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Consolare un parente o un amico: istruzioni per l’uso 

MAN, HUG, WOMAN

Fabiana Ponzi | Shutterstock

Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 09/02/22

Dolore, delusione, licenziamento, malattia, lutto o semplice malinconia… Come aiutare una persona cara a fronteggiare un’avversità, piccola o grande che sia? Perché è così difficile consolare qualcuno che si ama? Come fare? Ecco alcuni consigli di Christophe André per imparare ad alleviare meglio le pene altrui.

Quando arriva il momento di consolare una persona cara, alcuni hanno paura di fare del male, di ferire, di commettere malaccortezze suscettibili di aggravare ulteriormente il peso provato dall’altro. Alcuni sono anzi talmente paralizzati, all’idea di non saper consolare, che non si fanno più vivi, aspettando che sia la persona sofferente a chiamare aiuto. Non è sempre facile trovare i gesti giusti per alleviare la pena altrui. 

Christophe André, celebre medico psichiatra, uno dei migliori specialisti francesi della psicologia delle emozioni e autore di Consolations (L’Iconoclaste), offre qualche suggerimento e alcuni semplici punti di riferimento per aiutare a consolare meglio gli altri. Al tempo stesso sottolinea che è inutile pensare a strategie troppo complesse, perché «spesso tutto comincia con la presenza, l’intenzione, gesti e parole semplici». 

1Non imporsi

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Per consolare qualcuno, tutto consiste nel pronunciare le parole giuste e nel fare i gesti giusti… al momento giusto. È essenziale non imporsi alla persona che soffre e chiederle il permesso di avvicinarsi per restare lì al suo fianco. Perché questa prudenza? 

Per rispetto alla persona da consolare – sottolinea lo psichiatra –: è addolorata, è come un incidentato politraumatizzato. La consolazione è allora come un’intrusione che può fare male: se non arriva con delicatezza e al momento propizio provocherà sofferenze e irrigidimenti che bloccano ogni ascolto e ogni confronto. 

2Non voler andare troppo in fretta

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È essenziale non avere fretta, non dare scossoni, anche se potrebbero aiutare l’altro a soffrire di meno. Perché? Perché più la pena è grande, più la consolazione ci mette tempo a trovare la sua strada. Ci vuole dunque pazienza. Essa è necessaria tanto per chi consola quanto per chi è consolato. La pazienza è necessaria alla consolazione, che è un processo lento e prudente. Si tratta di 

tutto il cammino che rappresenta l’elaborazione della consolazione – spiega l’autore di Consolations –, esattamente come si parla dell’elaborazione del lutto. È un fenomeno naturale che si cerca di facilitare con degli accorgimenti. Tali sforzi devono però essere posti in essere con la giusta tempistica. 

Come in una lunga marcia: per arrivare a destinazione, bisogna conservare il tempo giusto. 

3Non cercare di trovare subito una soluzione

Alle volte ci si può sentire paralizzati all’idea di non poter aiutare concretamente una persona cara. Sommersi dalla sofferenza dell’altro, vorremmo almeno provare a renderci presenti. Solo che «la consolazione non è una riparazione, ma un sostegno che viene proposto». Non ci si deve sentire obbligati ad essere efficaci e a trovare delle soluzioni concrete alle difficoltà dell’altro. Come spiega Christophe André, 

talvolta non ce ne sono di accessibili, e allora bisogna mettere mano, di buon cuore, all’empatia. La consolazione non è una ricerca di soluzioni, ma il tentativo di alleggerire il senso della sofferenza. 

4Prima di tutto ascoltare l’altro

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Per l’autore di Consolations, questa è la prima cosa da fare: mettersi in ascolto dell’altro, vale a dire aiutarlo a comprendere e a chiarire quel che sente, a esprimere le sue emozioni, le sue inquietudini, ad esempio ponendo semplici domande tipo “come ti senti quando parliamo di questo?”, “che cosa ti dici?”, senza cercare di completare, di correggere, di rettificare le risposte. 

5Esprimere il proprio sostegno

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Per consolare con le parole, c’è una regola d’oro: quella della chiarezza e della misura. È essenziale esprimere alla persona che soffre anzitutto il proprio affetto «con parole chiare». Ad esempio dire “ti voglio bene, voglio alleviare il tuo dolore”, e poi, con parole più misurate, condividere la propria fiducia per l’avvenire. «Le parole devono essere semplici, chiare e nette, perché la sofferenza ne confonde l’ascolto», consiglia lo psichiatra. Esse devono essere umili: chi consola non lo fa in nome di un sapere o di un’esperienza, realtà alle quali bisognerebbe sottomettersi, bensì in nome dell’amore e della fraternità. 

6Non generalizzare

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Davanti al dolore altrui, si tende spesso a parlare delle sofferenze simili degli altri, o della propria prova, col pretesto che assomiglierebbero a quella di chi si vuole consolare. Come se si volesse diluire la sua pena in quella degli altri e così stemperarla… Bisogna fare il contrario. Mai generalizzare, mai parlare degli altri o di sé, ma sempre parlare – precisa l’autore – 

soltanto della persona che si ha di fronte a sé e del dolore che ha in quel momento. 

7Non cercare un sollievo immediato

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Alle volte la consolazione sembra non risolvere niente. In realtà essa ha sempre un effetto, presto o tardi, dice Christian André: 

Anche se sembra inutile sul momento, essa segue sempre un percorso sotterraneo che finirà per fare del bene. 

8Assicurare la propria presenza

Per consolare una persona cara, bisogna ricordarle che si sarà sempre lì, offrire un aiuto (quale che sia). Quest’attenzione che si dà storna gli altri dal dolore. È un silenzio abitato per dire al proprio prossimo “Ci sono, sono con te”. Anche se può sembrare irrisorio, è benefico. 

La consolazione è un fenomeno talvolta sotterraneo e invisibile: è un “atto di presenza amante”, anche se talvolta può sembrare impotente. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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