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3 ragioni per cui l’ego non ha nulla a che vedere con la felicità

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Luisa Restrepo - pubblicato il 25/03/22

L'insolita visione di Gesù sulla pienezza, che si può godere in qualsiasi momento quando ci si vede bisognosi di Dio

Tutti gli uomini vogliono essere felici. Lo aveva notato già Aristotele, che pensava alla felicità come a una meta da raggiungere.

In qualche modo, siamo tutti figli di Aristotele, e ci sforziamo di conquistare qualche spazio nel mondo.

Alcuni in modo più veemente, capaci anche di ferire gli altri nell’illusione che questo permetta loro di guadagnare un po’ di visibilità.

Ci sono poi quelli che pensano che la felicità dipenda dal potere che hanno tra le mani.

In realtà, non si accorgono che il potere li possiede: entrano in una spirale che li rende sempre più assetati, al punto da autodistruggersi.

A differenza di queste figure che lottano contro tutto per “essere felici”, spicca l’immagine serena che troviamo nel libro di Geremia: l’uomo felice che è come un albero piantato accanto al fiume, saldo e stabile, che allarga le sue radici verso la corrente; non ha paura che arrivi il caldo, il suo fogliame resta verde; nei periodi di siccità non si inquieta, né smette di produrre i suoi frutti (Geremia 17, 8).

Nei Vangeli, anche Gesù parte dal desiderio più profondo dell’uomo. Il Suo insegnamento si riferisce alla felicità, ma la risposta a questa domanda diventa rivoluzionaria e contraria alla nostra visione occidentale un po’ egocentrica.

Per Gesù la felicità non è qualcosa che si possiede o si conquista, ma una condizione che permea la nostra vita.

1 La felicità non è un successo raggiunto da noi

La felicità di Aristotele si ottiene realizzando, con la nostra volontà, azioni che ci portino a poco a poco a raggiungere il fine desiderato.

Gesù propone invece situazioni paradossali in cui possiamo renderci conto che siamo già felici.

Le situazioni che ci presenta sono tutte caratterizzate da una carenza: beati i poveri che non hanno in chi confidare, e proprio per questo c’è posto per Dio nella loro vita. Sono coloro che possono confidare solo in Dio, ma che non si vantano della loro povertà.

Renditi conto, sembra dire Gesù, che sei felice quando non hai niente, quando piangi, quando ti odiano, quando ti insultano, perché in quel momento Io sono la tua ricchezza, la tua consolazione, la tua difesa.

La felicità non è una meta come per Aristotele, perché è in quel giorno, dice Gesù, che potrai rallegrarti. Sei nelle condizioni di accogliere Dio nel vuoto della tua vita.

2 Nella “grandezza” non c’è posto per Dio

Coloro che si credono autosufficienti, i “forti”, sono quelli in cui in generale l’ego occupa tutto lo spazio.

Sono facilmente infelici, perché Dio è completamente escluso dalla loro vita. Non se ne rendono ancora conto, ma sono come alberi nel deserto: presto si accorgeranno di essersi seccati.

L’illusione di non aver bisogno di Dio ci fa sentire palloncini che sembrano pieni. La vanagloria è in realtà un sentimento che ci inganna e ci fa sembrare di essere qualcuno, mentre agli occhi di Dio siamo solo pieni di aria inutile.

3 Guardarsi dal punto di vista sbagliato

Gesù non mi guarda dall’alto in basso come noi sembriamo guardare gli altri, e anche come guardiamo noi stessi.

Egli non ci guarda dal Suo trono per avere pietà di noi; al contrario, si abbassa, ci parla levando gli occhi al cielo, perché mentre vede le nostre miserie guarda il cielo e vede la versione migliore di noi, quella che il Padre ha pensato fin dall’inizio dei tempi.

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