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“Mandamene una”: la sorprendente preghiera di una suora per una persona affetta da dipendenze

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Suor Catherine Marie - pubblicato il 30/03/22

“Dove vivevi prima di venire qui, Tom?” “All'inferno”

Non ho mai amato leggere i quotidiani, e uno dei nostri dipendenti ha dovuto faticare non poco per farmi leggere un articolo che pensavo avrebbe potuto interessarmi. Dopo aver visto la fotografia che accompagnava il testo mi sono interessata.

Era la foto di un vecchio banco in una chiesa abbandonata con aghi per drogarsi usati conficcati nel legno. Sono rimasta sconvolta. Dopo aver letto l’articolo, ho visto un link a un’intervista video online. Ho guardato la storia di una donna che viveva sotto un sottopassaggio vicino a quella chiesa. Non solo aveva toccato il fondo, ma aveva deciso di rimanerci. Ho riguardato il video, e con grande pietà ho osservato i suoi occhi scuri e apparentemente morti e mi sono chiesta cosa si potesse fare per aiutare quelle persone senza speranza, ed è nata una preghiera spontanea: “Mandamene una”.

Un paio di giorni dopo, le mie preghiere sono state esaudite. Un operatore sociale di un ospedale locale ci ha chiamati chiedendoci di prendere con noi un uomo che era proprio di quella zona di Philadelphia. Aveva il cancro e aveva perso una gamba in un incidente mentre era sotto l’effetto dell’eroina. L’incisione sanguinava spesso visto che il fegato era stato danneggiato e non riusciva a produrre abbastanza piastrine per coagulare. La scarsa alimentazione impediva di guarire. In breve, era veramente nei guai, e ci hanno detto che non gli restava molto da vivere. Dopo aver riempito tutti i formulari necessari, è quindi venuto a stare con noi.

All’inizio, essendo così malato, era grato, e noi eravamo ovviamente felici di aiutarlo. Presto, però, sono iniziati i “capricci”. A volte una semplice richiesta o spiegazione portava a oggetti lanciati per tutta la stanza. Una vita di vizio non ti rende virtuoso dal giorno alla notte. E così è iniziato l’amore difficile. Tom non aveva parenti che lo chiamassero o venissero a trovarlo, pur avendo figli e nipoti. Nei primi giorni non menzionava alcun familiare. L’unica persona che veniva a trovarlo era un amico che lavorava sulle macchine con lui. L’unica passione che l’eroina non aveva distrutto era l’amore che Tom nutriva per le macchine.

Ricevendo una buona assistenza, la salute di Tom ha iniziato a migliorare, e quando il suo amico lo ha visto continuare a respingere coloro che stavano cercando di aiutarlo anche lui ne ha avuto abbastanza. L’ultima volta che è venuto a trovarlo, Tom parlava di tornare ancora sulle strade di Philadelphia. L’amico se ne è andato dicendo: “Non posso guardarti mentre ti uccidi. Qui hai una possibilità”.

In un certo senso, la perdita di una gamba è stata una benedizione per Tom, perché ha complicato il progetto di andarsene. Era debole e dipendente dagli altri, che dovevano aiutarlo a salire e scendere dalla sedia a rotelle. Aveva molto tempo per pensare, e lentamente i capricci sono diminuiti. Una mattina, mentre Tom era sulla sedia a rotelle a fare colazione, è sembrato arrivare a una svolta grazie alla cosa più semplice. L’ho visto aggiungere dello zucchero ai suoi cereali, e mi sono avvicinata. Con le mani sui fianchi e un leggero sorriso ho detto: “Stai aggiungendo dello zucchero ai cereali!”

“E allora?”, ha detto lui mettendosi sulla difensiva.

“Mi ha ricordato mio padre. Faceva la stessa cosa”. Questo la sorpreso, ma aveva le difese ancora alzate.

“E sono sicuro che ha avuto una vita lunga e felice”.

Sorridendo di più ho detto: “No, è morto prematuramente”.

Tom mi ha guardato, stringendo le labbra per cercare di non ridere. Alla fine non ce l’ha fatta più ed è scoppiato in una risata. Ha detto che gli dispiaceva di averlo detto e di riderci sopra. Gli ho detto che non c’era problema e abbiamo riso entrambi – una barriera era stata abbattuta. Uno dei membri dello staff, vedendolo di umore migliore, ha cercato di parlarci.

“Dove vivevi prima di venire qui, Tom?”, gli ha chiesto.

Dopo una pausa, lui ha risposto: “All’inferno”. È sembrata una cosa strana da dire, ma poi ha sorriso e ha detto: “Ma non è più così”.

Circa una settimana dopo, ho visto Tom in cappella. Mi ha chiesto se c’erano problemi per il fatto che stesse lì. Ovviamente ho detto di no e che era il benvenuto in qualsiasi momento.

“Penso di appartenere a questo posto”, ha detto. L’appartenenza ha iniziato a diventare qualcosa che avrebbe accettato sempre di più. Tom non è mai diventato cattolico, ma una volta ha assistito alla Messa. Non sembrava voler andare oltre, e noi non lo abbiamo forzato. Ha vissuto con noi per più di un anno dopo quell’episodio, finché il cancro non ha avuto la meglio su di lui. Almeno era circondato da chi pregava per lui in questa vita e in quella futura. E non ho mai rimpianto che Dio avesse risposto a quella preghiera di mandarlo da noi.

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Per conoscere meglio le Suore Domenicane di Hawthorne, visitate per favore il nostro sito web,www.hawthorne-dominicans.org, o chiamate il numero 845-745-1319.

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