Nel 1244 i suoi superiori decisero di inviare Tommaso a Colonia per lasciargli modo di perfezionare i suoi studi sotto la direzione del migliore dei maestri: Alberto, che già in vita veniva detto “il Grande”.
Il giovane frate, rispondendo al proprio voto di obbedienza, ottemperò pur essendo fortemente inquieto per quella distinzione, che sottolineava (troppo, al suo modo di vedere) i suoi successi di studente e quell’intelligenza che i suoi superiori avevano presto giudicato notevole. Quel che turbava Tommaso, soprattutto, era il segreto piacere che aveva in quei complimenti: vi ravvisava una grave colpa contro la virtù dell’umiltà. Nel corso del viaggio che lo conduceva in Renania, prese una decisione eroica: nascondere le sue capacità intellettuali e i suoi talenti ai suoi nuovi professori e ai suoi condiscepoli. Per questo, avrebbe mantenuto il silenzio finché fosse stato possibile, pronto a passare per uno sciocco finito per errore in una delle più prestigiose università d’Europa.
Il grande bue muto
Coraggiosamente, per dei mesi, si attenne al piano. I suoi compagni – i quali erano anch’essi brillanti (o si ritenevano tali) – ci cascarono e non tardarono a vedere in quell’italiano taciturno un sempliciotto. Tommaso poi aveva questo da parte sua, e lo doveva alle lontane origini vichinghe (la sua famiglia discendeva da Normanni di Sicilia e di Napoli che avevano lasciato il Cotentin per delle terre più miti): era un ragazzone ben piazzato, che sembrava forte come un bue. “Il grande bue”, bos magnus in latino – la lingua franca degli studenti –: così presero (non molto caritatevolmente) a chiamarlo i compagni. Qualche mese più tardi, davanti a un mutismo che prendevano per una prova di debolezza mentale, completarono il soprannome in “bos magnus et mutus”, bue grande e muto. Tommaso lo sapeva e non reagiva, restando perfettamente indifferente ai motteggi.
Invece di calmarli, quel silenzio li spinse a rincarare la dose delle cattiverie. Una mattina, mentre studiavano nello scriptorium, uno dei giovani frati cercò il numero di simpatia e gridò: «Frate Tommaso, venga a vedere, presto! Là in cielo c’è un bue che vola!». E Tommaso accorse, come se avesse creduto a quell’improbabile annuncio – cosa che scatenò fra gli altri un’irresistibile risata. Allora, aprendo per una volta la bocca, disse dolcemente: «Fratelli, preferisco credere all’esistenza di un bue che vola piuttosto a quella di un religioso bugiardo».
Ripetizioni private
La lezione fu recepita almeno da uno degli studenti che, colmo di vergogna, decise di riscattarsi soccorrendo quello studente manifestamente inadeguato agli studi che stava compiendo. Si offrì di impartire a Tommaso delle ripetizioni per permettergli di recuperare quel che riteneva essere un grave ritardo scolastico.
Fedele al suo ruolo, Tommaso accettò e si mostrò riconoscente, fino al giorno in cui il suo amico, davanti a una complessa questione di teologia, rimase incapace di risolverla. Davanti al suo imbarazzo, Tommaso – che non vedeva difficoltà alcuna in quel problema – sciolse l’enigma in una sola frase, di una tale chiarezza ed evidenza che l’altro si gettò ai suoi piedi scongiurandolo di perdonare la fatuità con cui aveva preteso di insegnare a uno dal quale avrebbe avuto invece da imparare.
Incapace di tenere per sé il segreto di Tommaso, lo studente lo rivelò ad Alberto e a tutti, portando in piena luce il genio del giovane futuro dottore angelico.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]