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Quello che ho visto a Lourdes: sorprese e ragioni per credere

LOURDES

Shutterstock | J. Borruel

Macky Arenas - pubblicato il 17/03/22

A volte raccontare le proprie esperienze è fonte di ispirazione e di guarigione

Durante il periodo in cui ho vissuto in Francia, negli anni Settanta, ho avuto l’impagabile opportunità di andare in pellegrinaggio con un gruppo che partiva da Tolosa, la città in cui abitavo. Da quel momento, la mia percezione di quello che accadeva è cambiata completamente. Per me Lourdes era un’icona a livello di luogo di preghiera, un posto che ogni cattolico doveva visitare almeno una volta nella vita.

Essendo molto giovane, non ho mai pensato di trovarvi la guarigione fisica. Pensavo a Lourdes come alla grotta visitata da intere generazioni di nonne della famiglia, e la mia curiosità cresceva man mano che quelle sagge anziane mi raccontavano da bambina i prodigi che avevano sentito che si verificavano in quel luogo.

La mia disposizione a condividere con speranza quello che doveva venire era quindi molto sincera. Non ero una turista, ma neanche un’ingenua che sperava di essere testimone eccezionale di un evento soprannaturale. Semplicemente, volevo visitare e pregare quella Madonna la cui immagine i miei antenati, grandi ammiratori della Francia e della storia di Bernardette Soubirous, avevano sempre sul comodino.

Il primo impatto

Era il 1975. Faceva freddo. Ci accompagnava monsignor Jean Guyot, arcivescovo di Tolosa, che tempo prima avevo avuto il piacere di conoscere.

LOURDES

Una volta arrivati a Lourdes, ci unimmo a una processione che mi sembrò gigantesca. Non avevo mai visto niente di simile. Un’autentica lingua di luce si estendeva per vari chilometri. Dico di luce perché ciascuno teneva la sua candela accesa, protetta di modo che la fiamma non si spegnesse per via del vento notturno. Sono rimasta meravigliata dall’intensa atmosfera di fede e rispetto che avvolgeva quella marea umana che si dirigeva alla grotta e a cui partecipavo.

Il giorno dopo, le prime pagine dei giornali mostravano la folla che assomigliava a un grosso fiume vestito d’argento per via dei riflessi delle migliaia di candele accese.

Ho iniziato a notare una cosa, ed è stata quella che mi ha sorpresa maggiormente. Ogni gruppo di persone che arrivava, naturalmente, si univa al gruppo di chi parlava la sua lingua. Nel mio caso, visto che accompagnavo il gruppo francese, sono rimasta con loro, ma perlopiù le persone si raggruppavano per recitare il Rosario nella propria lingua madre.

LOURDES

La sconfitta della Torre di Babele

All’improvviso, le mie orecchie hanno sentito qualcosa di impessionante: sembrava un canto splendido, una melodia celestiale intonata da tutti noi, sia da chi guidava che da chi rispondeva alla preghiera. Non c’era nulla che stonasse, nulla di discordante che assomigliasse a un caos linguistico. Anche se poeticamente la preghiera può essere musica alle orecchie divine, quello che ascoltavo non era una recita, ma un vero e proprio canto.

La Torre di Babele era stata abbattuta da un suono sublime. In tutta quella massa enorme di persone che recitavano la stessa preghiera in tante lingue diverse non c’era nulla di dissonante, ma emergeva un canto perfettamente intonato, come se si stesse offrendo un dono unico alla Vergine. Sembrava che fosse Lei stessa a dirigere quel coro incredibile. Mi sono unita al ritmo generale, recitando meccanicamente il Rosario perché la mia mente cercava, senza successo, di decifrare quello che stava ascoltando.

Non ho mai vissuto niente di simile in seguito.

Un’atmosfera elettrizzante

Una volta all’interno dell’immensa basilica è iniziata la cerimonia. Ho perso il conto di quanti sacerdoti, vescovi e arcivescovi camminassero in processione verso l’altare. È stata sicuramente una delle celebrazioni più solenni e affollate a cui abbia mai assistito, e ne ho visto un buon numero. Un’altra volta quell’atmosfera di intensa fede che impediva la minima distrazione. Elettrizzante. Resto ancora sopraffatta ricordando quell’ambiente.

Prima aveva sfilato un numero indeterminato di malati che avanzavano verso i primi posti, molti dei quali su barelle, aiutati dai volontari di Lourdes, riconoscibili da uniformi e distintivi, sempre solleciti nei cofronti degli infermi.

Sul volto di coloro che soffrivano non si percepiva pessimismo o rassegnazione – al contrario, sembravano ispirati e speranzosi arrivando all’Eucaristia, ai piedi della Vergine. È stato un altro dei momenti in cui la mia anima ha tremato di fronte a una tale manifestazione di fiducia nella Provvidenza. Eravamo una vera assemblea di credenti che pregavano insieme, sani e malati.

LOURDES

L’“Effatà” dei nostri tempi

Alla fine della Messa siamo andati alla grotta. Lì ho osservato attonita le centinaia di occhiali appesa ai lati della statua di Nostra Signora di Lourdes, le centinaia di migliaia di stampelle, tutte lasciate lì, strette le une alle altre per la mancanza di spazio, a testimoniare la gratitudine nei confronti della Vergine per i miracoli operati in quelle persone per far recuperare loro la salute. Ho capito per la prima volta la vera dimensione della presenza e il significato della Madonna di Lourdes nella vita di tante persone. Era come vedere i miracoli senza avervi assistito.

Erano stampelle e occhiali vecchi, rovinati, che parlavano di esseri umani umili e sofferenti per molti anni che poi, una volta guariti, hanno lasciato lì la prova della loro malattia, come perché gli altri fossero partecipi della loro guarigione.

Ciechi, paralitici e altri disabili accorrevano alla grotta con una fede incrollabile nel fatto che le sue acque li avrebbero curati. E così è stato. Ignoro quanti siano andati lì senza ottenere quello che chiedevano. I disegni di Dio sono imperscrutabili per noi, ma quelle testimonianze lasciavano una traccia dell’immensa quantità di gente a cui è stata donata la salute. Molti hanno ascoltato l’“Effatà!” che ha permesso loro di aprirsi a una vita più nuova, più degna e piena. Un regalo di Gesù per intercessione della Sua amata Madre.

LOURDES

“Parla!”

Mi restava ancora qualcosa da vedere, anche se in realtà non l’ho visto ma ascoltato.

Mentre ero ancora nella grotta ho sentito confusione. Mi sono subito incamminata verso il gruppo che circondava un signore che gridava a tutti coloro che volevano sentirlo “Parla!”, frase che ripeteva invaso da un’emozione incontenibile. Alla fine qualcuno ha spiegato l’accaduto: aveva portato la figlia sorda e muta, che uscendo dalle acque di quel luogo santo chiamava il padre con voce forte e nitida.

Ovviamente non posso dire di aver assistito direttamente al fenomeno, e non conoscevo quella storia, ma i presenti erano stupiti. Tutti si sono messi a pregare accompagnando quel padre nella sua gioia, ringraziando il Cielo.

È stata la volta in cui sono stata più vicina a un miracolo. Mi riferisco ai miracoli di questo genere, perché ogni giorno assistiamo a miracoli di grande portata in famiglie, comunità e Paesi in cui la gente lotta per la sua dignità, confidando nel Signore e facendo sì che si manifesti la solidarietà nei confronti dei malati e degli indigenti.

Erano davvero miracoli quei volti che ho visto a Lourdes, quelli di malati speranzosi, pieni di profonda fede nella Madonna che cercavano la guarigione del proprio corpo. Perché la loro anima era già sana. La mia ha conquistato forza e maturità.

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