Il teologo Jean-François Colosimo analizza le conseguenze delle relazioni ambigue tra il patriarca Kirill e Vladimir Putin. Secondo lui, i due sono condannati a cadere insieme.
Laurent Ottavi: Lei ha ricordato che Putin e Kirill sono della stessa generazione. A parte l’età, che cosa accomuna i due?
Jean-François Colosimo: In Russia, dopo il 1989 soltanto due istituzioni si sono rialzate dalle macerie del comunismo: il KGB e la Chiesa, che tra loro avevano vecchie aderenze. Kirill entrò immediatamente nella corsa per diventare patriarca, scopo a cui giunse nel 2009.
Da principio aveva una reputazione progressista ed ecumenica, che però fu presto rovesciata nella piega di un anti-occidentalismo tipico del nuovo regime autoritario, e l’ecclesiastico si conformò alla politica estera di Putin. Divenne in qualche modo il suo ministro degli affari religiosi. Allo stesso modo in cui Putin dirige una federazione multietnica, multiconfessionale e multilinguistica, Kirill presiede in nome dell’Ortodossia il Consiglio Religioso di Russia, che riunisce il grande rabbino per il Giudaismo, il grande muftì per l’Islam, il grande lama per il Buddismo, quanti cioè la Duma (il Parlamento) ha consacrato come i rappresentanti delle religioni “autenticamente russe”, a discapito di qualsivoglia altra cultura straniera.
Per quanto riguarda gli Esteri, infatti, il patriarca e il despota professano la medesima ideologia dell’unità del “mondo russo”, altrimenti detta di una Russia che ingloba tutte le popolazioni russofone. Questo pan-russismo imperiale è stato possibile per il fatto che il Comunismo non ebbe una sua Norimberga. Putin e Kirill sono due esemplari superstiti dell’homo sovieticus. Si trovano sull’oblio dei gulag, sul rifiuto dell’ordine internazionale e sulla negazione dei diritti dell’uomo.
L. O.: Che cosa si apportano l’un l’altro?
J.-F. C.: Kirill e Putin sono animati da un medesimo progetto di restaurazione. Il patriarca cerca di affermare la grandezza della Chiesa russa come il presidente intende riaffermare la grandezza dello Stato russo. All’interno, la Chiesa riprende il ruolo già devoluto al Partito comunista. Essa si occupa del patriottismo, della moralità, delle norme sociali e del reclutamento delle élites.
Kirill intende imitare in questo contesto la rappresentazione che si fa di un cattolicesimo del XIX, in realtà mai esistito, di una Chiesa-caserma che avrebbe retto la società. Egli vorrebbe farle sostenere, fuori tempo massimo, le grandi lotte contro la Modernità con una modalità inquisitoriale che non è tradizionalmente ortodossa. All’esterno, Kirill apporta il proprio soccorso diplomatico a Putin. Il patriarcato di Mosca è la sola istituzione russa che copre ancora l’integralità della ex URSS. Egli vi fonda le manovre geopolitiche dell’attuale regime. Le rappresentanze del patriarcato di Mosca in Bielorussia, in Ucraina ma anche nei paesi baltici o in Kazakistan o nelle repubbliche d’Asia centrale sono di fatto delle ambasciate in seconda.
Con le sue estensioni negli ex paesi satelliti e nelle ex repubbliche sorelle, ma anche in Europa e nelle Americhe, il patriarcato di Mosca pesa pressappoco il 50% del mondo ortodosso, e beneficia di importanti risorse diplomatiche e finanziarie riservategli dallo Stato russo. I due uomini camminano dunque mano nella mano tanto in politica interna quanto in politica estera. L’aspersorio benedice il manganello o, per aggiornare il frasario, il turibolo incensa il missile.
L. O.: Come Kirill tenta di affermarsi nel mondo ortodosso?
J.-F. C.: Per affermare la propria egemonia, Kirill ha ingaggiato un braccio di ferro col patriarca di costantinopoli, Bartolomeo. Ora, il primate di tutti gli ortodossi del pianeta, risolutamente iscritto nel cammino ecumenico e che è il primo capo spirituale ad aver promosso l’ecologia (come riconosce papa Francesco), incarna un’ortodossia diametralmente opposta a quella sciovinista, conservatrice, moralizzatrice e clericale di Kirill. Due concezioni dell’umanità, del mondo e del cristianesimo si oppongono.
Come Stalin, Kirill tende a misurare la potenza dal numero delle divisioni, e dunque a sottostimare Bartolomeo. Egli non vede che quest’ultimo ha da parte sua la storia, la misura, l’esperienza e il primato. Kirill ha deciso dunque di non venire al grande concilio panortodosso che Bartolomeo ha riunito a Creta nel 2016, e ha trascinato nel suo rifiuto il patriarcato di Antiochia, la Chiesa di Bulgaria e la Chiesa di Georgia. Lo slancio conciliare si è così affievolito.
Kirill sovrastima invece le proprie capacità, e difatti l’Ucraina è diventata un problema sia per lui sia per Putin.
L. O.: Perché?
J.-F. C.: Se il patriarcato di Mosca rappresenta il 50% del mondo ortodosso, l’Ucraina costituisce il 40% del patriarcato di Mosca. Ora, lo scontro frontale fra Putin e l’Occidente avviene sul terreno dell’Ucraina, e in particolare fra la Crimea e la provincia orientale di Donetsk. La tensione è salita dal 2014, con i moti di Maidan.
Putin però sottovaluta enormemente la sussistenza della nazione ucraina: nel 1991 l’indipendenza è stata votata dal 92% della popolazione. Gli ortodossi sono maggioritari, ma divisi: oltre alla Chiesa di Mosca esistono due chiese autonome, una delle quali prosegue il movimento catacombale apparso sotto il comunismo, mentre l’altra è stata creata da Filarete di Kiev, antico discepolo di Nicodemo, per soddisfare la sua ambizione personale.
Oggi dunque essere insieme ortodossi e ucraini diventa sempre più difficile: come appartenere a un centro di autorità spirituale alleato a un potere politico ostile?
L. O.: L’indipendenza ecclesiastica ucraina è avvenuta?
J.-F. C.: Nel 2019 il patriarcato di Costantinopoli ha accordato alla Chiesa di Ucraina lo statuto di autocefalia, altrimenti detto di autogoverno. Kirill ha rotto la comunione con Bartolomeo, l’ha dichiarato scismatico e gli ha negato ogni diritto primaziale. Il caso ferisce l’intera ortodossia, perché le Chiese locali sono state e sono costrette a scegliere il loro campo.
Kirill avrebbe utilizzato tutti i mezzi di pressione che la politica estera del Cremlino mette a sua disposizione: alla fine del 2021, mentre Putin si proiettava (mediante la tristemente celebre divisione Wagner) nel Mali e in Africa Occidentale, Kirill ha scatenato uno scisma nel patriarcato di Alessandria, a cui spetta la giurisdizione nel continente africano e che si era detto favorevole all’indipendenza della Chiesa di Ucraina.
L. O.: I destini di Vladimir Putin e di Kirill sono legati a tal punto che i due rischiano di cadere insieme?
J.-F. C.: Per Putin, l’Ucraina esiste unicamente integrata alla Russia. Egli non s’immaginava che le popolazioni etnicamente o linguisticamente russe avrebbero fatto blocco con la resistenza patriottica. Kirill neppure prevedeva che i vescovi della Chiesa ucraina moscovita, da lui mantenuta attiva contro quella indipendente, si sarebbero poco a poco allontanati da lui per entrare a loro volta nell’altra comunione.
Giustificando una guerra ingiusta, per giunta fratricida, Kirill è diventato motivo di scandalo per gli ortodossi, ma anche per i cattolici e per i protestanti. Sì, seguirà Putin nella sua caduta, anche se non necessariamente subito. Il più grande nemico della Russia oggi è Putin, così come il più grande nemico dell’Ortodossia è Kirill.
Senza l’Ucraina, il patriarcato di Mosca è una Chiesa fra le altre in seno al mondo ortodosso: non può più far valere il suo peso quantitativo per agire un rovescio politico del primato spirituale, e dunque non gli resterebbe che sottomettersi e riformarsi.
L. O.: Esiste in Russia una frattura fra clero e fedeli?
J.-F. C.: La Chiesa russa è oggi costituita al contrario del modello piramidale che di norma regge le comunità umane: i fedeli sono migliori dei preti, i quali sono migliori dei vescovi. Per ragioni d’interesse, la gerarchia condivide l’ideologia di Kirill.
Allo stesso modo in cui Putin ha messo la mordicchia alla libera stampa e ha perseguitato l’opposizione, Kirill non ha cessato di purgare il corpo ecclesiastico da tutti gli elementi contestatarî. E tuttavia sussiste un’opposizione interna: si moltiplicano le petizioni contro l’attuale patriarca. Siamo meno lontani di quanto si potrebbe pensare da un risveglio della spiritualità russa e slava, conforme allo spirito di Gogol’, Dostoevskij e Solženicyn.
L. O.: Quali opportunità il mondo ortodosso può trarre dagli eventi attuali?
J.-F. C.: Abbiamo assistito a uno spettacolare rovesciamento d’immagine, nello spazio di un mezzo secolo. Da una Chiesa spirituale, quasi immateriale, della contemplazione, della preghiera e della liturgia, siamo passati a una specie di sopravvivenza arcaica, minacciosa, incapace di comprendere la modernità, che confonde il politico col religioso.
Non fermiamoci alle apparenze: la questione ormai è di sapere come gli ortodossi torneranno all’essenziale, che è l’Evangelo, scrostando le sporcizie della Storia. Il patriarcato ecumenico vi è disposto perché conosce, per esperienza propria, il valore ultimo delle tragedie storiche. Egli ha saputo trasformare le proprie difficoltà in regno, come si dice sul Monte Athos, a immagine del Dio che si rende impotente perché si manifesti la vera potenza, quella della Risurrezione.
L’ortodossia ha molto da apportare ai dialoghi ecumenico e interreligioso, nonché alla cultura planetaria dello scambio. La visione costantinopolitana è molto vicina al cattolicesimo del Vaticano II, quella di una Chiesa che invita a riconoscere in Cristo il Salvatore del mondo perché è il Servitore dell’umanità.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]