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6 suore italiane che portano Cristo ai confini del mondo

NUN, SEA, SMILE

Sebastien Desarmaux | Godong

Annalisa Teggi - pubblicato il 18/02/22

Nascono ospedali e asili, si assiste a conversioni inattese, si convive senza disperazione in mezzo alla guerra. Ecco alcune storie di suore missionarie italiane.

Partire, andare in missione: suona eroico. Ma cosa significa portare Cristo? E quali sono i confini del mondo?

Ci sono diversi elementi che accomunano le storie di suore missionarie che abbiamo ospitato su Aleteia For Her, il primo è che la nostra anima è la terra di missione più urgente. Le tentazioni violente, superbe, ciniche che possono essere ritracciate alle latitudini più lontane sono anche dentro di noi. La mossa che porta alcune consacrate a dire sì all’ipotesi di andare e portare la compagnia viva di Cristo in paesi lontani s’innesta innanzitutto sulla riconoscenza a Dio che per aver varcato i confini intimi del cuore di ciascuno, piantandoci la misericordia.

Dall’Albania al Congo, da Gerusalemme alla Siria, quello che si esporta nelle missioni non è un messaggio o un piano di gestione, ma un’esperienza da condividere. Nascono ospedali e asili, si assiste a conversioni inattese, si convive insieme in mezzo alla guerra senza essere disperati. Tutto questo non è frutto di competenze e di buone armi retoriche, ma della forza disarmante di voler essere compagne dell’uomo, qualunque sia la sua storia, il suo peccato, il suo dolore.

In questo senso si è in missione ovunque, anche sul pianerottolo di casa, se lo sguardo è quello che qualche anno fa ci ha donato Suor Elena che è in Africa con le Missionarie di San Carlo:

Terra é la realtà di tutti i giorni, che in ogni suo quotidiano riaccadere parla instancabilmente di un altro luogo, l’Eternità, che tutti prima o poi raggiungeremo.

1

Suor Elvira, una famiglia per i bimbi ripudiati in Centrafrica

Dopo 25 anni di servizio in Italia, Suor Elvira Tutolo, molisana di Termoli, ha detto sì alla sua superiora che le chiedeva la disponibilità a partire per il Centrafrica.

E’ missionaria delle Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret, Berberati prima e Bangui poi sono le città che ha imparato a chiamare casa. E casa, nel senso di famigli, è ciò che la sua missione tenta di rifondare. Appena arrivata nella Repubblica centrafricana fu colpita dai bimbi ripudiati e abbandonati che vivevano per strada, pochi cartoni come misera protezione.

L’opera che porta avanti tenta di salvare questi bimbi, e anche i bimbi soldato, trovando loro genitori africani, investendo su giovani famiglie locali e non radunandoli in orfanotrofi o promuovendo adozioni che li strapperebbero alla loro terra.

2

Suor Giusy, una nuova fondazione in Portogallo

Anche la fecondità va portata in missione. Suor Giusy Maffini ha detto sì quando le è stato chiesto di lasciare Vitorchiano per fondare un nuovo monastero trappista in Portogallo. Lo vocazioni erano aumentate e l’arida terra portoghese aveva bisogno di questa pioggia di grazia. In piena pandemia si è registrata questa sovrabbondanza di apertura e vocazione comunitaria.

A cosa serve un monastero in un posto disabitato e brullo?  Il monastero benedettino è una proposta di accoglienza, dove le persone possono fare un’esperienza di fede e di preghiera. L’accoglienza, il lavoro e la preghiera: ecco da dove parte la nuova fondazione. Ecco cosa rende feconda ogni terra, prima di tutto quella della nostra anima.

3

Suor Agnese, tra le donne cannibali in Congo

C’è una speranza che si sporca fino in fondo e viene piantata nei punti ciechi del mondo, solo apparentemente lontano. Suor Agnese Moretto, 81 anni, veneta, cresciuta seguendo le orme di Santa Teresa di Calcutta, è in Congo dal 2017.

La sua vocazione a servire i poveri l’ha portata in un avamposto terribile, in luoghi in cui oltre alle guerre civili ci sono comunità umane in cui si pratica ancora il cannibalismo. A loro non ha portato un discorso, ma la condivisione di un’ipotesi di vita diversa, radicata nell’ascolto, nell’accoglienza e nella sacralità della vita. Sentendosi guardate così, con gli occhi di un amore irresistibile, due tra le donne cannibali hanno deciso di prendere i voti.

4

Suor Assunta, un asilo in Albania

Un angolo dimenticato e poverissimo dell’Albania è diventato culla di una missione dal 1995. A Torovice, lì dove non c’era mai stata una presenza religiosa femminile, Suor Assunta D’Olimpio, 76 anni, reatina, gestisce insieme a due giovani consorelle albanesi, suor Vera e suor Lisa, l’asilo “La gioia di vivere”.

Le attività della missione sono numerose: oltre alla scuola materna per i 32 bambini, si aggiunge il catechismo settimanale per 120 ragazzini di 4 villaggi e l’animazione di un gruppo di 30 giovani.

È stato inoltre aperto un centro di ascolto con una piccola infermeria dove poter effettuare delle medicazioni e in cui accogliere le richieste di sostegno economico per le famiglie in maggiori difficoltà.

5

Suor Marta, rimanere nella Siria in guerra

Rimanere dove gli altri scappano, rimanere soprattutto nella compagnia presente di Cristo. Suor Marta Fagnani ha lasciato Como, la sua missione di consacrata oggi è in Siria, come superiora del monastero trappista Nostra Signora Fonte della Pace.

Le famiglie che vogliono salvare il proprio futuro, i figli, fuggono. Marta e le sue consorelle restano con chi resta. Prima ad Aleppo, da sette anni invece in un villaggio cristiano maronita vicino al confine libanese, Azeir.

La presenza di queste suore accanto al popolo non è esclusivamente spirituale, ma intessuta del vero realismo cristiano: la speranza si fonda anche nel cercare e creare occasioni di lavoro per le famiglie che restano. Rimanere non è il verbo di chi si impunta, ma di chi ha premura di ogni ritaglio di terra e degli uomini che Dio ha chiamato alla vita lì.

6

Suor Valentina, ostetrica a Gerusalemme Est

Da Arcore a Gerusalemme Est, la prima vocazione di Suor Valentina Sala si è adempiuta: essere ostetrica. La vocazione più importante è quella che l’ha portata a prendere i voti, ma nel tempo Dio l’ha accompagnata anche a mettere a frutto i suoi studi medici.

A Gerusalemme Est, lì dove il conflitto tra palestinesi ed ebrei è ancora aperto, lavora nel reparto di maternità dell’ospedale San Giuseppe. Il suo gesto di pace è essere a servizio della nascita, come evento di relazione tra madre e figlio. Mettendo un po’ più di pace quando un bambino viene al mondo si aiuterà, forse, quel bambino e quella famiglia a essere una persona di pace.

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