Nel 330, un’anziana signora pellegrinava in Terra Santa. E non era una qualunque: Elena, infatti, era la madre dell’imperatore Costantino. Cristiana, fu lei a parlare per prima di Cristo al figlio, nato da una giovanile relazione con un promettente ufficiale, Costanzo Cloro, prima che questi la ripudiasse per sposare la figlia di uno dei cesari e così avvicinarsi alla porpora. Erano ormai passati vent’anni dalla morte di Costanzo, ma Costantino aveva saputo, a dispetto delle difficoltà, impadronirsi del potere e regnare incontrastato sull’Oriente e sull’Occidente.
Questa onnipotenza aveva la sua contropartita, e il sovrano – il quale, malgrado l’editto di Milano del 313 che autorizzava il culto cattolico, non aveva mai chiesto il battesimo – si era più volte reso colpevole di orrendi delitti. Il peggiore di questi fu certamente l’omicidio del figlio maggiore, Crispo, figlio di primo letto. Fece “giustiziare” il figlio senza neppure ascoltarlo dopo una denuncia calunniosa della sua seconda moglie, Fausta, desiderosa di liberare il posto dell’erede al trono ai propri figli. Quando comprese l’innocenza di Crispo, Costantino fece uccidere Fausta, aggiungendo delitto a delitto…
A peso d’oro
Ecco appunto la ragione che ha spinto Elena a partire per Gerusalemme: voleva ritrovare laggiù tutte le reliquie possibili legate alla vita di Cristo, far costruire sui luoghi in cui il Salvatore visse dei magnifici santuari e, a colpi di splendide opere, cancellare i terribili peccati di Costantino.
Di reliquie e ricordi, Elena ne trovò a bizzeffe, a cominciare dalla più celebre di tutte – la santa Croce. Avviò cantieri di basiliche al Santo Sepolcro di Gerusalemme, alla Natività di Betlemme. Ha riportato a Roma la colonna della flagellazione, la scalinata del palazzo di Pilato, i chiodi della crocifissione, un pezzo di legno imporporato dal sangue del Redentore e molti altri inestimabili souvenir.
Tra questi, stando alle cronache, si trovavano le reliquie dei Re Magi, che l’Augusta avrebbe mandato a recuperare a peso d’oro fino in Persia, nella patria di quei saggi che una tradizione teneva per i primi evangelizzatori della loro patria. Le reliquie furono allora trasportate a Costantinopoli, nuova capitale imperiale, e collocate nella nuova basilica di Haghia Sophia. Offere successivamente al vescovo di Milano, le reliquie raggiunsero l’Italia e sfuggirono agli incendi e alle distruzioni di cui sarebbe stato fatto oggetto il santuario della Santa Sapienza.
La teca s’illuminava
Fu a Milano, della quale nel 1162 Federico Barbarossa s’impossessava, che l’Imperatore scoprì il reliquiario, nascosto in un monastero che si apprestava a far demolire. Stando alla leggenda, la magnifica teca emanava raggi di luce soprannaturale. L’Imperatore, avendo appreso che le reliquie erano quelle dei Magi, le offrì all’arcivescovo di Colonia, Rainald von Dassel.
Rapidissimamente, esse attrassero tante e tali folle che fu necessario avviare il cantiere della colossale cattedrale in cui a tutt’oggi sono custodite, e che fu ultimata nel 1880. Raccontata così, a dispetto di tutto il fascino che la circonda, la storia potrebbe prestarsi al sorriso e ispirare diffidenza, malgrado l’immensa venerazione di cui Melchiorre, Gaspare e Baldassarre sono oggetto.
Fu appunto questa la ragione che, nel bel mezzo del XIX secolo, epoca di scientismo particolarmente ostile alla Chiesa, l’arcivescovo di Colonia dispose che si procedesse a rigorose verifiche. Se – contrariamente a quanto si affermava nel XII secolo – non si scoprirono nella cassa tre corpi maschili quasi intatti, dalla pelle appena screpolata e con tanto di barbe, i medici incaricati della verifica constatarono la presenza di tre scheletri umani, di sesso maschile, praticamente interi. Anche con le tecniche dell’epoca, si potè verificare che i tre uomini non erano della medesima età. In quel 1863, gli esperti lasciarono da parte le sontuose stoffe che avvolgevano le reliquie e che non avevano attratto la loro attenzione.
Seta cinese
Non accadde lo stesso quando, nel 1981, l’arcivescovo di Colonia decise che si procedesse a nuovi esami. Il prezioso tessuto fu affidato per l’analisi al professor Daniel De Jonghe, del museo reale di arte e di storia di Bruxelles. All’esperto si rimisero anche i lembi degli abiti trovati sui corpi. Contro ogni attesa, i risultati conferirono alla tesi dell’autenticità delle reliquie un’insperata cauzione. Il lenzuolo che avvolgeva i corpi era una seta di Cina, indubbiamente importata, come si faceva nell’Antichità, quando l’Impero di Mezzo custodiva gelosissimamente il segreto di produzione di una delle sue merci più pregiate, specialmente nel suo bianco naturale. Arrivata in Persia, la stoffa era stata tinta di porpora, il colore del potere e della regalità, e orlata d’oro, a conferirle un valore inestimabile. La porpora utilizzata era stata fabbricata certamente in Fenicia, l’attuale Libano, nella regione di Tiro, con una varietà speciale di Murex, una conchiglia che permetteva di riversare sulle vesti di gran lusso tutta la gamma di colori che va dal rosa di Tiro al violetto.
Dopo le ricerche, il professor De Jonghe scoprì un frammento di seta assai simile a quello di Colonia, proveniente da Palmira di Siria, oasi che commerciava con la Persia e con la Cina: lo si datava verso la fine del I secolo o agli inizi del II. Quanto ai lembi degli abiti, provenivano evidentemente da vesti di grande valore, quelli di personaggi importanti: due damascati, il terzo di taffetà, tutti fabbricati secondo i procedimenti in uso intorno al 100 della nostra era in Medio Oriente.
L’immenso valore dei corpi
Queste constatazioni obbliavano a riconsiderare l’anzianità e l’autenticità delle reliquie, scartando l’ipotesi di una fabbricazione medievale e della solita pia frode in cui si riscrivono le antiche tradizioni. Il valore delle stoffe testimoniava dell’immenso valore riconosciuto ai corpi che esse avvolgevano. Benché si pongano ancora delle questioni, è a questo punto plausibile (e anzi probabile) che la cattedrale renana detenga veramente i corpi dei tre Saggi che lasciarono tutto per seguire una misteriosa Stella.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]