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Rayan è morto: hanno scavato invano, abbiamo pregato per niente?

Rayan Oram

Fadel SENNA / AFP

Paola Belletti - pubblicato il 07/02/22

Il bimbo marocchino di 5 anni finito in un pozzo martedì scorso è stato raggiunto dai soccorritori, ma troppo tardi. A cosa è servito lottare e pregare, allora?

E chi sarebbe questo Dio che abbiamo implorato tanto a lungo? chi secondo la sua fede islamica, chi secondo la rivelazione del Figlio di Dio, Gesù Cristo che ci ha mostrato il Suo vero volto, l’amore?

Lo abbiamo scongiurato, urlando, bisbigliando, rivolgendoci a Maria Santissima e a Dio padre; e intanto in Marocco invocavano Allah, scavavano con le ruspe, preparavano tubi d’acciaio, sbriciolavano blocchi di roccia 80 cm all’ora e preparavano equipe mediche, tenendo tutti, persino il Re, col fiato sospeso e il cuore spezzato.

E Dio, mentre noi uomini ci affannavamo come formiche dall’operosità disperata, che faceva? teneva il pollice sospeso a metà pronto ad infliggerci la sua insindacabile decisione?

Pollice verso. Ci arrendiamo, dunque

Rayan, sabato sera, è arrivato nelle braccia dei soccorritori e tutti speravamo che fosse vivo, che fosse salvo. Invece, poco dopo la notizia che il piccolo era uscito finalmente da quelle spire di terra, è arrivata quella definitiva: è morto a causa delle ferite riportate per la caduta. (Ansa)

La corsa contro il tempo è stata vana, si legge. Ed è vero, tutti volevano arrivare prima della morte che lo stava assediando con le sue truppe: traumi, mancanza di ossigeno, assenza di luce, di nutrimento, di acqua, e ancora stanchezza, angoscia, solitudine, desiderio di lasciarsi andare. Erano tutti prodromi di un travaglio che lo ha spinto verso la morte.

Ho sentito questa mattina le parole dei genitori di Rayan, prima il papà poi la mamma. Stanchi, composti, dolenti ringraziavano il Re, i soccorritori e Dio, l’Altissimo: colui che dà e che toglie (quasi le parole di Giobbe).

Non sembra così anche a noi? che lo faccia a suo piacimento, di dare e togliere e che non si capisca bene il perché? Non patiamo anche noi, imperdonabilmente impreparati, l’impressione che la sua volontà agisca senza ragione, o con una ragione che è solo la sua indecifrabile discrezione?

Da martedì a sabato

Giocava nel campo proprietà della sua famiglia, come il pozzo che l’ha risucchiato. Era martedì pomeriggio, il papà era impegnato con altri uomini in lavori per la messa in sicurezza del pozzo, si legge sul sito di SkyTG24 che riporta la BBC:

“Ho distolto un attimo lo sguardo e lui è caduto. Non ho più dormito”, ha raccontato l’uomo

Skytg24

Non è chiarissima la dinamica perché su altri organi viene riferito che si sono accorti della sua assenza verso sera. Non vedendolo rientrare come era solito si sono messi a cercarlo e solo allora hanno capito che era finito nel pozzo.

La macchina dei soccorsi funziona a speranza

Immediati i soccorsi e la mobilitazione di tutta la comunità vicina alla famiglia. Chi non poteva scavare ha aiutato anche solo rifocillando i soccorritori giunti da tutto il paese. Uno fra tutti è diventato l’eroe del deserto si chiama El Jajaoui ed è uno specialista di pozzi. Non appena ha sentito la notizia è partito dal sud del Marocco per raggiungere il luogo dell’incidente. Ha scavato per ore e ore senza fermarsi, prima con l’escavatore e poi con le mani.

Un giovane minuto si è offerto di calarsi a testa in giù per prenderlo; ci ha provato ma il pozzo si stringeva troppo, ha dovuto rinunciare. Chi ha almeno 50 anni si ricorda la stessa acrobazia ad opera di Angelo Licheri a favore di Alfredino, Alfredo Rampi. Il pozzo era al Vermicino, nel Lazio. Lo toccò, riuscì a liberargli la bocca dalla terra che la occupava ma anche lui dovette farsi riportare in superficie a mani vuote e l’anima a pezzi.

Pochi anni fa è successo di nuovo, in Spagna. Julen, due anni, volò all’ingiù con le braccine alzate dentro un pozzo artesiano nel prato dove stavano per fare un pic-nic in famiglia; stessa mobilitazione, stessa speranza ostinata, stessa delusione, indicibile strazio dei genitori che già avevano perso un altro figlio in tenera età. Anche Julen fu portato alla luce quando ormai non poteva più vederla.

Per un bimbo tanto piccolo

La cosa che sconvolge e commuove è l’apparente sproporzione tra lo spazio occupato da quel bimbo di 5 anni, piccolo al punto da poter essere risucchiato da un pozzo largo al massimo 30 cm, e le operazioni che gli uomini fuori hanno messo in atto per salvarlo.

Sono arrivati a sventrare il fianco di una montagna per raggiungerlo. E questa concitata e pure organizzata e competente smania di arrivare a soccorrerlo è la cosa più bella che possiamo raccontarci tra noi uomini.

Una vita che vale più del mondo intero

Nessuna cattedrale, nessuna opera d’arte o bellezza naturale, nessuna città o costruzione, niente, nemmeno un’intera catena montuosa o una galassia appena scoperta varrà mai la vita di quel piccolo. Si sacrifica tutto pur di arrivare a lui, pur di salvarlo.

Questi drammi, che siamo continuamente tentati di chiamare tragedie, sono lo scoperchiamento più evidente di cosa ci alberga nel cuore e di cosa ci lega gli uni agli altri. Noi, con tutte le nostre forze, vogliamo che l’altro viva. Vogliamo che la sua vita, unica e impossibile da replicare, sia custodita e preservata. E che sia riconsegnata a quel reticolo di relazioni che è la sua famiglia e così a tutti noi.

Il cuore dell’uomo è così, abisso di mal e possibilità pressoché infinita di bene. A volte, addentrandoci anche solo in noi stessi, abbiamo l’impressione di mettere piede in un caverna capace di nascondere solo orrori o di stare nei pressi della camera magmatica di un vulcano attivo. Altre volte riscopriamo invece che sempre in noi esiste una sorgente di acqua limpida che non si può inquinare.

Ci scopriamo capaci di bene, di sacrificio, di amore fino all’annientamento, persino per uno sconosciuto. Così ci ha mostrati ancora una volta questa circostanza: sospesi l’uno all’amore degli altri, appesi anche alle nostre incurie, certo, all’imprudenza o alla semplicità del fatto che le cose sono imperfette, la nostra mente lo è, persino l’amore di due bravi genitori non protegge abbastanza.

Ma non è servito a niente

A cosa è servito, alla fine, tutto questo sforzo se Rayan ha sofferto ed è morto? Me lo ha chiesto anche una delle mie figlie, delusa che le nostre preghiere, come quelle di tutti, non avessero ottenuto la risposta sperata; ma alla domanda se allora tanto valeva non provarci nemmeno si è accorta che no, non abbiamo scampo: occorre imperiosamente tentare e fare il possibile, fino all’estremo.

Prima di scivolare nelle metafore che esercitano sempre una ingiusta banalizzazione sulla realtà dobbiamo fermarci e accusare il colpo. Rayan ha sofferto ed è morto, non è andata come eravamo convinti dovesse andare, almeno questa volta.

Non è stato tratto in tempo alla luce, non ha potuto percorrere verso la vita quel tunnel di tubi orizzontali disposti con uno sforzo titanico perché fossero la sua via d’uscita. I suoi genitori non hanno potuto trasformare in tremendi ma grati ricordi quelle 100 ore di angoscia.

Nemmeno la telefonata del Re Mohamaahd VI avrà potuto ridurre di un grammo il carico della loro sofferenza.

Fine e fine

Tutti gli sforzi profusi ora sono stanchezza e delusione. Non è servito a niente, per lui è arrivata lo stesso la fine. Ma non è davvero così: lo sappiamo già che la vita è fragile, sospesa, esposta a venti, tempeste e caduta massi. Tutta la vita è un susseguirsi di segnali di pericolo per quanto numerosi siano i punti panoramici.

Lo sappiamo già che sotto a ciascuno di noi può aprirsi una voragine, persino se avremo il “privilegio” di morire comodi nel nostro letto sospinti solo dal gran numero di anni vissuti. E Cristo, il nostro Dio fatto carne, che ha in rari casi persino resuscitato i morti, non ha impedito che dopo il Suo si accumulasse nella storia una processione di dolori innocenti che sempre, sempre ci lasciano sconvolti. E non possono fare altro. Ditemi voi se c’è al mondo una sola mamma di un bambino sofferente che si voglia intrattenere a discettare di significato del dolore: lo esige il senso, ma nella forma di una passione condivisa, di lacrime comprese prima che asciugate.

Lo diceva ieri sera Papa Francesco nell’intervista rilasciata a Fazio: non c’è una risposta “discorsiva” al dolore dei bambini. C’è solo nel mistero della passione, morte e resurrezione di Gesù, unica immagine che non si può tradurre in un altro modo.

 (…) una domanda a cui non sono mai riuscito a rispondere e che alcune volte mi scandalizza un po’ è: “Perché soffrono i bambini? Perché soffrono i bambini?”. Io non trovo spiegazioni a questo. Io ho fede, cerco di amare Dio che è mio padre, ma mi domando: “Ma perché soffrono i bambini?”. E non c’è risposta. Lui è forte, sì, onnipotente nell’amore.

Papa Francesco

Una onnipotenza disarmata, apparentemente inerme che però fa proprio del dolore innocente offerto per amore la via più svelta per raggiungere Dio e contribuire alla felicità di tutti. Uno scandalo da qui alla fine dei tempi, inutile girarci intorno.

Il vantaggio di fallire

Dovremmo forse raccogliere insieme al popolo marocchino che non è riuscito a salvare Rayan il paradossale privilegio del fallimento. Del vangelo di ieri, quello in cui Pietro si ritrova con la barca vuota dopo una notte intera di pesca, ho scoperto grazie ad un sacerdote una cosa che non avevo ancora notato: è proprio sulla barca di Pietro stanco, fallito, incapace di raccogliere frutti dalla sua comprovata capacità di pescatore, è proprio da lì che Gesù annuncia il suo regno, è da lì che parla alla gente: dalla barca di un pescatore appena fallito.

E lo fa prima di ripagarlo con la pesca miracolosa e sovrabbondante e prima di cambiargli il nome e il tipo di pesca.

Gli serviamo così, Dio ha bisogno di noi svuotati, apparentemente sbagliati, inutili. Ha bisogno che facciamo tutto quello che possiamo sapendo che le reti possono restare vuote e il bambino che volevamo salvare morire. Perché la nostra pesca sarebbe troppo scarsa e la nostra salvezza tragicamente precaria. E’ solo dopo che Gesù ha ammaestrato le folle dalla barca di Pietro “il fallito” che lo ripaga con una pesca spropositata; è solo dopo la morte che la nostra vita si svela per quella che è, eterna, piena.

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