Si legge d'un fiato il libro della pianista cattolica Maïti Girtanner appena edito da Itaca e intitolato Maïti.Resistenza e perdono. Si trattiene anche il fiato leggendo, perché il tema del perdono - così piantato nell'anima - è però alieno alla nostra misura. In effetti, il perdono è rottura di ogni misura e perciò, come scrive Maïti, è uno spartito che si suona a quattro mani con Dio.
Il Giorno della Memoria è alle porte e questa storia ci fa stare con un piede nel nostro presente e con l'altro nei panni di una giovane diciottenne che per quattro mesi, tra il 1943 e il 1944, fu torturata da un medico nazista.
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Il perdono non è naturale, è divino
«Ebbi l’impressione che la casa mi stesse crollando addosso». Questa fu la reazione di Maïti Girtanner di fronte a una richiesta folle. A quarant'anni dalle torture subite durante la Seconda Guerra Mondiale, il medico nazista Léo responsabile di quelle azioni, si fa vivo. Un tumore terminale lo spinge a fare un passo enorme: chiedere il perdono alla sua vittima.
Maiti è ormai una donna molto adulta, sui 60 anni, e con il corpo profondamente leso dalle torture subite durante la prigionia (quando aveva appena 18 anni). Accetta l'incontro, ma soprattutto accetta la sfida più grande posta dall'ipotesi del perdono:
Ecco che qui lo scorcio non è più solo un passato remoto da rievocare, ma qualcosa che parla al nostro incandescente presente. La mossa del perdono, come ogni tratto del cristianesimo, è un'esperienza e non un sentimento. Non è una posa ma è relazione. Addirittura ipotesi scandalosa di relazione, quella con il carnefice.
Resistere sul confine, vivere le circostanze
Questo tempo di pandemia sembra rendere sempre più opaca la nostra vista, e contemporaneamente sentiamo la smania di aver capito cosa stiamo vivendo. La storia di Maïti Girtanner ci è compagna di viaggio, aiutandoci a mollare la presunzione della sintesi e della verità mentre si affrontano le incognite. La vera urgenza è vivere le circostanze come una chiamata in cui Dio non si sottrae.
Negli anni in cui il regime hitleriano comincia a spargere terrore in Europa Maïti è una ragazzina di origini svizzere che vive in Francia. Ha una passione e un talento per la musica, ereditati dal nonno. Dal padre, scomparso prematuramente, ha invece accolto il tesoro della fede cristiana cattolica. Quando scoppia la guerra lei vive con la sua famiglia a Bonnes (vicino a Poitiers) sulle sponde del fiume Vienne, che si trova sulla linea di demarcazione tra Francia libera e territorio occupato. Non solo il suo paese, i Tedeschi occupano anche casa sua, luogo strategico di controllo sul confine. E lei, pur con il nemico in casa e pur giovanissima, non cede ai conquistatori.
Quello che stupisce è la chiarezza d'animo di una ragazza di appena 17 anni. Il confine non è solo quello imposto dalla guerra, non è una mera circostanza storica. Dentro ogni evento è in gioco il destino eterno di ogni persona, il vero confine - che siamo in guerra, in pandemia, in un giorno qualunque - è tra il nulla e l'eterno. Ogni giorno non è in gioco solo la sopravvivenza ma la vita eterna. Così la Resistenza vissuta da Maïti è un gesto politico intero, inteso come ipotesi di vera salvezza per la comunità delle anime che incontra.
Dunque non offre solo la sua disponibilità a mettere in salvo i corpi, ma a quanti chiedono il suo aiuto porta la testimonianza della vera posta in gioco: il destino della vita eterna.
Il tempo del patire è poco
Dopo un'intensa attività a servizio della Resistenza, Maïti viene arrestata. A nulla vale la sua cittadinanza svizzera.
La scelta editoriale dell'autrice e protagonista della vicenda è quanto mai sovversiva. E perciò esemplare. Siamo in un tempo in cui si freme per esibire il dolore, telecamere e microfoni non aspettano altro che dare in pasto al pubblico l'orrore inquadrato dettaglio per dettaglio. Maiti, con la sua tempra irriducibilmente coraggiosa, salta a pié pari quello che la comunicazione scandalistica cercherebbe. Racconta molto della sua passione per la musica, dei suoi giorni di guerra e resistenza. Arrivata al punto delle torture, tace.
Che spazio diamo al nostro patire? Anche solo nel nostro intimo, ci crogioliamo. Lo dilatiamo, ci indulgiamo. E' sempre utile? Queste domande mi sono sorte con il fastidio di una puntura, leggendo questo libro. Dilatare il tempo della croce può causare un errore madornale di coscienza. E' audace scegliere di dedicare poche parole a 4 mesi di tortura che saranno sembrati un'eternità. Ecco di nuovo la parola giusta che incombe. Se l'orizzonte complessivo è il destino eterno di ciascuno, non si può cadere nella trappola di rimanere chiusi in un'esperienza tragica ma di durata finita. Piuttosto, la sfida cristiana - che Maïti ha compreso radicalmente - è guardare il tempo della passione come chiamata a una nuova costruzione di sé.