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Quanti anni aveva Gesù alla sua morte? I documenti storici dicono 36

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Antoine Mekary | ALETEIA

Toscana Oggi - pubblicato il 12/03/22

L'età di Gesù alla sua morte, 33 anni, è una convenzione che fa parte della tradizione, oppure è stabilita dai documenti storici? La risposta del biblista

Volevo sapere se l’età di Gesù alla sua morte, 33 anni, è una convenzione che fa parte della tradizione, oppure se la conosciamo con certezza in base ai Vangeli e ad altri documenti storici
Anna Castelli

Risponde don Stefano Tarocchi, preside della Facoltà teologica dell’Italia centrale

Per stabilire l’età complessiva di una persona, anche del figlio di Dio, bisogna risalire alla data della nascita e della morte. Anche se i Vangeli non sono testi storiografici, tuttavia sono l’unica fonte attendibile che ci consente di risalire agli eventi di cui stiamo parlando.
Cominciamo dalla data della morte di Gesù, che ha dato origine al computo tradizionale di trentatré anni della sua vita.

Gesù muore, di venerdì, nel giorno della Parasceve, cioè della preparazione di una Pasqua che secondo le fonti evangeliche cadeva in giorno di sabato, e in conseguenza di ciò era considerata particolarmente solenne: «era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno… Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. … Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là, dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù» (Gv 18,28; 19,14.31.42).

Lo stesso Vangelo di Giovanni aveva detto che quanti si erano impadroniti di Gesù lo «condussero dalla casa di Caifa nel pretorio [il luogo dove si trovava Ponzio Pilato]. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua» (Gv 18,38).

I tre Vangeli sinottici sono concordi nel parlare dell’ora nona (Mt 27,46-50; Mc 15,34-37; Lc 23,44-46): le tre del pomeriggio, che corrispondono al tempo in cui si preparavano gli agnelli per la cena Pasquale. Anche qui si trova usata la parola Parasceve. Matteo: per dare uno squarcio sul giorno del sabato pasquale e al disegno di costruire una versione diversa della tomba vuota: «il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei» (Mt 27,62). Marco: per raccontarci la preparazione della sepoltura di Gesù: «Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea … con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù»: Mc 15,42). Luca: per notare il momento esatto in cui Gesù viene deposto dalla croce: «Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato» (Lc 23,54).

Ora, com’è noto, la data della Pasqua aveva a che fare sia con il calendario lunare che con quello solare. Il che permette di avere costantemente in primavera il mese di Nisan, il primo mese secondo il calendario che fa coincidere il capodanno con la data dell’esodo dall’Egitto del popolo ebraico, e corrisponde al nostro marzo-aprile.

Ora ci sono due Pasque in corrispondenza di questo particolare sabato: quella dell’anno 30 e quella dell’anno 33. Sembra più probabile la prima delle due, anche perché dobbiamo rifuggire dal computo del monaco Dionigi il piccolo, che calcola la data di nascita di Gesù Cristo nell’anno 753 dalla fondazione di Roma.

Veniamo a quest’ultima: i Vangeli affermano che Gesù nacque sotto il regno di Erode il grande, che muore nel 4 a.C., dopo aver regnato dall’anno 37 (era nato nel 73 a.C.).
Secondo il vangelo di Matteo, quando Erode «si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi» (Mt 2,6).

Tutto ciò si interseca anche sull’evento citato dal Vangelo secondo Luca, ossia il celebre censimento per cui la santa famiglia sale dalla Galilea a Betlemme. Secondo il Vangelo di Matteo, invece – con buona pace di quanti in modo un po’ ingenuo fondano in una sola storia i diversi racconti dei Vangeli –, arriva a Nazareth solo di ritorno dall’Egitto: «Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea (Mt 2,19-22).

Ma torniamo al censimento raccontato da Luca: «in quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta» (Lc 2,1-5).
Questo censimento, secondo l’ultimo saggio di Ravasi, sarebbe avvenuto solo nel 6-7 d.C… Alcuni anni fa venne ipotizzata un’ulteriore datazione a motivo di un’iscrizione su un manufatto donato al museo di Israele di Gerusalemme: la data del censimento sarebbe da anticipare all’anno 11 a.C. (Di Segni).

La maggior parte degli studiosi però propende per una datazione intermedia: ovvero l’anno 6 a.C., due anni prima della morte di Erode. Ciò permetterebbe di unificare i diversi censimenti dell’impero di Cesare in quello descritto dal Vangelo secondo Luca sotto il governatore romano di Siria. Va detto, inoltre, che di per sé tutto questo va naturalmente legato con la data in cui l’imperatore Aureliano (270-275) volle «ufficializzare il culto del Sol Invictus, edificandogli un tempio sul colle Quirinale con un nuovo corpo di sacerdoti (Pontifices Solis Invicti); il tempio venne consacrato il 25 dicembre 274 in una cerimonia chiamata Dies Natalis Solis Invicti … da cui derivò nel quarto secolo l’istituzione cristiana della data del Natale di Gesù». Prima di Aureliano, l’imperatore Eliogabalo (218-222), di origine siriana, sovvertì le tradizioni religiose romane sostituendo a Giove, signore del pantheon romano, la nuova divinità solare del Sol Invictus che aveva gli stessi attributi di Mitra, Dio solare della città di Emesa [l’attuale Homs, in Siria]» (Penna).

Premesso che l’anno zero non esiste, e quindi si passa dall’anno 1 a.C. all’anno 1 d.C., Gesù ha ragionevolmente vissuto circa 36 anni. Così, quello che importa realmente, nonostante alcuni sostengano il contrario, è che la sua vicenda umana, avvenuta in un angolo marginale dell’Impero Romano è perfettamente inserita nella storia dell’umanità.

Qui l’articolo originale da Toscana Oggi

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