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USA: si distrae coi videogiochi durante il travaglio della moglie.

UOMO, VIDEOGIOCHI, DIVANO

Kyllian Santos | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 19/04/22

Immortalato in un video virale, l'uomo è stato colpevolizzato da migliaia di commenti feroci, che però mancano il bersaglio. Sappiamo riempire l'attesa di qualcosa che non sia pura e semplice distrazione?

A Las Vegas una coppia di neogenitori ha trascorso un lungo tempo di attesa per veder nascere il proprio figlio. Il travaglio della giovane Amber Scott ha seguito una procedura definita long induction, un’induzione al parto che è andata avanti per 21 ore. Quasi un intero giorno di paziente e indolore attesa in una stanza d’ospedale. Durante queste ore la donna ha diffuso su Tik Tok il video del suo compagno che, per passare il tempo, si era portato da casa la consolle e tutta l’attrezzatura necessaria per videogiocare.

Diventato virale, il video ha suscitato migliaia di commenti feroci.

Un pessimo padre?

Di spalle, con le cuffie nelle orecchie e seduto di fronte allo schermo su cui s’intravede la schermata di uno sparatutto. Così è stato inquadrato per pochi istanti il padre protagonista dell’ennesima storia legata a un video virale su Tik Tok. Virale perché? Perché ha suscitato una fiumana di migliaia di commenti istintivi su quest’uomo giudicato – senza appello – un padre pessimo e indifferente.

Alle spalle dell’uomo inquadrato nel video c’è la sua compagna che lo ha ripreso col cellulare scrivendo come didascalia del video:

Si è portato tutto il suo sistema di gioco in ospedale durante le mie 21 ore di induzione al parto.

https://www.tiktok.com/@amberscxtt/video/7070947609732762926?is_copy_url=1&is_from_webapp=v1&refer=embed&referer_url=https%3A%2F%2Fwww.tgcom24.mediaset.it%2F&referer_video_id=7070947609732762926

Ma non era una frase polemica, Amber non voleva accusare il compagno. E infatti, a fronte della mole di commenti negativi ricevuti, la donna è intervenuta precisando,

 Nella sezione dei commenti, la mamma 28enne ha chiarito: “Va bene a entrambi. Non ho provato alcun tipo di dolore per circa 19 ore, quando era quasi il momento di spingere. E anch’io durante quelle 19 ore ho guardato film e navigato su TikTok”.

Da Tgcom24

A dirla tutta, è proprio questa spiegazione corredata al video che lascia l’amaro in bocca. E il punto non è sfornare un commento istintivo e moralista, ma guardare cosa mostra questa scena: due quasi-genitori concordi nel fare di un tempo di attesa un tempo di distrazione. Ciascuno isolato per conto suo. Siamo forse molto diversi da loro? Cosa facciamo nelle molte specie di sale d’attesa che ci offre la vita? La tentazione più forte è riempire quel ritaglio sospeso di tempo con qualcosa che eviti di farci sentire sospesi.

Lo sparatutto e il travaglio

Sullo schermo abbiamo bisogno di scene potenti capaci di stritolarci lo stomaco, nella realtà cerchiamo modi sempre più sofisticati per evitare di provare dolore.

Lo sparatutto sullo schermo, ecco cosa mi ha colpito di più nel video di cui stiamo parlando. È un tipo di videogioco veloce e pieno di puro fracasso, lo dico in tono descrittivo non polemico. Dopo una giornataccia di fatica e tensione sul lavoro, c’è chi si sfoga immedesimandosi in una battaglia e sparando in libertà. Può essere leggero e liberatorio.

Curioso vedere un quasi padre impegnato ad ammazzare avatar, lì dove qualcuno in carne e ossa sta per nascere. Voleva smorzare un momento di tensione, hanno commentato alcuni in difesa del protagonista di questa vicenda. Forse sì.

Ma assistere a un travaglio dovrebbe essere un’esperienza ben più mozzafiato di un’immaginario esercito di nemici da sconfiggere. E quel mozzafiato però si cerca di evitarlo, rendendo indolore anche tutto il processo che precede la fase espulsiva del bimbo.

labors in a birthing pool

Travagli indolori, tempi di attesa che diventano noiosi. Non condanno chi sceglie l’epidurale, piuttosto rendo ragione del senso di quello sparatutto clamoroso che è un travaglio naturale. Il dolore ci spaventa tantissimo, ci sembra un’obiezione eppure ci rende relativi. Mentro ero in travaglio, ho sempre perso il senso del tempo – c’erano minuti che passavano come ore e ore passate come un fiume in piena. Non ricordo il tempo, ma il volto di mio marito. Lo fissavo. Il dolore ha trasformato quell’attesa che è il travaglio nel mio bisogno di guardare qualcuno. Senza la tribolazione questo bisogno di relazione sarebbe venuto meno, o forse poteva rischiare di non essere così chiaro.

Eravano insieme in tre, durante il travaglio: c’era la relazione dolorosa tra me e mio figlio, in patimento entrambi, e poi c’era la relazione di sguardo e contatto tra me e mio marito (necessaria per aggrapparmi al senso di ciò che stava accadendo, oltre la fatica della sofferenza).

Rispetto a quest’ipotesi mi pare velata di amarezza la cornice di un travaglio indolore in cui ciascuno dei tre protagonisti è isolato dall’altro, chi impegnato a passare il tempo e chi a venire al mondo. E sono altrettanto certa, però, che anche chi sceglie la via del travaglio indolore possa farne un tempo fecondo di attesa, e non di pura distrazione.

Il padre che aspetta

Mio marito è molto libero nel dirlo. Se gli chiedono come è stato assistere ai travagli dei nostri figli, lui immancabilmente risponde: noioso. Ed è l’opposto di quel che sembra. Mi è rimasto accanto in modo premuroso per tutto il tempo del mio dolore crescente fino al momento delle spinte. Non poteva fare niente, se non assistere. Il padre in sala parto è presente in disparte, e deve starci anche per varie ore.

Il mio ricordo prevalente della sala parto è mio marito accanto a me. Paziente e a tratti assonnato. Pronto ad aiutarmi se chiedevo qualcosa, pronto anche a stare in silenzio e seduto se era meglio così. Perciò quando lui usa il termine ‘noioso’, intende un tempo trascorso nel modo opposto a come uno vorrebbe: l’attesa del travaglio educa a un passo diverso dal protagonismo con cui azzanniamo le nostre giornate lavorative.

L’uomo, che è l’operativo per eccellenza, in sala parto si annoia, cioé impara la presenza gregaria di chi c’è e fa tantissimo solo stando lì. Non è il soldato pieno di adrenalina dello sparatutto, ma è l’albero nella tempesta. Apparentemente inerte, in realtà solido sulle sue radici. Non ha la frenesia del fare, ma la robustezza dell’essere accanto.

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