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Ho accolto una mamma con il suo bambino in fuga dall’Ucraina

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Courtesy of Lauriana Sapienza

Paola Belletti - pubblicato il 01/04/22

Lauriana Sapienza, assessore al Welfare del Comune di Castenaso, ha accolto due profughi dall'Ucraina; ma lei e Stefano, il marito, insieme ai 4 figli, ne hanno fatto da tempo una tradizione anche grazie all'insegnamento di Papa Francesco e Mons. Zuppi.

Conosco Lauriana Sapienza da molti anni perché abbiamo condiviso un tratto della nostra esperienza universitaria nella città di Bologna. Lei era in corsia di sorpasso, non tanto per vantaggio cronologico, di cui non ha alcuna colpa e che peraltro dissimula benissimo, ma per eccezionale rendimento e vivacità intellettuale.

Questa stessa vivacità è tuttora evidente nel suo modo di vivere e servire la comunità di cui fa parte. Nei giorni scorsi ho notato sul suo profilo Facebook la storia di accoglienza a favore di alcuni profughi dall’Ucraina di cui si è resa protagonista con la sua famiglia. Famiglia che non è affatto nuova a queste esperienze e di cui colpisce l‘intelligente “indiscriminazione” con cui si muove.

Buongiorno Lauriana, grazie della disponibilità a raccontarci di questa esperienza. Chi avete accolto a casa vostra in questi ultimi giorni?

Una donna ucraina, Zanaida, di 26 anni compiuti qualche giorno fa, – abbiamo festeggiato con una torta – insieme a suo figlio, Stefan, un bambino di sei anni. Sono scappati da Nikolaev (città nel sud-ovest del paese, vicina a Odessa, Ndr) che ora è la più bombardata.

E’ sposata con giovane che è rimasto in Ucraina con i militari ma opera come staffetta, non combatte, aiuta con i rifornimenti di viveri, informazioni e munizioni. Non ha fatto il militare e quindi non si è arruolato. Lei lavorava in un’agenzia di disinfestazione, faceva l’operaia, e suo figlio avrebbe cominciato la prima elementare quest’anno.

Le immagini che ci raggiugono da un mese abbondante a questa parte ci mostrano un flusso continuo di donne, anziani e bambini in fuga, anche a piedi. Loro come hanno raggiunto il nostro paese?

Hanno viaggiato coi mezzi pubblici, pagandosi i biglietti per autobus e treno e hanno raggiunto qui Stefan, che è il papà del marito di Zanaida, cioè il nonno paterno che lavora come assistente familiare insieme alla moglie ormai da 10 anni a Bologna. Sono arrivati a Bologna dopo un viaggio lungo sei giorni attraverso Polonia, Moldavia e infine l’Italia.

Come comunicate tra voi?

Con Google translate: io scrivo italiano, Google me lo traduce in ucraino e lo faccio leggere a lei; al bimbo che non sa leggere lo faccio ascoltare. Lei fa lo stesso e così cerchiamo noi di imparare un po’ di ucraino e loro l’italiano.

Di cosa hanno soprattutto bisogno e cosa li consola un po’ in questi giorni?

Stefan il bimbo si diverte moltissimo con Filippo, il nostro ultimo figlio, che ha 15 anni e che è molto bravo ad attaccare bottone e a giocare coi bambini. Si infila anche sotto le mie coperte, ha bisogno di contatto fisico e di giochi, direi.

Quando sono arrivati erano sotto shock?

Lei è depressa senza dubbio, piange molto e sente molto il bisogno di stare a casa, ma mi ha anche chiesto del corso di italiano e così la porto a frequentarlo. Ho potuto farlo subito perché li conosco tutti i corsi di italiano per stranieri in città e in zona.

Poi so che si sente molto con suo marito, fanno lunghe video chiamate e la consola anche la presenza dei suoceri; le mostrano come ci si muove in città a Bologna e come funziona la vita qui, la portano in giro. La aiuta molto anche sapere di poter essere autonoma, di poter cucinare ciò che desidera e di poter fare tutto quello che vuole a casa nostra. In sintesi direi che per stare meglio in questa situazione hanno bisogno di accoglienza, autonomia e vicinanza.

Quando pensano all’Ucraina piangono, soprattutto lei; quindi anche concentrarsi su quello che hanno perso e pensare a cosa faranno quando torneranno lì è una prospettiva devastante. Avrebbero bisogno di essere aiutati a elaborare il trauma che li ha colpiti.

Ci sono aiuti in questo senso?

Non ancora ma stanno partendo.

So che come assessore al welfare di Castenaso stai anche attivando progetti per integrare i profughi, donne e bimbi; non solo quindi sul fronte dell’accoglienza abitativa ma anche il passo successivo, lavoro e scuola, giusto?

I progetti per integrare i profughi ci sono già ilSAI (Sistema Accoglienza Integrazione) è il principale. Finanziato dal Ministero dell’Interno su scala nazionale per il quale la regione Emilia Romagna è una eccellenza, una vera bomba: è la regione che ha la più grande struttura SAI di tutta Italia.

Al contrario dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), devastati da interventi di certa parte politica che ha di fatto distrutto il sistema di accoglienza italiano imponendo e propagandando un modello anti-rifugiato. Hanno abbassato il capitolato a cifre ridicole in cui nessuna cooperativa seria può davvero operare.

In questo scenario intenzionalmente disastrato ha resistito solo il SAI, che funziona con accoglienza diffusa gestita in appartamenti pubblici o privati; il proprietario dell’appartamento stipula regolare contratto d’affitto con un ente gestore, una cooperativa che si occupa di integrazione di migranti, a un normale prezzo di mercato, ed è tutelato da garanzie. Inoltre la cooperativa attiva progetti di integrazione linguistica, scolastica e lavorativa per gli immigrati ospiti. Entrare nel SAI è la cosa giusta.

Stiamo già anzi stanno raccogliendo in tutta la regione le disponibilità di chi ha appartamenti vuoti, ma anche dei Comuni. Ma per allargare questo tipo di accoglienza non emergenziale, strutturata, che favorisce davvero l’integrazione, serve tempo: il tempo per cambiare le leggi, oltre alla volontà politica. In questo momento, dato il numero di arrivi di profughi, sta intervenendo la protezione civile che installerà le tende, (quando ci siamo sentite, 6 giorni fa l’arrivo delle tende era previsto per l’indomani, Ndr) che è un intervento di emergenza, per tamponare. Si arriva a questo proprio perché prima non ha funzionato l’accoglienza come andrebbe fatta.

Il progetto all’interno del quale siete stati coinvolti voi nell’accoglienza di mamma e bambino invece qual è?

Si tratta del Progetto Vesta, che non lavora in emergenza perché l’accoglienza in famiglia ha criteri diversi, ci vuole un corso e servono tanti incontri per mettere insieme le aspettative di chi è accolto con quelle di chi accoglie, sono cose molto più delicate. In questo momento ho potuto accogliere subito e con pochissimo preavviso perché noi avevamo già lunga esperienza: ci hanno chiamato e nel giro di meno di un’ora avevamo già accolto mamma e bambino.

Come funziona per le famiglie che accolgono? che risorse ci sono per voi e quali per chi ospitate?

L’accoglienza prevede un rimborso per le famiglie e progetti come ti dicevo di integrazione linguistica e scolastica per chi è ospitato. A Castenaso stiamo accogliendo in emergenza, ma noi ci siamo già attivati in fretta con molte cose.

Come assessore e insieme al sindaco di Castenaso ritengo che ci possiamo veramente considerare bravi, abbiamo attivato corsi di italiano, sfruttando scuole che c’erano già; da noi l’attenzione all’ inclusione e integrazione linguistica è alta e consolidata, in particolare grazie alla scuola Penny Wirton, (fondata da Eraldo Affinati e dalla moglie che hanno messo a punto un metodo di insegnamento della nostra lingua per stranieri immigrati one to one) e ad un’altra scuola di italiano gestita da un’associazione che si chiama Sopra i ponti che propone corsi per sole donne con bambini, tenendo conto degli orari in cui le mamme possono assentarsi.

In queste due realtà abbiamo mandato subito diverse donne coi bambini. Stavamo già collaborando con loro, ma poi ci stiamo muovendo con altre due scuole che stiamo attivando noi. Trovo gli insegnanti grazie alle disponibilità di chi si candida, hanno un numero Whatsapp a cui scrivere, la gestione è molto rapida ed efficace.

Come avete fatto ad essere pronti in tempi così rapidi?

Abbiamo visto prima che l’onda stava arrivando. Non appena abbiamo saputo che un hotel Covid a San Lazzaro si stava riempiendo di profughi dall’Ucraina abbiamo capito: i prossimi siamo noi. Il sabato ci siamo messi al lavoro definendo subito un protocollo, così quando hanno cominciato ad arrivare, la domenica, sapevamo già chi doveva fare cosa.

Per l’integrazione scolastica come vi state muovendo?

L‘integrazione scolastica non è semplice. Ci stiamo lavorando perché il problema è che i bambini non hanno le vaccinazioni obbligatorie che noi abbiamo. I bambini che arrivano non hanno i vaccini obbligatori, per questo vengono sottoposti al test Mantoux, un esame ematico che rivela se ci sono gli anticorpi per la TBC (di cui loro sono spesso portatori). Se li hanno bene, altrimenti ricevono il vaccino. Così avviene anche per altre malattie: si fanno i test per gli anticorpi e se necessario si procede alla vaccinazione, in modo molto rigoroso.

Ma questa fase necessita di tempo. Devo dire che anche in questo caso ho visto una risposta vivace e corposa dei volontari. C’era il problema di chi portasse i bambini a fare i test e i vaccini. Si è organizzato un giro di volontari che con i pulmini del comune li accompagna, li aspetta, li riporta. C’è una rete di solidarietà forte e viva: non solo peranche per la raccolta beni. Ci sono due depositi uno per la raccolta e uno per la distribuzione con orari differenti.

(E qui faccio un appunto a me stessa: sono stata lenta io nel pubblicare la nostra intervista, nelfrattempo l’integrazione scolastica è andata avanti e ad oggi il Ministro Bianchi dichiara che i bambini ucraini inseriti nel nostro sistema scuola sono 8455. Ndr)

Scuola, dunque, salute correlata all’inserimento scolastico ma anche sul capitolo lavoro state già operando

Sì, è appena partita la raccolta di tutti i loro curriculum in collaborazione con l’assistente sociale, una cooperativa che si occupa di inserimento lavorativo per migranti e una mediatrice culturale. Siamo i primi a partire su questo. Il nostro intento è prima di tutto raccogliere il loro vissuto, vogliamo come prima cosa metterci in ascolto: sapere cosa facevano lì, cosa vorrebbero fare, senza obbligarli, senza proporre loro i lavori che non vogliono fare gli italiani, perché anche questo sarebbe un odioso sfruttamento.

Quello che traspare sempre da come parli è che li guardate come persone, integralmente e non come soggetti portatori di bisogno e basta

Certo è così, persone a 360 gradi.

Come si impara sui libri, ma meglio con la vita, non ci sono solo bisogni primari, di pura sopravvivenza.

Per questo abbiamo già messo in campo diversi laboratori per i bambini al mattino: musica, disegno e persino una scuola di magia, specifica per i disabili. Siamo pieni di cose così, meravigliose.

Ma tornando a casa tua, così senza troppo preavviso tanto so che non ti scomponi, a voi che accogliete cosa succede, cosa “ottenete”?

Per noi innanzitutto è normale, non è niente di speciale, è la nostra quotidianità. Otteniamo una grande apertura mentale, la capacità di accogliere il diverso, di tutti i colori; i nostri 4 figli hanno una apertura e una visione del mondo molto diversa dai loro coetanei, non si attardano su particolari irrilevanti, su come sei vestito, che odore hai, che cosa mangi: ci semplifichiamo la vita e andiamo all’essenziale.

Anche cedendo la vostra camera da letto matrimoniale, ho letto sui giornali

Sì assolutamente, ma noi stiamo bene. La soluzione che ha trovato Stefano, mio marito, per me è molto romantica: un angolino in mansarda con materasso nuovo, le luci, è un nido e a me piace da morire.

Non assumete nessuna posa in merito all’accoglienza, sembra una cosa del tutto metabolizzata.

Quella di accogliere è una tradizione che abbiamo iniziato ormai 10 anni fa.

Cosa o chi vi ha portato ad aprirvi all’accoglienza?

Ci ha portato a questa scelta condivisa l’emergenza profughi dal Mediterraneo che partivano dalla Libia e morivano in mare; nel 2014 Letta fece l’operazione Mare Nostrum, prima degli accordi Minniti che sono stati uno scandalo e tuttora la UE paga la polizia croata per manganellare (o peggio, Ndr) chi attraversa la rotta balcanica quindi c’è tuttora un’ipocrisia inaccettabile, tra migranti di serie A e di serie B. Ci ha portato l’emergenza di quel momento e avere aperto gli occhi su questa realtà, essersi resi conto di un razzismo intollerabile in diversi ambienti, anche in alcuni legati alla chiesa, purtroppo.

Invece il Papa da questo punto di vista è un faro. Se devo dire chi ci ha in qualche modo accompagnato in questo passo penso a Papa Francesco, insieme al Card. Zuppi: loro hanno dato il “la” alla nostra famiglia.

La nostra prima esperienza concreta è stata con i terremotati dell’Emilia nel 2012, poi negli anni abbiamo accolto chiunque.

La vostra sembra una accoglienza “indiscriminata” perché il vero discrimine è il bisogno della persona, chiunque sia, da qualsiasi luogo provenga

Abbiamo accolto tutti, chiunque fosse discriminato, chi fuggiva da guerre, terremoti, donne vittime di tratta…

E’ proprio così: l’unico discrimine è la persona. Infatti nell’accoglienza a queste donne e bambini dall’Ucraina bisogna stare attenti a non penalizzare tutti gli altri che già sono nei SAI, che già sono qui: rifugiati politici, con violenza subita alle spalle. Valgono tutti allo stesso modo. Però ti confesso che se per trovare una sistemazione per profughi africani si sputa sangue è invece molto più semplice trovarla per donne e bimbi bianchi con gli occhi azzurri.

Incontrando e accogliendo molte persone cosa hai capito della pace, di come si custodisce e costruisce?

Bella questa domanda, però non so se ci ho capito qualcosa! Provo.

È un modo di guardarsi la pace, di trattarsi: è mettere la relazione al primo posto, è entrare in empatia con l’altro, conoscere sè stessi, i propri sentimenti ed essere capaci di immedesimarsi nei sentimenti e nella cultura degli altri. Non partire da un modello a cui l’altro deve conformarsi, non pensare di avere la verità in tasca. Bisogna abbandonare il dover essere in un certo modo. E così si costruisce la pace, scendendo dal piedistallo e anche riflettendo sulla gestione del potere. Il potere è anche volere che si faccia sempre e solo come dico io, persino in cucina: per questo sono convinta che sia necessario cominciare in famiglia.

Costruire la pace significa accogliere l’altro come è, coi suoi bisogni, come era prima, con la sua abilità e i suoi gusti in cucina, per esempio. Se fossi gelosa delle mie cose non potrei mai accogliere così come facciamo. Quindi è questa la pace.

Avete mai avuto paura? ci sono state esperienze negative?

Mai avuto paura, e sì abbiamo avuto esperienze negative e li abbiamo letteralmente buttati fuori.

Primo caso, un italiano: figlio primogenito di 7, siamo anche associati all’Associazione Nazionale Famiglie Numerose; era un giovane, un uomo ormai di 27 anni che prendeva in giro i genitori dicendo che faceva l’università e invece stava in pigiama tutto il giorno. Dopo due settimane l’ho buttato fuori.

C’è di tutto.

Il secondo caso negativo è stato quello di un ragazzo africano; era un pusher che imbrogliava, ma ce ne siamo accorti subito, te ne accorgi. Per cui niente paura.

L’esperienza che ricordi invece come più significativa?

L’accoglienza più bella è stata quella di una mamma con un bambino; lei ha una storia che ho imparato poco a poco, per dirti che non abbiamo mai avuto paura nemmeno in questo frangente. Era stata cacciata dal progetto SAI perché aveva mandato all’ospedale le sue compagne per le botte. Ci dissero: “la prendete?” e noi: “Sì”.

E’ arrivata da noi col suo bambino, è originaria del Camerun; è stata a casa nostra quasi un anno e aveva alle spalle una storia incredibile: suo padre si fa fare un prestito di 40mila dollari, non riesce a pagarlo allora vende la figlia allora 15enne all’usuraio, lei scappa; l’usuraio di 65 anni uccide il papà. Lei va al funerale e spuntano 17 figli, suoi fratellastri, fatti con non so quante mogli, per mantenere i quali si era indebitato. Viene presa dall’usuraio, che la costringe a prostituirsi in un bordello.

Riesce a scappare aiutata da un ragazzo, da cui ha un bambino; ma l’usuraio le uccide il ragazzo e le rapisce il bambino. Arriva in Libia dove subisce stupro di gruppo come tutte, rimane incinta, viene buttata nel barcone, arriva qua e partorisce. Entra nel progetto SAI, ma non si fida di nessuno, nemmeno di noi all’inizio.

Mentre è qua pian piano recupera fiducia nelle persone, nella vita, nel futuro e nella possibilità di avere relazioni sane. Con questa nuova forza riesce tutto da sola a fare il ricongiungimento col primo figlio ancora ostaggio dell’usuraio. Una ragazza teneva d’occhio il bambino a distanza e la avvisa quando l’uomo va in vacanza. Lei convince l’ambasciata italiana a fare il test del dna al bimbo, gli compra il biglietto, lo fa partire per l’Italia. Tutto al telefono, da qua.

E quando siamo andati a prenderlo all’aeroporto lei lo vede e sviene, io non ti dico.

Adesso vive qua con entrambi i figli. Ecco mi ha appena mandato un messaggio, chiede come stiamo, aspetta che le scrivo…

Questo per rispondere alla domanda “cosa otteniamo”: storie pazzesche, arricchimento incredibile delle nostre vite, la capacità di voler bene a persone che ne hanno bisogno e da cui ricevi un mondo di bene.

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