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Pavlo Smytsnyuk: «Mai vista tanta solidarietà tra le Chiese in Ucraina» 

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SERGII KHARCHENKO / NURPHOTO / NURPHOTO VIA AFP

Prete ortodosso durante una celebrazione a Kiev il 18 aprile 2020

Cyprien Viet - pubblicato il 03/03/22

L’offensiva condotta dalla Russia in Ucraina, a partire dal 24 febbraio, «è uno choc per tutte le Chiese», spiega Paolo Smytsnyuk, il direttore dell’Istituto Ecumenico di Leopoli, nell’Ucraina occidentale. «Si trovano dunque obbligate a una forma di creatività che fronteggi la crisi».

Di fronte all’offensiva russa, le Chiese locali sono unite e danno prova di “creatività”: è quanto assicura Paolo Smytsnyuk, il direttore dell’Istituto Ecumenico di Lviv, nell’Occidente del Paese, una città prevalentemente cattolica. 

Attualmente negli Stati Uniti, resta però in contatto quotidiano coi suoi interlocutori in Ucraina, cattolici e ortodossi. Torna sullo sconvolgimento provocato dalla guerra in Ucraina, che torna a mettere in questione l’affiliazione di numerose parrocchie ortodosse di Ucraina al Patriarcato di Mosca. 

Cyprien Viet: Come le Chiese in Ucraina reagiscono, a partire dall’inizio dell’offensiva? 

Pavlo Smytsnyuk: È uno choc per tutte le Chiese, che si trovano dunque obbligate a una forma di creatività per far fronte alla crisi. Tutte hanno condannato questa aggressione, ciascuna con una propria dichiarazione. C’è stata anche una forte presa di posizione da parte del “Consiglio panucraino delle Chiese e delle comunità religiose”, che include ebrei e musulmani. Tutte queste istanze difendono l’integrità dell’Ucraina. Non abbiamo mai visto una tale solidarietà tra le Chiese, in Ucraina. 

Si adattano anche a livello pratico. Il seminario greco-cattolico di Kiev, dove io insegno, si è esiliato a Lviv, con gli studenti che vengono dall’Ucraina centrale e orientale in preda ai più intensi dissidî. Per il momento, preti e seminaristi non sono stati interessati dalla coscrizione generale. 

C. V.: Questa guerra è di natura tale da modificare il già complesso paesaggio dell’ortodossia in Ucraina?

P. S.: Io credo di sì, perché si sta notando che il patriarca di Mosca, Kyrill, e il primate Onufro, il metropolita della Chiesa ortodossa ucraina che sta sotto la giurisdizione di Mosca, non dicono la stessa cosa. Il patriarca di Mosca invia messaggi ambigui. Ha chiesto che non si ledano i civili, ma non denuncia la guerra. Quando difende «l’unità della santa Russia» utilizza il medesimo linguaggio di Putin e Lukashenko. Al contrario, Onufro ha condannato la guerra chiedendo esplicitamente a Putin di fermare l’offensiva. È un grande cambiamento, perché la sua Chiesa ha sempre messo in valore la nozione di “Russkiy Mir”, di “mondo russo”, con l’idea di una civiltà unita da una sola cultura. Essa attraversa dunque un momento di crisi. 

La Chiesa ortodossa russa si è sempre pensata cosmopolita. Il patriarca Kyrill rivendica di avere una Chiesa che esercita la propria giurisdizione al di là del territorio dello Stato russo, verso l’Ucraina, la Moldavia, la Bielorussia, e financo in Giappone! È dunque una Chiesa che non è nazionale, ma che si vuole pluralista e cosmopolita. Oggi però, la sua posizione va all’unisono con quella delle autorità russe. L’avvenire della branca ucraina è dunque incerto, molti pensano che finirà per staccarsi. Una condanna della guerra da parte del patriarca Kyrill, come vorrebbe una parte del clero ortodosso, avrebbe permesso di salvare la comunione di questa Chiesa ortodossa ucraina con Mosca. Ora, invece, questo sarà molto difficile. 

C. V.: Il movimento di autocefalia degli ortodossi ucraini potrebbe dunque accelerare, in conseguenza di questa guerra? 

P. S.: L’ortodossia ucraina è divisa in due Chiese: una che fa parte della Chiesa russa; l’altra, autocefala (indipendente), creata da Costantinopoli nel 2019. Per il momento, dal 2019, tra le 400 e le 600 parrocchie ortodosse della Chiesa affiliata a Mosca si sono unite alla Chiesa autocefala, per un totale di circa 10mila parrocchie. È molto meno di quanto avesse immaginato il patriarcato di Costantinopoli, ma i fatti attualmente correnti andranno probabilmente ad accelerare questi cambiamenti giurisdizionali delle parrocchie. 

Al di là di questo, alcuni teologi tornano pure a parlare di un Concilio d’Unione, per ricostituire l’unità di una Chiesa ortodossa di Ucraina indipendente da Mosca. Durante questi ultimi giorni, diverse riunioni del clero di più diocesi legate alla Chiesa russa hanno chiesto l’indipendenza rispetto a Mosca. Si tratta di un movimento ormai sostenuto dai vescovi. Fino al momento, questo processo – avviato sotto la guida dell’ex presidente ucraino Petro Poroshenko – sembrava troppo politico, e molti preti ortodossi diffidavano di possibili strumentalizzazioni. Col nuovo contesto, invece, i cambiamenti giurisdizionali accelereranno. 

C. V.: Una vittoria russa rischierebbe di accompagnarsi a violazioni della libertà religiosa? 

P. S.: Sì, certamente: lo scenario del distacco della Chiesa ortodossa nei confronti di Mosca non si avrebbe che se l’Ucraina indipendente vincesse la guerra. Per contro, se la Russia mettesse in piedi a Kiev un governo fantoccio non si potrebbe escludere che le nuove autorità impedissero le attività di una Chiesa ortodossa autocefala, come pure quelle della Chiesa greco-cattolica. 

Già sotto la presidenza di Viktor Ianukovic, il presidente filo-russo al potere dal 2010 al 2014, ci sono state minacce riguardo alla Chiesa greco-cattolica. Ad esempio, l’università cattolica di Lviv, dove insegno, aveva difficoltà col Ministero dell’Educazione. Dunque se la Russia prende l’Ucraina, la nuova Chiesa ortodossa e i greco-cattolici saranno perseguitati. 

C. V.: In questo contesto di guerra si può parlare, oggi, di un “ecumenismo della carità” in Ucraina? 

P. S.: Attualmente ci sono molte piccole iniziative, soprattutto per aiutare i rifugiati, ma ciò non tocca ancora una sfera globale. A livello della Chiesa cattolica, la Caritas organizza dei centri regionali, ma la Chiesa ortodossa ha meno reti caritative. Cominciano ad esserci gesti di solidarietà su piano internazionale. A livello europeo la Conferenza delle Chiese d’Europa (CEC), che raccoglie soprattutto protestanti e ortodossi, ha emesso un messaggio molto coraggioso col quale si chiede all’esercito russo di tornare in patria. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese (OCC), da parte sua, aveva emesso un comunicato piuttosto neutro, in un primo momento. Il Patriarcato di Mosca è ancora rappresentato, in questi organi, e la cosa influisce sul modo in cui reagiscono. 

Le altre Chiese ortodosse hanno manifestato anch’esse la loro solidarietà. Quanto alla Santa Sede, si è mostrata molto prudente ma penso che stia cercando di operare una soluzione pacifica, come lascia pensare il gesto simbolico della visita di Papa Francesco all’ambasciata russa presso la Santa Sede. La diplomazia vaticana agisce tradizionalmente in modo più discreto, ma mi ricordo che al tempo di Giovanni Paolo II il cardinale Etchegaray era spesso inviato in situazioni di crisi. Ci si potrebbe immaginare che anche oggi il Papa mandi un cardinale in Russia, in Bielorussia e soprattutto in Ucraina per mostrare la sua solidarietà. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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