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Il terzo figlio della Parabola “del figliol prodigo” 

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Brooklyn Museum

James Tissot, Il ritorno del figlio prodigo (part.), Acquarello, Brooklyn Museum

Mickaël Le Nézet Mickaël Le Nézet - pubblicato il 29/03/22

Parroco a Rochefort, padre Mickaël Le Nézet commenta la parabola del Figliol Prodigo, dal Vangelo della IV domenica di Quaresima (Lc 15,1-3.11-32). Dietro i due figli ignari dell’amore del padre, c’è un Figlio che vive pienamente la sua relazione di amore col Padre. In lui, noi siamo creature nuove.

In questa quarta domenica di Quaresima, prendiamoci il tempo di guardare il padre che Gesù offre alla nostra contemplazione. Non soltanto egli ci fa gustare l’amore misericordioso del Signore, ma ci fa comprendere anche la relazione filiale alla quale tutti siamo chiamati.

Vedete infatti la generosità del padre del Vangelo, che dà i suoi beni ai suoi due figli, ai servitori pane in abbondanza, e non bada a spese per festeggiare il ritorno del piccolo, che si era perduto (Lc 15,1-3.11-32). Come scrive sant’Agostino, la misura dell’amore è amare senza misura.

Tale è la bontà del Signore per i figli di Dio che siamo. L’amore di Dio non ha limiti. Dio ama appassionatamente, profondamente, dando a fondo perduto a quanti si rivolgono a lui. Anzi è lui che sembra mendicare in cambio il nostro amore, come si manifesta ancora nell’atteggiamento del padre del Vangelo. Si è affaticato fino allo sfinimento nell’attendere il ritorno del figlio, scrutando l’orizzonte pronto a correre verso di lui e a coprirlo di baci. 

È toccante questo padre, che non fa alcun rimprovero né al più giovane né al primogenito, che pure è adirato per il modo di fare del padre. Lui, al contrario, ha parole e gesti che calmano, che consolano e che rialzano: 

Non si adira, non serba rancore, non si crogiola nell’ingiustizia ma si rallegra nella verità; tutto scusa, tutto sostiene, tutto spera, tutto sopporta. 

1Cor 13,5-7 

Dio ama, e non cessa di amare: 

Vedete che grande amore ci ha dato il Padre perché siamo chiamati figli di Dio – e lo siamo realmente, 

1Gv 3,1 

scrive san Giovanni. 

Né liberi né responsabili 

E il progetto di Dio è appunto che diventiamo suoi figli, realizzandoci in questa relazione d’amore progredendo cioè in tutta fiducia sul cammino della vita sospinti dall’amore di Dio nostro Padre. Il suo desiderio è che diventiamo esseri liberi e responsabili. Ma non è questo ciò che accade ai due figli del Vangelo. 

Il maggiore non è infatti né libero né responsabile della sua vita. Vive come un servitore e non come un figlio. «Da tanti anni ti servo senza trasgredire i tuoi ordini» (Lc 15,30). La sua relazione col padre si riduce ad obbedire agli ordini eseguendo il lavoro assegnato. Non si sente mai autorizzato a domandare qualcosa al padre, a godere di tutti i beni che pure ha a disposizione. Eppure, «figlio mio, tutto quanto è mio è tuo» (v. 31). E noi percepiamo che questo modo di essere e di vivere non apporta gioia al figlio maggiore, ma solo tristezza, collera, gelosia e amarezza. 

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James Tissot, Il ritorno del figlio prodigo, Acquarello, Brooklyn Museum

Il figlio più giovane ha pensato invece che sarebbe stato libero affrancandosi da questa relazione filiale. Egli ha creduto di poter riuscire da sé stesso a liberarsi e a godersi la vita. Il sogno si è rapidamente trasformato in incubo, perché ben presto il giovane avrebbe fatto esperienza della nudità, della desolazione, e si sarebbe anche disposto a diventare un operaio del Padre piuttosto che restare un figlio. Per riprendere un’espressione di Maurice Zundel, non possiamo dire che questi due figli siano ancora nati alla loro umanità. Uno non ha compreso di essere amato per sé stesso, pienamente e gratuitamente, e l’altro che lo era in modo incondizionato. 

Una creatura nuova 

C’è però un terzo figlio che si nasconde in questa parabola, ed è il Figlio unigenito di Dio, Gesù Cristo, il primogenito di una moltitudine di fratelli. Lui, al contrario, vive in pienezza la sua relazione cl Padre, in un ascolto fiducioso del Padre. Da lui riceve tutto. Il Padre e lui non sono che una cosa sola.

In verità, in verità vi dico: «Il Figlio non fa nulla da sé, fa solo quello che vede fare dal Padre; quello che lui fa, anche il Figlio lo fa. Perché il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che fa. 

Gv 5,19-20 

Cristo resta nell’amore nel Padre, e in questa relazione di amore Cristo può quindi dare e darsi liberamente fino alla fine. Da questa comunione di amore e di fiducia del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre sgorga una fecondità e una generosità ancora più grande. Tale è il cammino di una vita realizzata, libera e responsabile – quella che ci propone Cristo. La vita a cui tutti siamo chiamati sgorgherà e crescerà da questa vita di intimità fra un padre e suo figlio, dalla relazione d’amore fra Dio nostro Padre e i suoi figli, che siamo noi. 

San Paolo ci scrive, nella lettera ai Corinzi: 

Se qualcuno è in Cristo, è una nuova creatura. 

2Cor 5,17 

Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone: vi chiamo amici, perché tutto quello che ho sentito da mio Padre ve l’ho fatto conoscere. 

Gv 15,15 

Per nascere così alla nostra piena umanità dobbiamo seguire Cristo e riconciliarci con Dio nostro Padre. Dobbiamo sempre tornare a questo Dio tenero e misericordioso, lento all’ira e pieno d’amore. Incessantemente dobbiamo tenerci a lui, perché – come dice il Salmista –: 

guardate a lui, e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti. 

Sal 33 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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