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Sei triste perché non “senti” la Pasqua? Non importa, ci sei dentro ora

PADRE MAURIZIO BOTTA
Paola Belletti - pubblicato il 22/04/22
Siete anche voi tra quelli che patiscono un po' la freddezza dei propri sentimenti intorno alle celebrazioni di Pasqua? Questa omelia di Padre Maurizio Botta fa per noi.

Non è questione di sentimenti, di livello di empatia acquisita o chissà che altro.

Capita anche a me, devo ammetterlo, e Padre Maurizio Botta descrive perfettamente questa condizione: disagio, senso di colpa, una specie di triste disillusione che si autoalimenta.

E' l'effetto che la Pasqua ha su alcuni, tanti di noi forse. Non della Pasqua in sé, perché è proprio questo il tema, ma di come riusciamo a viverla. Insomma, il fatto che non ne registriamo effetti personali, sensoriali, intellettuali come immaginiamo che dovrebbero essere ci rattrista e ci spinge ad una specie di smania da exit strategy.

C'è una sintesi di un'omelia pasquale, sul sito dei Cinquepassi, dove trovate anche le sue catechesi, in cui Padre Maurizio mette in ordine tutto quanto riguarda noi e la Pasqua e come dovremmo trovarci rispetto ad essa. Ma soprattutto come la Pasqua è rispetto a noi, a dispetto di noi.

Come è nel suo stile, che è stile schiettamente evangelico, non allarga le maglie delle parole e dei fatti per includere tutti purchessia, slabbrando una rete che ci sembra troppo stretta e per questo ingiusta. Al contrario, la mostra al suo posto, bella stretta e robusta, universale perché fatta di scelte, passi da fare e di tempo che deve trascorrere. Capace di accogliere, contenere e persino di lasciare fuori.

Dio procede di preferenza in preferenza, di "tutto per te" in "tutto per te", in un recinto di noi, ma scelti tra tanti.

Chi si lascia andare a personali seppur legittime letture dei vangeli della Pasqua - non mi pesa tanto fare mea culpa anche per questo - tende subito a riferire ciò che capita ai discepoli a sé stesso e così a qualsiasi uomo, come se loro fossero solo dei rappresentanti di lista e non i rami che per primi hanno preso fuoco e solo così hanno potuto diffonderlo per il mondo che ancora aspetta di essere investito dall'incendio.

I discepoli non sono simboli e i segni che vivono sono, all'inizio, solo per loro

Dio non aggiusta tutto come facciamo noi quando ci si trova in tanti: dai, facciamo a turno, prima loro, poi voi, si tratta solo di aspettare, e alla fine uno vale l'altro. Uno, per Dio, vale sempre tutto, vale il Suo sacrificio. Non è per ridurre l'amore che sceglie ed esclude, apparentemente, ma per lasciarlo esplodere in tutta la sua potenza.

Come sceglie Dio?

E va bene, accettiamo pure questo modus operandi di discutibile efficacia, bofonchiamo tra noi e noi; almeno, visto che è partito da pochi, avrà cominciato coi migliori.

No, il contrario. Chi è la prima a sapere che è risorto? La meno credibile in assoluto, anche nella cerchia dei suoi ormai amici per la comune sequela di Cristo: la Maddalena.

Una notizia per tutti, consegnata solo a pochi

A disagio con la nostra poca fede

Il nostro affliggerci per quanto poco crediamo in Cristo, alla sua presenza operante ora, alla sua strana, silenziosa vittoria, che ci ricorda sempre troppo una sconfitta su tutta la linea, è immotivato. Non dovremmo affliggerci, ecco tutto. O, affliggendoci, non dovremmo gravarci di ulteriori sensi di colpa.

Cercare Cristo comunque

Persino lei, l'apostola apostolorum, la prima tessera del domino che corre da due millenni abbondanti a questa parte per il mondo con la notizia della resurrezione, si è mossa di buon'ora verso il sepolcro con la sola aspettativa di vederlo ancora una volta da morto; di poter onorare almeno quelle spoglie ormai disabitate, prima che diventassero inguardabili.

Per Gesù non è un problema

E lo aveva visto e ascoltato direttamente; non come noi. Quelle parole sulla risurrezione l'avevano raggiunta col calore dell'alito stesso di Gesù uomo, sostenute da uno sguardo che chissà quanto è stato eloquente e limpido. Coi suoi passi decisi si è affrettata solo per arrivare prima ad ungere un corpo, lascia pure che fosse il Suo Corpo. E andava bene così, questa è la notizia che ci viene a togliere un sasso dal petto:

La fatica di dismettere la speranza

La rabbia, quasi, per aver sperato. Non proviamo a volte una cosa simile? Per il fatto di vedere ridotta a niente la speranza che tutti ci aveva pervasi, insieme all'entusiasmo per la Sua bellezza, a quell'esperienza inedita e perfetta di sentirci confermati dalla realtà: il tuo desiderio non è un difetto, la tua sete di vita e felicità ha una risposta. Tornare alla non speranza, dopo aver sperato e intravisto, è ancora peggio che non esserne mai usciti.

Quando tutto sembra finito

Dolore e paura sono ciò che resta dopo quel venerdì terribile. Lui tradito, torturato, ucciso in quel modo. Io, Pietro, che prima faccio lo spaccone e assicuro che sarò con Lui a difenderlo dagli assalti o a unirmi alla sua sorte e poi mi faccio mettere paura da una serva sfrontata. Voi, noialtri tutti spariti in qualche buco come scarafaggi quando accendi la luce.

Vorrebbero -vorremmo- credere anche dopo tutto questo e non ci riescono. La sola cosa che immaginano gli sia rimasta da fare è ricordare. E faticano anche in quello: cosa diceva? cosa intendeva dire?

Dolore e confusione

Così ne parla Padre Maurizio, accompagnandoci a vedere come siamo, cosa abbiamo vissuto e cosa ci aspetta, quasi fossimo anche noi in cammino verso Emmaus:

In questo siamo tanto simili ai discepoli, a quei pochi che sono stati scelti per primi. E a che scopo? verrebbe da domandarsi.

Ci aggiriamo tra le tombe

Anche la nostra fede è un po' da cimitero, precristiano. Riempiamo di gesti di pietà i segni di una presenza che al massimo ipotizziamo storica, ma pensarla attuale ci costa uno sforzo persino doloroso.

La notizia è che non importa: non è così importante. Egli, nel frattempo, è. E' comunque, è vivo, risorto, presente e operante. Lasciamoci raggiungere in questa desolazione fatta di astenia interiore e di un radicale fraintendimento; facciamo come se questo fosse il nostro di sepolcro, però già aperto.

Serve l'intelligenza delle Scritture

Ci ha spinti dentro proprio questa autodisciplina mal orientata, l'idea che dovremmo sentire, percepire il suo amore diretto a noi. Cosa che è vera più di quanto possiamo sospettare, ma per capirla dobbiamo accedere alla visione di Dio sulla realtà. Ci serve l'intelligenza delle Scritture.

Tristi perché non vedono

Quando la tristezza non ci lascia uscire dal suo abbraccio soffocante è perché non comprendiamo la Scrittura, non sappiamo che quello che viviamo e abbiamo vissuto ieri, ieri l'altro o vivremo domani può diventare comprensibile e pieno di senso solo alla luce della Parola.

Girare la testa

Siamo tristi perché pensiamo che il bello sia alle spalle, che il gusto della vita sia da recuperare in un garage di cose dismesse, buone forse per un mercatino di seconda mano. Mentre la verità è che siamo in piena esplosione di quell'universo che diventerà tutto Cristo. Ci attardiamo nella sterile consolazione della nostalgia quando invece dovremmo fremere di impazienza. Il fatto è

In medias res

Ci siamo in mezzo, siamo dentro ed è tutto in pieno svolgimento. Il passato ci serve per sapere cosa sta succedendo ora e cosa deve ancora compiersi. I nostri sforzi, ancora una volta, vanno riorientati: non ci basta recuperare la verità storica di ciò che è avvenuto, dobbiamo riconoscere quel che si sta compiendo ora, nelle nostre vite di adesso.

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