Si continua a parlare dell'“omelia” di Kyrill, al punto che cominciano a fioccare le lettere aperte non solo di presbiteri russi – delle quali avevamo già dato conto –, ma anche di vescovi, arcivescovi e metropoliti.
Un metropolita, dei vescovi e il rettore di un seminario
L'ultimo in ordine di tempo è nientemeno che l'Arcivescovo delle Chiese ortodosse di tradizione russa in Europa Occidentale, Giovanni di Dubna. Il quale così scrive al suo patriarca:
Questo è un bene, né si tratta di un caso isolato. Era il 3 marzo, dunque in reazione alla prima “omelia” di Kyrill, ben più blanda della seconda, che Taisia Lazarenko scriveva su Union of Orthodox Journalists:
Attenzione, si parla (se ne parlava una settimana fa, anzi: prima della seconda “omelia” di Kyrill…) di almeno quindici diocesi della Chiesa Ortodossa Ucraina – afferente al patriarcato di Mosca! – che hanno giudicato opportuno, al fine di preservare l'unità del popolo (ucraino e ortodosso) abradere il nome del loro massimo responsabile ecclesiastico dal momento centrale della vita liturgica della Chiesa. È una misura che passa chiaramente inavvertita sul piano delle informazioni secolari, ma che segnala una forte crisi interna.
Davanti a questo, le pur forti (e benedette) parole di Giovanni di Dubna vengono ridimensionate nella loro straordinarietà e nel preteso isolamento. Dalla stessa Parigi, peraltro, il rettore del Seminario ortodosso russo Ste Geneviève à Épinay-sois-Sénart, padre Alexandre Siniakov, ha scritto:
Tutto questo è buono, edificante e vero. Di più, è una narrazione inaudita tra le voci secolari, tanto del mainstream quanto della (sedicente) controinformazione – campi entrambi esposti al rischio fatale di cedere a partigianerie di sorta, e quindi a disinformare.
L’ideologia patriarcale e gli schieramenti trasversali
Desta stupore, ad esempio, che dall'ANSA a buona parte dell'arco mediatico nostrano – dalla Gazzetta del Sud al Giornale, passando per Io Donna e per Open, e senza trascurare la Rai – tutti abbiano ritenuto notiziabile la cover di “Bella ciao” che la cantante folk ucraina Khrystyna Soloviy ha dedicato alla resistenza del suo Paese, corredandolo peraltro di un testo assai cruento (perfino mimato dalla giovane, nel video, sui passaggi più brutali). Desta stupore anzitutto perché, come è stato rilevato, una resistenza non vale l'altra, e nella fattispecie gli ucraini stanno cercando di sottrarsi alla sfera d'influenza post-sovietica nel cui mito, invece, quella canzone è stata scritta e perpetuata in Italia (non a caso l'ANPI, sempre presa nei suoi tic storici, ha condannato appunto la resistenza ucraina e, letteralmente, tifa Russia).
Nessuno ha bisogno di questo tifo mediatico, che trasforma il mondo in un gigantesco Colosseo dove ci si rabbuia o si esulta, ma in sostanza si gode del sangue versato. La posizione ecclesiastica ha da dire altro, e compie il suo dovere quando lo dice. Da fine conoscitore della storia della Chiesa, e in particolare di quella delle Chiese ortodosse, Enrico Morini dichiarava ieri ad Avvenire:
Addirittura, anzi, in chiusura d'intervista Morini si spingeva a osservare:
D'altro canto si potrebbe osservare che le frizioni interne alla stessa ortodossia russa (accennate qui sopra in maniera certamente non esaustiva) mostrano alcune incoerenze di fondo dell'ideologia patriarcale*, che diventano particolarmente stridenti in concomitanza di poteri politici abbastanza forti e determinati a perseguire un progetto di espansione d'influenza: Kyrill non accetta di arretrare, ecclesiasticamente, dall'Ucraina, perché vedrebbe
Ognuno può giudicare da sé quanto queste gare numeriche e queste statistiche abbiano a che fare con l'Evangelo; e Bartolomeo sembra più innocuo, da questo punto di vista, solo perché non ha alcun potere politico che lo supporti, ma le sue pretese giurisdizionali sono perfino più ampie di quelle dell'omologo russo.
Venendo però al “salvabile” dell'“omelia” del Patriarca – ossia la questione dello “scontro metafisico” fra due civiltà (una della secolarizzazione avaloriale, l'altra della multiforme tradizione cristiana) –, vorremmo apporre appena due chiose.
Come si vede dal “conflitto di tic” su Bella ciao, l'opinione pubblica è sempre più divisa non tra “destra e sinistra” o tra “partito atlantista” e “partito sovietico”, bensì tra le crescenti categorie psico-politiche del:
La Chiesa, quando adempie la sua missione evangelica, è capace di proporre uno sguardo altro, nella quale si tutelano sia gli interessi dei singoli sia quelli dei popoli. Una visione in cui nessuno ci rimette? Impossibile, ci deve sempre rimettere qualcuno: nella visione della Chiesa ci rimettono i grandi poteri, che vanno intesi non (solo) come i “poteri forti”, ma come ogni tendenza (per quanto larvatamente) imperialista. Quelli che non servono l'uomo e non curano il mondo, ma sfruttano questo e schiavizzano quello. Non così la Chiesa, non la vera e unica Chiesa di Cristo diffusa su tutta la terra e presente fra tutte le confessioni cristiane.
* NOTA BENE: come dovrebbe essere chiaro, in questo articolo si usa l'espressione “ideologia patriarcale”, come pure il sostantivo “patriarcato”, per indicare la categoria canonistico/ecclesiologica, non l'omonima socio-antropologica.