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Sasha, trovato morto il bimbo di 4 anni in fuga con la nonna da Kiev

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SASHA, UCRAINA, GUERRA

Anna Yakhno | Instagram

Annalisa Teggi - pubblicato il 07/04/22

Non si avevano notizie di lui dal 10 marzo, la nonna era stata trovata morta. La mamma: "Il nostro angioletto è già in cielo".

Il triste annuncio è comparso su Instagram, scritto dalla madre Anna Yakhno sotto una foto in bianco e nero del figlio:

Oggi abbiamo trovato il corpo di Sashenka. Ringrazio chi ha aiutato nella ricerca, ringrazio tutti per le preghiere e la fede, grazie per il sostegno. Sashenka, il nostro angioletto è già in cielo. Oggi la sua anima ha trovato pace.

da Anna Yakhno
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Finisce nel modo più tragico la storia di Alexander Zdanovich Yahno, per tutti Sasha, il bimbo ucraino di 4 anni scomparso il 10 marzo mentre fuggiva dai bombardamenti insieme alla nonna.

Sasha, in fuga con la nonna

Non si può immaginare lo strazio protratto dei genitori: dal 10 marzo è passato quasi un mese, in cui si è sperato nel miracolo. Sasha aveva appena compiuto 4 anni, il 4 marzo, e dopo pochi giorni è fuggito insieme alla nonna per fuggire all’attacco dei Russi. Da allora le notizie su di lui si sono perse. Perché non era coi suoi genitori?

I contorni di questa vicenda sfuggono, questa la ricostruzione del quotidiano Il Riformista:

Il bambino era a Vychhorod, cittadina di 25mila abitanti di periferia tra Kiev e Chernobyl. La nonna con altri otto abitanti del quartiere avevano deciso di lasciare il loro quartiere e di approfittare di una piccola barca per fuggire mentre i russi continuavano ad avvicinarsi. La donna voleva portare il piccolo dalla figlia Anna, sua madre, che vive con il marito e padre del piccolo sull’altra sponda del fiume. Il ponte era stato bombardato e quindi l’unica maniera per spostarsi era con lo scafo.

Da Il Riformista

Diverse barche hanno tentato di attraversare il fiume Dnipro per fuggire dai bombardamenti, alcuni testimoni raccontano che quella con a bordo Sasha e la nonna è stata colpita dal fuoco russo e affondata. La nonna è morta, il suo cadavere ritrovato quasi subito. Si sperava che il bimbo fosse riuscito a salvarsi perché era l’unico a indossare il giubbotto di salvataggio.

La madre Anna si è subito attivata nelle ricerche, alcune celebrità ucraine hanno partecipato agli appelli. Anche l’Italia si è mossa, la foto di un bimbo che poteva assomigliargli era circolata poi c’è stata la smentita diffusa da Chi l’ha visto.

In effetti, sussisteva l’ipotesi che si fosse soccorso il piccolo fosse portandolo via dal luogo dell’attacco sul fiume. Qualcuno sosteneva che dei soccorritori lo avessero portato al confine polacco e fatto salire su un pullman diretto in Italia con altri bambini rifugiati. Solo voci, provenienti da una terra martoriata dove tutto è confuso e distrutto. Mentre alla nostra latitudine ci si perde a cavillare sull’ipotesi fake news riguardo alle immagini sconvolgenti che arrivano da Bucha, una madre si è trovata di fronte al cadavere del figlio colpito da un proiettile. Sasha è stato ucciso mentre fuggiva.

Oggi la sua storia fa piangere il mondo intero, come la sua saranno troppe le storie silenziose di altri bambini, vittime innocenti di un conflitto che sprofonda in atrocità sempre più disumane. Sparare a un bimbo di 4 anni su una barca non è parte della logica cinica della guerra, è scegliere deliberatamente di perpetrare un male cieco e sordo in un contesto estremo che però non toglie all’uomo la possibilità di ascoltare la propria coscienza. Chiunque ha un fucile in mano non può nascondersi dietro la giustificazione di eseguire gli ordini, proprio l’orrore di altre guerre ci ha messo di fronte a esempi di soldati che hanno detto no – a costo della vita – ad atti disumani.

Il giubbotto di salvataggio

Chi era con Sasha durante la fuga lo ha protetto fino alla fine come poteva, l’unico giubbotto di salvataggio era per lui. Perché oltre al pericolo dell’attacco armato, c’era anche da attraversare il fiume. Non c’è mai solo un pericolo. Ci sono incognite dissiminate ovuque. E proteggere sembra un verbo inutile in guerra.

Penso alla bimba ucraina di 5 anni che era riuscita a mettersi in salvo in Italia, e poco dopo il suo arrivo è stata investita ed è morta. Si potrebbe leggere questo fatto dicendo: che senso ha fuggire dalla guerra per morire nel paese che ti ha dato rifugio? Ma si può leggere anche così: non siamo mai al sicuro. La guerra allarga in modo esasperato e assurdo i margini di una ferita insanabile anche nei giorni di quiete più indolente.

Che giubbotto di salvataggio possiamo mai dare ai nostri figli, abitando una terra dove l’uomo è capace di ripetere e ripete l’orrore di sparare sugli innocenti?

In mezzo a questa guerra che si protrae abbiamo annotato schegge di eventi tragici ma anche sorprendenti. Bambini che nascono nei rifugi o che cantano sotto le bombe, madri che muoiono con i propri figli appena nati e altre che riescono a darli miracolosamente alla luce dopo la fuga. Orfani di cui si perdono le tracce e bambini nati da surrogata accuditi con ogni premura, testimoni di morti atroci e testimoni di incredibile speranza.

La notizia di oggi è quella di Sasha ammazzato da un proiettile, con addosso un giubbotto di salvataggio. C’è sempre il bene anche lì dove il male non ha limiti. Quest’immagine rimette a fuoco la battaglia che non smette mai: incombe sull’umano la tentazione di soprusi aberranti, ma per quanto folle e sconcertante sia il contesto in cui l’uomo si trova a essere non gli è tolta la capacità di riconoscere cosa vada protetto.

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