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Giuliana si è suicidata al 9° mese di gravidanza perché “travolta dal lavoro”

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chaiyawat chaidet | Shutterstock

Silvia Lucchetti - pubblicato il 01/02/22

Giuliana era una moglie che stava per diventare per la prima volta mamma, commercialista di professione. Il cesareo era programmato per il 20 febbraio prossimo. Quando si è lanciata dal balcone si trovava al telefono con una sua collega a parlare ancora di lavoro, diventato la sua ossessione.

La maggior parte delle testate giornalistiche ha riportato il terribile gesto di una donna 36enne incinta al nono mese di gravidanza che si è suicidata a Torino il 26 gennaio scorso. Il giorno seguente avrebbe compiuto 37 anni.

La cronaca di un suicidio terribile

Giuliana Tosco, stimata commercialista, si era sposata circa un anno fa ed era alla sua prima gravidanza. Il bambino, intensamente desiderato, sarebbe nato fra pochi giorni: il cesareo era programmato per il 20 febbraio.

Nel momento del gesto si trovava nella nuova casa, appena ristrutturata, in cui la coppia si era trasferita da pochi mesi, ed era al telefono con una collega dello studio in cui lavorava.

Parlavano di lavoro, quando improvvisamente la comunicazione è cessata sostituita da un incomprensibile silenzio: in quel frangente Giuliana ha d’impeto spalancato la finestra e si è gettata nel vuoto.

L’amica ha provato a richiamarla, e non ricevendo risposta ha lanciato l’allarme; ma di fronte agli occhi dei soccorritori intervenuti immediatamente la scena che si è presentata non permetteva di nutrire alcuna speranza per la madre e il bambino.

Questa l’asciutta cronaca di un dramma per cui è difficile trovare parole adeguate, se non di commossa pietà per due vite così tremendamente recise.

Proviamo a metterci nei panni di Giuliana

Da mamma 34enne di tre figli, l’ultima partorita a luglio che è qui accanto a me mentre scrivo, lavoratrice a partita iva e, come Giuliana, rimasta “in servizio” fino alla fine del tempo di gestazione per tutte le gravidanze, mi viene davvero facile immedesimarmi in lei, “parlarle”, sentirla vicina.

Viviamo un momento storico in cui la società ha un atteggiamento schizofrenico nei confronti della maternità. La gravidanza è da una parte estremamente attenzionata e medicalizzata; dall’altra è nei fatti “banalizzata”. Infatti si pretende quasi, o meglio si dà per scontato, che la donna comunque sia sempre al top, presente al cento per centro al lavoro e in casa fino al parto e oltre. E la donna finisce per far suo questo modello estremizzato che la cultura attuale in qualche modo le “impone”.

Una Wonder Woman arrabbiata e sfinita

Al riguardo ricordo un fatto banale, ma che ben illumina la situazione. Ero incinta della prima figlia e mi trovavo in ospedale per ritirare i referti delle ultime analisi. C’era una donna con il pancione basso di chi è prossima al parto, visibilmente tesa che aspettava in piedi il suo turno. Le suggerii con gentilezza di chiedere un posto a sedere e magari anche il permesso di saltare la fila. Ma lei mi rispose da Wonder Woman molto arrabbiata: “guarda che io ho lavorato tutta la gravidanza full time e sto ancora lavorando anche se manca pochissimo, guido nel traffico, bado alla casa, all’altro figlio, e faccio tutto da sola”. Le risposi serenamente che era lo stesso anche per me, ma che se avessi potuto avrei cercato di preservarmi dalla fatica maggiormente.

E aggiunsi che quando trovavo qualcuno disponibile passavo avanti alla cassa del supermercato e chiedevo anche il posto per sedermi sulla metro. Lei mi guardò con aria di superiorità mentre con le mani si tratteneva la pancia per una contrazione. Poverina, era chiaro che non ce la faceva più, ma non voleva ammettere neppure a sé stessa che quel dover (o voler) mostrarsi in grado di gestire tutto la stava sfinendo.

Chissà quanto si sarà sentita sfinita la povera Giuliana. A gennaio dell’anno passato si era anche ammalata di Covid con tutto lo stress che la malattia comporta. Oltre la salute ne avrà risentito anche il suo stato d’animo. Avrà avuto paura, affaticata dall’isolamento, e poi la preoccupazione di mancare tanto dal lavoro e di riportare comunque conseguenze dopo la guarigione.

Non so… provo ad ipotizzare, perché sono tanti i pesi e i fantasmi che si agitano nel cuore di ciascuno di noi. E nel cuore di una mamma sono il doppio.

L’esasperazione al culmine

Mi viene in mente che era davvero arrivata all’esasperazione: ancora nel pieno del lavoro stava organizzando le pratiche da lasciare ai colleghi, voleva finire tutto per poi forse concedersi finalmente un po’ di calma, di tempo per sé e per il suo bambino.

Il rito della borsa da preparare con le ultime cose, un appuntamento dal parrucchiere, l’ultima cena fuori in due con suo marito, quattro chiacchiere con l’amica del cuore.

Mi si gonfia l’animo di tristezza e compassione a immaginare il volo dal balcone con il suo corpo di madre, il pancione caldo di vita che spinge in avanti l’aria fredda. L’ombelico tirato che per primo ha varcato quel limite dal quale non si torna più indietro.

Chissà in quei tragici momenti quale sarà stata la sua ultima preghiera. Mi dispiace profondamente che Giuliana si sia fatta rubare la sua gioia, “la gioia interiore della maternità” come la chiama Papa Francesco.

Giuliana era piena e si è buttata nel vuoto.

Alla sua anima, a quella del suo bambino, le nostre preghiere più accorate. Al suo sposo, alla sua famiglia, a chi l’ha conosciuta e amata, chiediamo al Signore di mandare il Suo Spirito consolatore.

Il suicidio in gravidanza

Il suicidio in gravidanza e nel primo anno dopo il parto non è purtroppo un fenomeno così eccezionale come si potrebbe credere. In Italia riguarda 2,3 donne per 100.000 nati vivi, un tasso superiore a quello dell’emorragia ostetrica, che vede colpire 1,92 donne per centomila nuovi nati. (epicentro.iss.it)

Il periodo più a rischio si rivela quello compreso fra l’ultimo trimestre di gravidanza e i primi mesi dopo il parto. Le donne che mettono in atto comportamenti suicidari nel periodo della gravidanza, del post-partum e del puerperio utilizzano più spesso metodi “duri” maggiormente letali rispetto alla popolazione femminile generale, il che indica  un’elevata intenzionalità del gesto, e quindi la maggiore e intollerabile sofferenza che lo anima. (Ibidem)

I fattori di protezione per una gravidanza serena

La presenza di una rete sociale di supporto rappresenta in questa fase particolare della vita della donna un fattore altamente protettivo. Poter contare sulla famiglia e gli amici per ricevere un aiuto pratico e un sostegno psicologico, avere una relazione sentimentale soddisfacente, poter fare affidamento sul compagno nei momenti di preoccupazione e nervosismo sono tutti elementi fondamentali per supportare una gestante o una neomamma ad affrontare l’impegno per generare ed accogliere serenamente una nuova vita.

Cosa è scattato nella mente di Giuliana per portarla ad una fine così tragica insieme con il suo bambino? È impossibile trovare una risposta esaustiva, alla luce del fatto che il suicidio è un fenomeno estremamente complesso e multifattoriale che risente di fattori genetici, psicologici, sociali e culturali.

Il marito: “mia moglie è stata travolta dal lavoro”

Premesso ciò, per tentarne una qualche comprensione riportiamo la testimonianza a caldo del marito distrutto dal dolore, il quale certamente non sospettava che quel male oscuro covasse in modo così virulento:  

Mia moglie è stata travolta dal lavoro. Giuliana amava tantissimo la sua professione. Lo faceva con passione ma si impegnava troppo. Non sapeva dire di no. Nemmeno adesso che era al nono mese di gravidanza. Questo l’ha distrutta.   

(Corriere.it)

La testimonianza degli altri

La suocera che abita nell’appartamento accanto a quello in cui si è consumata la tragedia commenta:

Temeva di non saper gestire tutto, anche se noi le avevamo garantito tutto l’aiuto possibile, ma lei si sentiva soverchiata.

(Ibidem)

Il titolare dello studio di commercialisti con cui Giuliana lavorava così riflette su questo gesto:

Siamo liberi professionisti, ci sentiamo responsabili dei nostri clienti e anche lei era così, una professionista con un carico di lavoro molto importante. Aveva  scelto lei, come molti lavoratori a partita Iva, di non interrompere gli impegni con i clienti nemmeno nell’ultimo mese di gravidanza. Diceva di stare bene, che era tutto a  posto. Noi  siamo  sempre stati pronti ad aiutarla.   

(Fanpage.it)

Il biglietto “d’addio”: una lista di impegni lavorativi per i colleghi

Nell’appartamento è stato trovato un foglio, che non è un biglietto di addio ma un dettagliato e lungo elenco di cose da fare indirizzato ai colleghi di studio. Evidentemente dentro Giuliana non era tutto a posto: il fantasma minaccioso di un lavoro che non era svolto come dipendente ma da libera professionista a partita iva  – con il senso di precarietà che questa situazione comporta specialmente in un momento congiunturale così difficile – insieme al suo rigido senso di responsabilità nei confronti di chi si era affidato a lei, sono diventati un macigno insostenibile che ha rappresentato il fattore scatenante di un percorso, le cui radici più lontane non sono facilmente rintracciabili, determinandola a compiere un gesto per molti incomprensibile.

Il dovere di tutelare la donna lavoratrice di fronte alla maternità

Solo cercando di immedesimarsi nell’angoscia estrema di non sentirsi all’altezza di onorare pienamente i propri doveri può permetterci di provare fino in fondo tutto il sentimento di pietas che merita di essere rivolto a chi ha messo fine alla propria vita, non permettendo ad un’altra portata in grembo di fiorire.

L’immenso sgomento e dolore che questa vicenda ci fa provare, costringe però nello stesso tempo tutti noi a riflettere sulla necessità assoluta di perorare la realizzazione delle più ampie provvidenze in ambito sociale e lavorativo per la tutela della maternità, il bene più prezioso che la società è chiamata oggi più che mai a salvaguardare.

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