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Davvero il bambino può sentirsi abbandonato già in utero?

BAMBINO, UTERO, FETO
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Paola Belletti - pubblicato il 01/04/22
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Sì, sembra proprio di sì. Eppure il legame con la madre è la sua condizione assoluta; la differenza la fa la qualità del legame e il livello di partecipazione e intensità affettiva e mentale a questa realtà biologica.

Ora, dato che la sindrome da senso di colpa cumulativo e generico colpisce praticamente tutte le mamme che sinceramente si impegnano ad essere delle buone madri, questo articolo con questo titolo parte già malissimo.

Chi ha voglia di sentirsi ancora più in colpa e per cose a cui ormai non può porre rimedio? Nessuno o forse segretamente un po' tutte quelle che hanno già almeno un figlio e magari vedono le sue piccole, grandi insicurezze e se ne domandano il perché (no, non c'entrano sempre con la sua vita intrauterina. C'entrano con la vita in generale, con la loro indole, libertà, personalità...)

Perciò, con questa strana fiducia, andiamo avanti.

Scherzo, conviene ridefinire meglio e subito il vero focus di questo contributo, che sarà valido quanto meno attingerà alle mie personali e limitate esperienze.

Fiera dell'ovvio (benedetto)

Ogni essere umano comincia la sua vita grazie all'unione di un uomo e di una donna, ma dentro il corpo della madre. E fin qui, quasi tutti, ci siamo. In questa ovvietà che scriverla oggi richiede un certo ottuso coraggio c'è anche un argine di difesa e un atto d'accusa per il trauma industrializzato della pratica dell'utero in affitto.

La cui tragedia è che ignora la teoria ormai solidissima che tutto ciò che accade fin dai primi istanti di vita tra madre e figlio (ma anche padre) influirà sul bambino e la madre per sempre.

Il legame che l'embrione, poi feto e in seguito bambino, intrattiene e non solo subisce con la madre è talmente significativo e denso fin dai primi istanti che persino la percezione di essere abbandonati affettivamente può essere fatta già in utero. E accompagnarlo per la vita futura. Ma non mai in modo irreparabile, siamo uomini, e cristiani per giunta.

Che bella notizia: "siamo nati per soffrire" come frase fatta da funeral speech cede il primo posto in classifica a un ben più scientifico e perfido "si inizia a soffrire ancor prima di nascere". Ma anche a provare gioia, a sperimentare, ad imparare. A cantare, persino...

Quando si inizia ad essere madri?

Vogliamo dare altre responsabilità alle mamme, già multitasking oltre il sopportabile, chiedendo loro di mettersi al lavoro per educare il figlio ancora prima che questi nasca?

Non è un peso, a voler ben vedere, è un ambiente da frequentare, un club esclusivo nel quale solo lei, il bambino e si spera il papà possono entrare e godersi lo spettacolo.

E', di nuovo, il primato della relazione. Non un elenco di cosa da fare, sessioni di esercizi da svolgere ogni giorno, integratori da assumere. E' un rapporto da nutrire. Sottrarsi a questa possibilità ferisce il figlio ma anche la madre.

Esperienza d'abbandono

Come può un feto sentirsi abbandonato quando è vicino alla madre nel modo più totalizzante possibile, addirittura abitando in lei?

Fosse solo per istinto ed esperienza, sappiamo che se non entriamo anche volontariamente in questo legame che è già tutto suggerito e promosso biologicamente, il rapporto col bambino e con noi stesse come madri è ridotto, è di meno di quel che può e deve essere.

In questo pertugio, in questa libertà di aderire o meno, di dedicarsi o meno con tutto sè stesse al proprio bambino (che non significa fissità di attenzione, tenuta emotiva costante, sollecitazione percettiva continua e un flusso ininterrotto di pensieri rivolto al bambino) passa la possibilità dell'amore che supplisce.

Passa la verità dell'amore adottivo, per esempio. E del vero amore di un genitori che compie la promessa "biologica", che ama come se quel figlio non fosse suo.

Un genitore adottivo supplisce con tutto sè stesso alla mancanza del discorso biologico che non ha potuto intrattenere con il figlio e anzi ne riconosce il valore in chi lo ha intrattenuto. Ma questo merita di sicuro una riflessione a parte e interlocutori qualificati a sostenerlo.

Non si è madri solo perché si porta in grembo un bambino ma sottrarsi all'altezza del compito che eccede, compie il livello solo organico è infliggere una sofferenza al bambino e a sè stesse.

Cosa passa il convento? Tutto

Ciò che vive la mamma passa in ogni caso al figlio, sia che lo voglia sia che non lo voglia. Ciò che fa la differenza è intrattenere un dialogo volontariamente orientato al bambino, rendendosi consapevoli di questa trama che pure già esiste e arricchendola il più possibile d'amore.

Non significa immaginare di evitare qualsiasi dispiacere o angustia: il mondo con il suo armamentario di inciampi e problemi, anche gravi, non ci esclude dai suoi giri di giostra solo perché siamo in stato interessante. Ciò che fa la differenza, anche in situazioni oggettivamente molto drammatiche, è proprio l'intensità e la qualità del legame.

Mamma, ti sento. Tu mi senti?

Evitare lo stress non è la cosa più importante

"Sì, stiamo passando un momentaccio, ma lo stiamo passando insieme". Questo rassicura il bambino, persino in epoche molto remote, non l'assenza di esperienze stressanti.

Non è tanto lo stress acuto anche protratto nel tempo ad influire negativamente sul bambino, ma il venir meno del contatto affettivo che costituisce il legame.

E' come se la resistenza del tessuto fosse più importante di ciò che gli si rovescia addosso.

Un grave lutto, come la perdita del partner durante la gravidanza, è l'evento che più favorisce l'interruzione del legame affettivo madre-figlio.

Sempre la Dott.ssa G.A. Ferrari, dell'Associazione 9 mesi, riporta alcuni studi, non recentissimi (Huttunem e Nykannen - 1978), secondo cui tra i bambini che avevano perso il padre prima della nascita e quelli che lo avevano perso dopo si sono rivelati più fragili ed esposti a rischio psicosi quelli del primo gruppo.

Legami e rilegature

Se questa interruzione non avviene, in forza dell'intensità del legame tra madre e bambino, nonostante la gravità dell'evento,

Persino in situazioni di guerre o catastrofi naturali persiste la possibilità e l'enorme beneficio dell'allattamento al seno. Lo abbiamo visto proprio di recente purtroppo grazie alle ricadute umanitarie della guerra russo-ucraina.

Cosa c'è di più intenso come fonte di stress che vedersi piombare addosso missili, sentire le sirene a tutte le ore del giorno e della notte, fuggire dai colpi di artiglieria che possono abbattersi anche su un reparto maternità?

La forza delle madri

Eppure ci sono giovani madri che continuano ad allattare, anche nei bunker, anche con la testa fasciata per le ferite delle schegge che hanno colpito il loro corpo messo a scudo di quello del neonato.

La cosa più tragica, in ogni storia di vita, è l'interruzione, il venir meno del legame fondante. Per questo le mamme sanno esercitare una forza che spesso la retorica deforma nei suoi toni ridondanti.

Ciò che conta non è mai la perfezione dell'esecuzione, lo svolgimento ineccepibile di un compito, ma l'esserci. Presente qui e ora come sono, come posso, a cantarti ninnenanne o a proteggerti dallo scoppio di una granata, quello dipende dal capitolo che ci tocca scrivere: quello che non verrà mai meno è il fatto che siamo scritti insieme nello stesso libro, rilegato per bene.