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Attorno alla “devota bestemmia” di Putin allo stadio Luzniki

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Sergei GUNEYEV / POOL / AFP

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 21/03/22

La citazione di Gv 15,13 da parte di Putin è stata da più parti giudicata blasfema. Perché? È possibile (o anche solo auspicabile) che ai governanti sia interdetto il riferimento alla sfera del sacro e della Rivelazione? I politici sono condannati a tacere di Dio?

A quanto pare siamo stati in molti, seguendo quattro giorni fa il propagandistico “show di Putin” allo stadio Luzniki, a prorompere nell’accusa di un’autentica bestemmia quando l’autocrate russo ha citato il Vangelo secondo Giovanni («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» Gv 15,13) per giustificare, e anzi santificare il massacro scriteriato e indiscriminato che i suoi soldati stanno perpetrando in Ucraina. 

Il Manifesto dell’Anticristo di Solov’ëv

In più di qualcuno sarà risuonata in mente la viscida blasfemia che il visionario ultimo scritto di Vladimir Solov’ëv – Il racconto dell’Anticristo – attribuisce al “grande eletto” del Congresso degli Stati Uniti d’Europa: 

Poco importa che, anche in quel caso, la proclamazione della pace sia stata seguita da una “passeggiata militare” volta a sottomettere ogni residua pretesa di autonomia locale: Solov’ëv aveva già annotato che 

[…] così […] si compie la parola di Cristo: «Sono venuto nel nome del Padre e non mi accogliete, un altro verrà nel suo nome e voi l’accoglierete». 

Ivi, 191 

Il grande Vladimir (lo scrittore, si capisce) osservava sibillinamente che «per essere accolti occorre essere piacevoli» (l’assonanza tra “prinjatyj” [accolto] e “prijatnyj” [piacevole] rende il motto di sapore proverbiale), e pure la scelta del dresscode putiniano per il “Puting” (© Navalny) del 18 marzo – maglione bianco e morbida giacca a vento – contrasta apertamente con l’aria di guerra di cui parlano tutti: è confortante, rassicurante. Anche questo è stato già scritto. 

Saranno poi marginali, ma di certo non sono pochi quanti pendono dalle labbra dell’aspirante Imperatore (malgrado gli sforzi, comunque pur sempre un’ombra dell’inquietante personaggio letterario). Da Roma Francesco, sulle orme del Pietro II del Racconto, non si fa ammaliare: 

la violenta aggressione contro l’Ucraina [è] un massacro insensato dove ogni giorno si ripetono scempi e atrocità. Non c’è giustificazione per questo! […] Tutto questo è disumano! Anzi, è anche sacrilego, perché va contro la sacralità della vita umana, soprattutto contro la vita umana indifesa, che va rispettata e protetta, non eliminata, e che viene prima di qualsiasi strategia! Non dimentichiamo: è una crudeltà, disumana e sacrilega! 

Francesco, Angelus 20 marzo 2022

Per una ragione teologica Forte

L’Ansa aveva prontamente registrato la dichiarazione del vescovo di Chieti, mons. Bruno Forte: 

Certamente è un atto sacrilego, una strumentalizzazione del Vangelo finalizzata ad una autogiustificazione. Mostra tutta la debolezza profonda di Putin che non riesce più a trovare argomenti per giustificare questa follia di una aggressione ingiustificata totalmente immorale. 

Le vittime innocenti che stanno morendo per colpa di questa aggressione certamente non possono essere giustificate con parole evangeliche che dicono l’opposto, l’amore per gli altri e l’amore perfino per i nemici. 

Putin aggiunge alle gravissime colpe di cui si sta macchiando quella di una autentica bestemmia: usare Dio per giustificare il male compiuto tocca il vertice dell’immoralità e perfino della follia. 

Domenico Agasso jr. è andato a sviluppare in un’intervista (comparsa ieri su La Stampa) la dichiarazione di mons. Forte, e facendolo ha toccato diversi altri temi sensibili, che vale la pena richiamare brevemente: 

Putin da anni si pone come baluardo della cristianità di fronte a un occidente sempre più secolarizzato…

Sì, e vengono i brividi a pensarci. È scandalosa questa sua auto-proclamazione. Fa un uso strumentale del sacro a cui si era forse abituati in epoca di violenze barbariche, nel più oscuro medio evo. Una coscienza serena e libera della fede non potrà mai accettare tutto questo.

Il patriarca di Mosca Kirill ha affermato: «È giusto combattere, bisogna resistere alla lobby gay. Siamo entrati in una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico». Che ne pensa di questo sermone?

Ho provato grande dolore. Anche perché io sono impegnato nel dialogo ecumenico, e l’ultimo grande incontro fra Chiesa cattolica e chiese ortodosse – con tutte le autocefalie – è avvenuto nel 2016 proprio nella mia diocesi, e ha prodotto risultati positivi significativi. E oggi sentire che il capo della Chiesa russa si schiera dalla parte dell’aggressore e dà il via libera religioso a un conflitto deprecabile fa male. Credo che Kirill abbia subordinato il Vangelo a un potere politico, e ciò lascia sconcertati, è di una gravità inaudita.

[…] 

Come [si può fermare Putin]? 

Purtroppo non può essere bloccato se non dagli stessi ucraini, perché qualsisia altro tipo di intervento dall’esterno significherebbe la guerra mondiale. Tra l’altro una guerra mondiale nella quale Putin, che si sta dimostrando insensibile a ogni logica ed etica umana, potrebbe ricorrere ad armi di distruzione totale: conosciamo la potenza nucleare della Russia. Quindi siamo veramente in un momento delicatissimo della storia. 

Dunque è giusto inviare armi a Kiev?

C’è un principio di carattere morale anche cristiano: è evidente che ogni forma di violenza va deprecata, ma è evidente pure che c’è un diritto alla legittima difesa. Chi sostiene che Putin non sarebbe così violento se gli ucraini si fossero arresi nega l’evidenza, e cioè un attacco disumano che ha distrutto ogni valore umano e che se fosse vittorioso continuerebbe estendendo la sete di potere ad altri possibili bottini da raggiungere. […]

Appare particolarmente apprezzabile, nelle dichiarazioni del presule, la netta sconfessione (in linea con le dichiarazioni di Parolin) della tesi di chi vorrebbe pagare la pace al prezzo dell’Ucraina stessa; nonché la puntualizzazione del cuore dell’errore di Kyrill, che non sta nell’opposizione all’omosessualismo bensì nell’appoggiare un’aggressione abominevole a un Paese certamente non reo di tanto brutale trattamento. 

Evitare l’insidia del laicismo auto-inflitto

Altri osservatori hanno ugualmente individuato la blasfemia della citazione, ma nel commentarla hanno talvolta osservato che ad essere in sé blasfema sarebbe «la retorica religiosa del potere e della violenza», tout court. L’affermazione si presta facilmente a un contesto fugace e volatile come quello dei social, ma pone qualche problema sul piano della riflessione filosofica. Viene ad esempio in mente l’arioso incipit della Declaration of Independence degli Stati Uniti d’America, in cui «le leggi della Natura e di Dio» (non espressamente ed esclusivamente cristiane, ma teistiche) vengono espressamente messe a fondamento dell’azione politica (ed è un’azione rivoluzionaria): 

Quando, nel corso degli umani eventi, diviene necessario per un popolo spezzare i legami politici che lo hanno unito ad un altro, ed assumere, fra le potenze della terra, la posizione distinta e paritaria a cui le leggi della Natura e di Dio gli danno diritto, il giusto rispetto dovuto alle opinioni dell’umanità esige che esso dichiari le ragioni che lo costringono a separarsi.

Da questo deriva recta via, per i Padri Costituenti americani, che 

[…] ogni qualvolta una forma di governo diviene antagonistica al conseguimento di questi scopi, il popolo ha diritto di modificarla e abolirla, e di creare un governo nuovo, ponendo a base di esso quei principi, e regolando i poteri di esso in quelle forme che offrono la maggiore probabilità di condurre alla sicurezza ed alla felicità del popolo medesimo. 

“Modificare” e “abolire” un governo sono cose che rarissimamente nella storia umana riescono in maniera incruenta, e questo è solo uno dei millemila esempi possibili di “retorica religiosa del potere e della violenza” che pure non costituisce blasfemia, perlomeno nell’accezione di vox media

Ad essere blasfemo, dunque, non è che un politico parli di Dio o citi il Vangelo – saremmo nell’àmbito del più acre laicismo francese se lo pensassimo –, bensì che quelle parole introducano e sostengano (tanto peggio se in cattiva fede) azioni volte a ledere, e non a tutelare, «la sicurezza e la felicità del popolo medesimo». 

Quanto rischiano i governanti che si riempiono la bocca di “Dio” 

Nel mezzo degli anni ’60 del XIII secolo Tommaso Agni da Lentini, domenicano divenuto vescovo di Betlemme, caldeggiò fortemente la composizione di un’opera sul buon governo da parte di quel Tommaso dei Conti d’Aquino che anni prima egli stesso aveva introdotto in Convento. 

L’Angelico non fu entusiasta di sospendere (né l’avrebbe mai potuto riprendere) il commento alla Politica di Aristotele per spiegare all’ennesimo re-bambino (Ugo II di Cipro) come si deve governare un Paese, anche perché Tommaso non riteneva affatto che la monarchia fosse il miglior modello di governo possibile, incline alla tirannia come strutturalmente essa sempre è. 

La Realpolitik del solito bollente Medio-Oriente, unita all’invito paterno del confratello vescovo, lo spinse a interrompere il lavoro sulla Politica teorica. Tommaso ritenne allora utile – come tornava a farmi notare un amico erudito – soffermarsi sulla responsabilità del tiranno davanti a Dio. 

Infatti se colui che spoglia un solo uomo, o lo riduce in schiavitù, o lo uccide, merita la pena più grande — e cioè, secondo il giudizio degli uomini, la morte, e secondo quello di Dio la dannazione eterna —, quanto più deve essere ritenuto meritevole dei più gravi supplizi il tiranno che ruba a tutti da ogni parte, che s’adopera contro la libertà di tutti, che uccide chiunque per un capriccio della volontà? I tiranni inoltre raramente si pentono, gonfiati come sono dal vento della superbia, abbandonati da Dio per i loro peccati e invischiati nelle adulazioni degli uomini, e ben di rado possono degnamente riparare. […] Quando dunque risarciranno tutti coloro che oppressero, o comunque danneggiarono ingiustamente?

Alla loro impenitenza si aggiunge poi il fatto che essi ritengono lecito tutto ciò che possono fare impunemente senza incontrare resistenza. Perciò non solo non si preoccupano di emendare le loro cattive azioni; ma, usando la propria consuetudine come autorità, trasmettono ai posteri l’audacia del peccare. E così davanti a Dio sono colpevoli non soltanto dei loro misfatti, ma anche di quelli di coloro cui lasciarono l’occasione di peccare.

Il loro peccato è aggravato inoltre dalla dignità della carica che hanno coperto. Infatti come un re terreno punisce più pesantemente i suoi ministri, se a lui si ribellano, così Dio punirà di più coloro che fa esecutori e ministri del proprio governo, se agiscono iniquamente, pervertendo il giudizio di Dio. Infatti nel libro della Sapienza (VI, 5) ai re iniqui è detto: “Poiché, essendo ministri del suo regno, non avete governato rettamente, e non avete custodito la legge di giustizia, e non avete camminato secondo la volontà di Dio, con orrore e presto vi si manifesterà che il giudizio è severissimo per coloro che governano. All’umile infatti si concede misericordia, i potenti invece soffriranno tormenti potenti”. E per bocca di Isaia è detto a Nabucodonosor (XIV, 15): «Nell’inferno sarai trascinato nel profondo del lago. Quelli che ti vedranno si piegheranno verso di te e ti guarderanno dall’alto», come sommerso più profondamente nelle pene. 

S. Tommaso d’Aquino, De regimine principum ad regem Cypri, cap. XI

Il destinatario dell’opuscolo era già morto quando Tommaso finì di scrivere, e dunque non ebbe più bisogno dei consigli dell’Angelico: il suo nome venne abraso dal titolo dell’opera, e questo contribuì in qualche misura alla fortuna del lavoro, che divenne modello esposto a molte imitazioni nel genere. 

Ogni politico del mondo – a qualunque latitudine o in qualunque epoca – può mettersi per qualche ora nei panni del “Re di Cipro” per ricevere i salutari ammonimenti del grande Dottore domenicano: analogamente a quanto si dice dei Pastori, parlare di Dio – o in suo nome o derivando ciò che si dice dalla Rivelazione divina o naturale… – è inevitabile per chiunque, tanto più per chi si trova in posizione di forte potere. «A chiunque fu dato molto – ammonisce però il Salvatore nel suo Evangelo – molto sarà chiesto: a chi fu affidato molto sarà richiesto molto di più» (Lc 12,48). 

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