore è un infelice, insicuro e ancora più sofferente del dipendente affettivo. Vive come un dannato perché non ha accesso alle proprie emozioni.

Come Narciso che si deve specchiare altrimenti non esiste: tu sei il lago che deve restare quieto per riflettere la sua immagine, ti usa perché non sa fare altro.

Per questo è molto difficile che arrivi a farsi aiutare.

BAD MAN,

C’è narcisismo e narcisismo

Attenzione, non tutto il narcisismo è male, anzi. Esiste un narcisismo naturale che è un fattore sano e protettivo.

Ci può essere un narcisismo sempre fisiologico ma esagerato. Esiste poi il disturbo di personalità narcisistica e infine il vero e proprio narcisismo patologico. Esistono persino narcisisti patologici timidi e dimessi. Se uno è troppo in un senso o nell’altro di solito è indice che qualcosa non va.

Il manipolatore sfrutta, ma non genera la fragilità

La fragilità della vittima non è causata dal narcisista, ma è “solo” pericolosamente sfruttata. Occorre dunque, superato lo tsunami di una relazione che abbatte e distrugge tanto di noi, chiedersi come mai ci si trovasse così esposti, perché la nostra casupola fosse proprio lì, sulla costa.

Sono fragile. E poi?

Sapere chi siamo, riconoscere le proprie fragilità, persino le mancanze che abbiamo patito ma poi, con questo bagaglio, decidere dove andare e farlo da adulti: ecco in sintesi il copione sempre aperto della via di uscita da ogni condizione di sofferenza e dipendenza patologica. L‘adulto è chi si prende la piena responsabilità delle proprie azioni.

Basta rancori e colpevolizzazioni a genitori, nonni, mariti, fratelli, sé stessi. Meglio una presa d’atto, empatica, tenera persino, e una nuova liberante decisione. Andiamo avanti, senza fingerci indistruttibili, ma in grado di fare i conti sia con le ferite sia con le risorse e le possibilità che la vita ci mette a disposizione.

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