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Quel cammino misterioso che è il perdono 

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AP/Associated Press/East News

Blanche Streb - pubblicato il 19/04/22

Senza il perdono di Gesù sulla Croce gli uomini potrebbero perdonarsi? L’autrice racconta diversi cammini di perdono, fra cui il proprio. Il perdono non è una tecnica, è un dono e un mistero: cercarlo significa già avvicinarcisi.

Siamo nell’Ottava di Pasqua e già ci attende la domenica della Divina Misericordia. Nel (frat)tempo possiamo meditare sul perdono, il cui modello supremo è quello di Gesù sulla Croce: «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). 

Ci sono perdoni che ci appaiono sovrumani. Penso a quello di Maïti Girtanner, una giovane e coraggiosa partigiana che resistette al Nazismo nella Seconda Guerra Mondiale. Arrestata dalla Gestapo, sarebbe divenuta una delle cavie per i disumani esperimenti condotti da un “medico” nazista (e qui le virgolette sono d’obbligo). Il suo carnefice spiava le proprie vittime quando queste si credevano sole. 

Un desiderio matto di perdonare 

Le parole di conforto e di speranza che Maïti aveva per i suoi compagni di sventura lui le sentiva. Fu data per morta, per le durevoli ferite fisiche e psichiche inferte nell’arco di mesi di tortura. Una volta liberata, avrebbe scoperto l’immensità delle conseguenze e delle rinunce che le si sarebbero imposte. Non avrebbe più potuto suonare al pianoforte, non avrebbe avuto figli… «Quel che non ero più dovevo accettare di darlo pienamente», avrebbe raccontato nella sua biografia “Même les bourreaux ont une âme” [Anche i boia hanno un’anima, N.d.T.], scritta con Guillaume Tabard (CLD 2006). 

Per quanto possa sembrare pazzesco, in quelle pagine la donna rivelò: «Molto rapidamente ho avuto un pazzo desiderio di poter perdonare quell’uomo». Il perdono potrebbe sembrare una debolezza, eppure – sia per accordarlo sia per riceverlo – occorrono grande forza spirituale e coraggio morale a prova di bomba, come scriveva Giovanni Paolo II nel suo messaggio per la giornata mondiale della Pace del 2001. Questo cammino si compì in lei per la grazia. Quarant’anni più tardi il medico, prossimo alla morte, cercò quella ragazza che nel suo Lager parlava dell’aldilà; la contattò, la visitò e sottovoce chiese “perdono”. 

Le tappe del perdono 

Il perdono non è l’oblio, anche se questo può aiutare nel voltare pagina, e non cancella in nulla il bisogno di giustizia. Per la filosofa Simone Weil, «non si può perdonare se non quanto si può punire». Le nostre vite sono costellate di perdoni dati e ricevuti. Alcuni sono più difficili di altri da accogliere o da formulare. Alcuni sembrano impossibili, talvolta non sono desiderati o non sembrano auspicabili né utili. Alle volte, a fronte di una ferita o di una ingiustizia, nessuno ci chiede perdono. Come perdonare? Forse ci sono, come per il lutto, delle fasi, delle tappe da attraversare e da superare? 

Per Giovanni Paolo II 

il perdono è anzitutto una scelta personale, un’opzione del cuore che va contro l’istinto spontaneo di rendere male per male. 

Il perdono è un cammino lungo e spesso doloroso, una dinamica psicologica e spirituale complessa che Jean Monbourquette, prete e psicologo, ha esplorato con dovizia di dettaglio. In Comment pardonner [Come perdonare, N.d.T.] (Bayard 2011), l’autore discerne dodici tappe che non sono presentate 

come una ricetta infallibile, ma come degli indicatori sulla via di un pellegrinaggio interiore. 

È importante, per esempio, riconoscere la propria ferita e che cosa in noi ne è stato leso. Cercare anche di portare uno sguardo lucido sul proprio offensore, sui proprî antecedenti, sui condizionamenti, per comprendere meglio e per facilitare il cammino del perdono. 

È cosa buona anche meditare sul senso che eventualmente questa ferita può assumere nella nostra vita. Per il dottor Victor Frankl, psichiatra superstite ai campi di concentramento e autore di Découvrir un sens à sa vie [Scoprire un senso per la propria vita, N.d.T.], 

l’importante è appellarsi al potenziale più elevato dell’uomo, quello di trasformare una tragedia personale in vittoria, una sofferenza in realizzazione umana. 

In ultimo non si deve dimenticare che perdonare può richiedere del tempo, e soprattutto che talvolta non se ne può essere gli autori unici. La speranza sa che il perdono può venire non dalle nostre sole forze umane, ma per-dóno. Abbiamo bisogno degli altri, e soprattutto del Completamente Altro. L’esito normale e auspicabile di un perdono è la riconciliazione, ma non sempre questa è possibile o auspicabile. Il perdono non implica necessariamente che non si ponga termine alla relazione. 

Il perdono è un mistero 

Questi consigli sono preziosi. Il perdono però non è una tecnica, una merce o una transazione. Il perdono è un mistero. Cercarlo significa già avvicinarci ad esso. Desiderarlo significa voler spezzare la catena del male. Tra le grandi ferite della mia storia, c’è quella di una serie di errori medici, che nella fattispecie ha comportato anche la perdita di un bambino. 

È tanto tempo che non aspetto più la benché minima richiesta di perdono per andare avanti: so che non arriverà. Due anni fa, però, alla fine di una conferenza, si è avvicinata a me una donna assai commossa. Era ginecologa. Tenendo fra le mani il mio libro mi ha chiesto perdono, con tenerezza e nobiltà, «a nome di tutta la sua professione». 

Una donna che non aveva nulla a che fare con i miei casi, e di cui ignoro perfino il nome, mi ha stupita – e profondamente. Così va la storia delle nostre vite, in cui tragico e meraviglioso – tanto spesso – si tengono per mano. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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