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Intervista a un monaco: il deserto può essere un luogo implacabile

CHRIST IN THE DESERT

Shutterstock | Photonyx Images

Daniel R. Esparza - pubblicato il 25/01/22

Il responsabile dell'ospitalità dell'Abbazia di Cristo nel Deserto (New Mexico, USA) condivide la prospettiva benedettina su ospitalità, tentazione e vita contemporanea

San Benedetto da Norcia è considerato il padre del monachesimo occidentale, ma non è stato il primo monaco cristiano, titolo spesso riservato ad Antonio il Grande. La vita cristiana monastica ed eremitica è nata nel deserto egiziano almeno due secoli prima di Benedetto, verso l’anno 270. Se Paolo di Tebe è stato il primo ad avventurarsi nel deserto, è stato Antonio a trasformare il tutto in un movimento. Quanti lo hanno seguito hanno formato una sorta di società cristiana – i famosi Padri del Deserto. È stato uno di questi, San Pacomio, a organizzare le prime comunità monastiche cristiane sotto l’autorità di una figura nota come “abate”, termine che deriva dall’aramaico “abbà”, padre.

Ciò vuol dire che la famosa Regola di San Benedetto non è la prima regola monastica. Se paragonata a quelle di San Basilio o di Pacomio, però, è certamente più ampia. Organizzata in 73 capitoli, è usata dai monaci benedettini fin dal VI secolo.

Regola

Uno dei passi più famosi della regola di San Benedetto è il capitolo 53. Il testo è relativamente breve, e in poche righe riassume il principio della leggendaria ospitalità benedettina. Si legge:

“Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: ‘Sono stato ospite e mi avete accolto’”.

Le comunità monastiche ritengono l’ospitalità il fulcro della loro missione e identità, soprattutto se si trovano nel deserto o in altre aree relativamente isolate, in cui spesso si trovano i monasteri (i viaggiatori che si avventurano in queste regioni particolarmente remote hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile).

La carità cristiana obbliga i monaci ad aiutare, tradizione che viene preservata e onorata ancora oggi. Abbiamo intervistato fra’ Crisostomo, responsabile dell’ospitalità dell’Abbazia Benedettina di Cristo nel Deserto, fondata nel 1964 da p. Aelred Wall, per discutere brevemente su ospitalità, contemplazione e vita.

Luogo

Si arriva al monastero dopo aver percorso 5 chilometri di strada sterrata fuori dalla Route 84, nella zona nord-occidentale del New Mexico (Stati Uniti). Il monastero, progettato dal famoso George Nakashima, è circondato da chilometri di paesaggio desertico protetto dal Governo, garantendo così la solitudine e la tranquillità della vita monastica. Abbiamo iniziato la nostra intervista chiedendo a fra’ Crisostomo di questa ubicazione particolare.

Thomas Merton ha affermato che il monastero di Cristo nel Deserto è il migliore edificio monastico degli Stati Uniti. Il modo in cui si inserisce nel paesaggio è impressionante. Può dirci qualcosa di più al riguardo, e perché questo è importante per la comunità monastica?

Gli abitanti della città cercano di rimanere collegati all’ambiente circostante con costruzioni, temi architettonici e colori. Anche noi vogliamo seguire la tradizione di mescolarci con il nostro ambiente. Sentiamo che facendolo non solo stiamo contribuendo alla sua preservazione, ma stiamo anche valorizzando il rispetto per la natura di cui parla Papa Francesco nella Laudato Si’, la sua seconda enciclica. La struttura [del monastero] sembra essere stata scolpita nelle pareti del canyon.

L’ospitalità è un valore biblico paradigmatico. Alcuni autori spirituali spiegano che la creazione è il gesto principale che indica l’ospitalità di Dio. Se non fosse stato per la sua ospitalità, Abramo non avrebbe mai avuto Isacco. Innumerevoli riferimenti biblici all’ospitalità (inclusa la nascita di Gesù) mostrano chiaramente che è una preoccupazione centrale. Come responsabile dell’ospitalità di un monastero, e nel deserto, come ritiene che sia possibile portare l’ospitalità nella vita quotidiana di tutti?

Credo a quello che altri autori spirituali più istruiti hanno detto di Dio: è Lui che provvede all’ospitalità. La creazione è stata realizzata per la Sua Chiesa. Per non “teologizzare” troppo su come Dio sia ospitale nei confronti della Sua creazione, basta capire che Egli sa ciò che fa. Noi, Sua creazione, possiamo beneficiare di promemoria su come partecipiamo alla Sua creatività e alla Sua ospitalità. Provvedere ai poveri, vestire gli ignudi, sfamare gli affamati sono aspetti importanti dell’ospitalità. Gesù ci dice però che quando facciamo questo al più piccolo dei nostri fratelli lo facciamo a Lui. L’ospitalità può essere estesa ai nostri atteggiamenti aperti e affettuosi nei confronti delle persone, alla nostra mancanza di pregiudizi e alla disposizione di ascoltare gli altri. Anche questi sono atti di ospitalità che non dobbiamo ignorare.

La maggior parte delle persone ha un concetto quasi romantico del deserto, come se fosse tutto silenzio e pace, ma il nome del suo monastero (“monastero di Cristo nel Deserto”) si riferisce chiaramente al fatto che il deserto è il luogo in cui si viene tentati. Può dirci qualcosa al riguardo?

Il deserto è di fatto romanzato, ed è vero, Cristo è andato nel deserto dopo essere stato battezzato e vi è stato tentato per la Sua fame (ha digiunato per 40 giorni) e per la Sua mansuetudine (è stato sfidato a provare Se stesso come Dio e Gli è stato offerto il dominio sui centri di potere). Personalmente, ritengo il deserto un luogo bello e implacabile. A volte può essere anche inospitale. Può essere pericoloso. Può essere molto freddo e molto caldo, a volte nella stessa giornata! Per me il deserto è un luogo che può trarre fuori, non in modo indolore, dall’arroganza dell’autosufficienza. È anche un luogo in cui le distrazioni si dissipano ed emerge la semplicità di vita: dov’è l’acqua? Dov’è il cibo? Di cosa ho davvero bisogno per sopravvivere?

La vita contemporanea è piena di conversazioni apparentemente interminabili – telefoni cellulari e laptop mantengono tutti esposti incessantemente a praticamente tutto. In un mondo in cui regna l’informazione, la contemplazione e il silenzio sembrano controculturali, perfino inutili. Cosa ne pensa?

Credo che le distrazioni da quello che vogliamo perseguire o su cui ci vogliamo concentrare ci siano sempre state. Nel nostro mondo moderno, in base alle scelte dell’individuo, queste distrazioni aumentano a dismisura, forse addirittura in modo esponenziale! Di recente, ho riflettuto su Nostra Madre Maria in occasione della sua festa del 1° gennaio. Nelle Scritture, gli autori dei Vangeli l’hanno descritta come una persona che custodisce le cose e ne pondera i misteri nel proprio cuore: l’Annunciazione, l’acqua che si trasforma in vino alle nozze di Cana, la visita dei Magi… Maria deve aver custodito molti ricordi di suo figlio Gesù. Noi, come Maria, immagazziniamo ricordi di come Dio ha operato nella nostra vita nel corso degli anni, che possono tornarci alla mente nel deserto. Possiamo comporre un florilegio (un libretto) che prende vita quando abbiamo tempo per stare tranquilli e sederci in silenzio e solitudine. Ad alcuni può sembrare inutile, ma io dico di provare. Non si sa mai quali frutti inaspettati possano scaturire da un coraggioso passo di fede.

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