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5 antidoti per non soccombere alla gelosia 

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Mathilde De Robien - pubblicato il 22/04/22

Gelosia, invidia, concupiscenza… tutti desideri che talvolta abitano il cuore dell’uomo e che lo trascinano in un avvelenamento mortifero. Non si dice proprio “morire d’invidia”? Ecco cinque piste per passare dalla gelosia alla gioia dell’amore.

«Ah, beata lei!», «Sono proprio un nulla in confronto a lui, che sa così tante cose!» «È la sua prediletta, lei!»… Parole (o pensieri) ricorrenti, quei banali, che manifestano sentimenti di gelosia più o meno pronunciati. 

È un sentimento che si immischia in tutte le sfere della vita: famigliare, professionale, amicale, comunitaria… Catherine Aubin, religiosa domenicana a Montréal e autrice del recente libro Mourir d’envie ou vivre d’amour ? [Morire d’invidia o vivere d’amore?, N.d.T.] (Artège), qualifica la gelosia di malattia spirituale e propone numerose piste per passare dalla «schiavitù dell’invidia» alla «gioia e alla libertà della meraviglia». È urgente, a suo avviso, riconoscere i danni causati dalla gelosia (odio di sé, tristezza, desiderio di vendetta…), per chiudere le porte del nostro cuore alla menzogna, ai confronti, all’orgoglio, e aprirne altre – luminose e costruttive – che sono altrettanti antidoti alla gelosia. 

1Sapersi unici

Amare sé stessi e sapersi incondizionatamente amati da Dio sono possenti antidoti alla gelosia. Se si accetta l’idea che ogni persona è unica, allora non c’è più posto per la gelosia, non c’è più alcuna ragione di odiare chicchessia. Scrive il filosofo Martin Buber: 

Ogni persona nata in questo mondo rappresenta qualcosa di nuovo, qualcosa che prima non esisteva, qualcosa di originale e di unico. È compito di ogni persona il saper apprezzare ciò che essa stessa è, di unico, a questo mondo, mediante il proprio carattere particolare, perché non ce n’è mai stata un’altra identica. 

Tutto sta nell’accogliere il proprio posto, la propria unicità, e conseguentemente nel discernere la missione e la fecondità proprie. Sottolinea Catherine Aubin: 

Come le impronte digitali delle nostre dita sono uniche al mondo, quel che siamo è insostituibile e indispensabile per l’umanità. Quel che ci sarà chiesto nell’eternità dal Signore è questo: «Perché sei stata Penelope e non Catherine?» 

2Benedire

“Benedire”, dal latino benedicere, significa “dire del bene”. Un altro antidoto all’invidia e alla gelosia non sta nel cambiare il proprio sguardo sugli esseri e sulle cose che ci circondano? Saper riconoscere e posare gli occhi sui doni di Dio? Per questo si tratta di abbandonare lo sguardo invidioso e di acquisire uno sguardo sano, che vede il bene, il migliore, ovvero le potenzialità insite in ogni essere, in ogni cosa, in ogni evento. 

Si tratterà – precisa Catherine Aubine – di offrire a Cristo i propri occhi perché Egli venga a guardare per noi, in noi. 

In tal senso, Giovanni Climaco invita a glorificare il Creatore, ad esempio, alla vista di una bella donna, invece di concupire il suo corpo o di essere gelosi della sua bellezza. 

Guardare e benedire al contempo ci fa entrare in un’altra prospettiva, e provoca una dilatazione del cuore. Lo sguardo si illumina, diventa buono della bontà del Signore, e restituisce vita ai tristi e ai disorientati. 

Dio ha creato tutto nella/per la benedizione. Ognuno è dunque chiamato a benedire quel che si offre a lui, piuttosto che dare per scontate le cose. In questa prospettiva, la quotidianità diventa allora fonte di meraviglia e di gratitudine. 

3Meravigliarsi

Anche lo stupore è un buon antidoto alla gelosia. Per Catherine Aubin, lo stupore necessita una decisione, quella di «implicarsi nel bene migliore». Significa approfittare di una situazione che ci sembra ingiusta per concentrarsi su un bene al di là, su qualcosa che ci supera. Ad esempio: invece di essere gelosi di una collega per le sue competenze, decidere di meravigliarsene. Un’esperienza che si rivela fonte di grande libertà. 

La meraviglia libera dall’ego, dall’egoismo e dall’egocentrismo. Nell’atto del meravigliarsi c’è come un’infusione di essere nel cuore. Meravigliarsi significa lasciarsi attraversare dalla bellezza. 

4Entrare nella gratitudine

L’eterna insoddisfazione conduce rapidamente alla gelosia, alla concupiscenza. Quante volte ci capita di non essere “mai contenti”: di ricevere un dono ma di non essere completamente soddisfatti, perché ne avremmo voluto uno più grande, o diverso, oppure offerto in altre circostanze… «La nostra concupiscenza verte spesso su tutto», constata Catherine Aubin. Volere tutto e subito: 

Una fascinazione per il possesso di tutto che ci fa dimenticare quel che già c’è, quel che ci è offerto ogni giorno. 

Al contrario, entrare nella gratitudine significa riconoscere i doni di Dio, «la generosità e l’abbondanza offerte nel quotidiano». Un’esperienza che apre alla presenza e all’amore di Dio per le sue creature. 

5Aprirsi alla carità

Amare come Dio ama, ecco un modo per allontanare ogni traccia di gelosia. 

Solo la carità può spezzare il desiderio malvagio e pervertito, quello che ci fa invidiare, essere gelosi e concupiscenza. Amare così significa smettere di correre dietro a miraggi egocentrici, significa imparare ad accogliere l’altro così com’è, diverso ma complementare, e a rendergli servizio. 

Infatti l’amore vero, così come l’ha definito san Paolo scrivendo ai Corinzi, «non è geloso» (1Cor 13). 

Una carità che si applica anche ai nemici, a quanti ci fanno ombra. Quando la gelosia fa capolino, Catherine Aubin invita a benedire il prossimo riprendendo in ogni occasione questa parola: 

Il Signore ti benedica e ti custodisca,
ti mostri il suo volto
e ti doni la sua pace. 

Num 6,24-27

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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