Non cadiamo nel gioco divisivo delle propagande e osiamo riconoscere le voci dei testimoni, anime libere che da ogni parte della barricata non sono a servizio di un potere o di una ideologia, ma rischiano la vita per un bene che ha molti volti e una sola radice.
Da che parte stiamo?
Si riesce a far tornare i conti anche in mezzo a una guerra, da spettatori. Ci si informa a dovere, così da avere una ragionevole chiarezza su chi siano i buoni e chi i cattivi. Si piange per le vittime e ci si rimbocca le maniche con la solidarietà. Tutto questo non denota una posizione falsa da parte nostra, eppure è un abbaglio gigante stare dentro il terremoto degli eventi con l’illusione che basti comprenderli e dare una mano.
Una guerra non si comprende, e i conti non tornano. Eppure la cavalleria della comunicazione ci riempie di dati, analisi, ipotesi che addomesticano le domande irrisolte dentro corsie già predisposte di affanno mentale. A due settimane dall’invasione dell’Ucraina ci siamo già adagiati tra i solidi assi cartesiani dell’informazione: prima la cronaca della giornata, poi lo scenario internazionale, il commento dell’esperto di geopolitica, infine i reportage dalle frontiere e dai fronti caldi.
Ci preoccupiamo per l’approvvigionamento del gas, proviamo lo sconcerto per la tragedia dei profughi e ribadiamo la condanna a Putin, e tutto questo ci fa sentire che stiamo vivendo il presente. È davvero così?
Drop of Light | Shutterstock
In fondo, la più classica delle domande – da che parte stiamo? – rimane elusa. Bisogna prendere una parte, ma non significa dividere l’umanità in due parti opposte e scegliere di stare coi buoni. Il gioco di ogni specie di propaganda è sempre quello di ridurre un conflitto a due parti, e allo schierarsi di qua o di là.
Prendere una parte significa oggi più che mai osare una voce non addomesticata da qualunque specie di assi cartesiani, ma disposta a rendere ragione di un mistero che la guerra non schiaccia ma, paradossalmente, fa nascere più robusto dal travaglio degli eventi: la libertà dell’uomo.
Non l’avremmo mai detto,
E invece siamo qui, di fronte a una sfida che ci impone di guardare in faccia la verità, innanzitutto la verità delle nostre responsabilità, del nostro non saper trovare una via alternativa tra la roboante indignazione che ti mette il cuore a posto ma non chiede a nessuno di cambiare, e l’interessato calcolo dei profitti e delle perdite, che gira la faccia dall’altra parte e preferisce un complice «quasi silenzio».
E questa via invece c’è: è quella del rischio, la via della libertà, che vuol dire sapere che esiste qualcosa che ti strappa dall’odio, che ti dà un luogo in cui sentirti accolto, in cui i nemici non hanno l’ultima parola, in cui il loro odio non diventa il tuo, per cui può valer la pena di morire e quindi di vivere e di chiedere una vita vera e pacifica anche per gli aggressori.
Le propagande sono sempre false, ma ci sono i testimoni
Adriano Dell’Asta è docente di lingua e letteratura russa presso l’Università Cattolica Di Brescia e Milano ed è vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana. È alla sua porta che ho bussato per chiedere un aiuto a guardare i fatti presenti. Le riflessioni che seguono sono frutto delle indicazioni di sguardo che ho ascoltato da chi ha una profonda conoscenza della storia, ma è anche legato a testimoni viventi sia ucraini sia russi.
Lo ringrazio di una correzione, innanzitutto.
Nella nostra chiacchierata telefonica ho posto una domanda, che sentivo urgente ma in effetti riduttiva: di quale voce deve essere custode il cristiano in questo tempo di guerra? E il professor Dell’Asta ha cambiato il soggetto. Non il cristiano, ma gli uomini liberi. E non c’è nulla di più cristiano di questa correzione, che mette al centro della scena una comunità allargata oltre il recinto strettamente religioso e fondata su ciò per cui Cristo è morto, la libertà di ogni uomo di difendere chi ama e affermare l’ideale umano su cui fonda la sua vita.
Questo criterio diventa il pilastro per abbattere i muri delle propagande, eretti da ogni parte attorno a noi. Se il gigante della propaganda russa è un mostro molto ben riconoscibile, anche da altri fronti incombe il tentativo pianificato di un’astrazione nemica della realtà. Anche certa informazione accurata e approfondita ha un retrogusto di propaganda quando ci convince che una guerra è una faccenda geopolitica di scontro tra nazioni ed equilibri da ridefinire a tavolino.