Ci sono momenti in cui devi chiedere non per te stesso ma per il tuo prossimo, in cui è necessario impegnarsi per alleviare le sofferenze altrui, per prendersi cura di uno che non sei tu.
Sono momenti drammatici per via del conflitto che si svolge a meno di duemila chilometri da noi, in Ucraina, dove la comunità internazionale e non solo, sta giustamente concentrando la sua attenzione.
Ma il bisogno c'è anche nelle nostre città, specialmente ora, dopo due anni di pandemia, dopo i rincari di gas e luce, e la prospettiva del conflitto non promette bene. E allora è bene volgere il nostro sguardo anche verso coloro da cui - spesso - lo distogliamo per fastidio, fretta, imbarazzo: i poveri veri, quelli che vivono in strada senza dimora e in completa solitudine.
Ecco cosa vogliamo fare. Col vostro aiuto
Aleteia insieme ad Edizioni Zanarella a Pasqua vuole mettere in condizioni i nostri lettori e sostenitori di arrivare a chi, quasi invisibile ma vicinissimo, ha bisogno di recuperare dignità, fiducia, legami. E lo fa sostenendo una associazione, quella di don Pietro Sigurani, che a Roma, da quasi vent'anni non si preoccupa solo di sfamare gli ultimi, ma anche di RI-costruirgli attorno una famiglia, di ridare a chi è caduto un'opportunità di rinascita. Don Pietro e i suoi volontari lo fanno nell'unico modo davvero cristiano e per questo integralmente umano: trattandoli da amici, guardandoli per quello che sono, fratelli. Il cibo di cui hanno fame è di sicuro quello che porta calorie e nutrimento, ma è anche quello che dà calore, che comunica rispetto, che diventa occasione di vicinanza e di festa.
Nelle prossime settimane vi racconteremo le loro storie in prima persona, per togliere dall'indistinto i volti di queste persone, ognuna con il proprio carico di dolore e ferite, ciascuna con un carico di speranza da mettere di nuovo in circolazione.
Nel frattempo, possiamo invece condividere con voi le nostre impressioni, vissute in prima persona andando al mattino presto, al centro di Roma, nel Rione Parione, per fare colazione con gli ospiti di Don Pietro.
Arriviamo a Via di Panìco 12, prestissimo, sette e un quarto di sabato, dove vento e umidità entrano nelle ossa e ci fanno gelare le mani mentre attendiamo che Stefano, il coordinatore, ci apra. Dalle otto e mezza deve servire le colazioni quindi, per farci dare un’occhiata, in vista della nostra campagna di Pasqua, dobbiamo andare prima. Gli ambienti sono piccoli ma ben rifiniti, i tavoli rotondi attendono gli ospiti. Così li chiamano: ospiti. Non assistiti, ma amici che vengono a prendersi un caffè, a mangiare una brioche, e che durante la settimana possono fare il bucato o farsi una doccia calda "senza limiti di tempo", ci tiene a sottolineare Stefano. Qui nessuno mette fretta, non è una catena di montaggio, c'è spazio per le chiacchiere, le persone parlano tra loro, parlano con Stefano, c'è tempo per una sigaretta, per due battute, ma anche per le notizie più tristi: "Hai saputo di E.?" "No, che è successo?" "E' morto stanotte, un infarto nella casa famiglia dove stava". E' Stefano a dare la notizia, più tardi a pranzo anche don Pietro lo ricorderà agli ospiti del pranzo, chiedendo a tutti di pregare "secondo la religione di ciascuno" per lui che "era un uomo buono", dirà.
Entrare in questo piccolo rifugio dopo il freddo esterno ci conforta, e il pensiero però va subito a chi, quel freddo, magari l'ha patito tutta la notte e non solo qualche ora. Roma è strana, calda e colorata da maggio ad ottobre, ma d'inverno a volte è infame, ti fa credere che sia arrivata la primavera, ma poi ti sega le gambe.
Tutti amici, tutti fratelli
Don Pietro e Stefano chiamano tutti per nome, conoscono tutti, la "regola" qui è niente cognomi. Non è solo una questione di informalità, ma di lasciare a ciascuno la possibilità di tenersi la sua "quota di invisibilità". La strada stanca, segna, e imprime un marchio che per molti è difficile, quasi impossibile togliersi dalla pelle: ci sarà sempre quello che è vissuto per strada. Quello che vive di elemosina.
A pranzo don Pietro, mentre illustra come funziona il rifugio di Via Monterone, ci dice una cosa che spiazza e consola per quanto è bella e vera:
E' il genere di accortezza che fa capire che per don Pietro ci sono solo persone, non casi umani, non numeri. Niente mensa spersonalizzante, ma un tavolo apparecchiato con cura, porzioni abbondanti e possibilità di chiacchierare.
Cosa sosterrete?
Qui non si tratta di dare da mangiare, ma di contribuire a ridare dignità alle persone, ed è questa parola, "dignità", che don Pietro ripete spesso. I volontari della mensa, l'avvocato, lo psicologo, sono tutte persone che sono lì attratte dal carisma di questo prete ormai 86enne dal sorriso contagioso. Li si aiuta ad aiutarsi, a poter contare ognuno sui carismi dell'altro. Li si sostiene nell'affrontare piccoli e grandi problemi legali, li si accompagna se vogliono parlare, sfogarsi, ricostruire un rapporto coi familiari. Quando è possibile gli si trova un lavoro, una seconda opportunità.
Storie, tante storie che da veri cattolici lasciamo entrare fin sotto la nostra pelle; storie che abbiamo deciso di portare nella nostra e vostra quotidianità per aspettare tutti insieme la Pasqua come autentica rinascita. Il volto che vogliamo riconoscere ai cosiddetti "ultimi" è lo stesso che vogliamo ritrovare in noi.
Ma questo è solo l’inizio del nostro viaggio. Continuate a seguirci in questo cammino di avvicinamento alla Risurrezione.