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Epifania: che cosa rappresentano l’oro, l’incenso e la mirra?

ADORATION MAGI

© Julian Kumar - Godong

Lorenzo Monaco, Adorazione dei Magi, 1409 ca.

Thomas Renaud - pubblicato il 29/12/21

Il Vangelo evoca rapidissimamente la presenza dei Magi, che va intesa alla luce della Viva Tradizione della Chiesa.

Se nelle nostre società contemporanee l’oro non ha perduto il proprio fascino, la mirra e l’incenso sembrano molto esotici e non evocano se non assai da lontano la potenza simbolica di cui erano portatori all’epoca della nascita di Cristo. Evocati allusivamente dall’evangelista Matteo, che non ne sviluppa oltre il senso, questi tre doni offerti dai Magi a Cristo neonato hanno poco a poco assunto una grande importanza nella lettura della Tradizione. 

L’oro di Cristo-Re 

Benché sia anacronistico parlare di “Cristo Re” nell’interpretazione di quel testo biblico, è proprio alla regalità di Cristo, Re dei re, che rimandarono i Padri della Chiesa commentando il senso dell’oro: «Vedi l’oro: è un re!», scrive san Gregorio Magno in una omelia sull’Epifania, prima di proseguire: «Ecco l’incenso: è un Dio! Ecco la mirra: è un mortale!». Tutte le grandi tradizioni spirituali dell’Antichità rimandavano l’oro al divino. Inalterabile e ricco di luce, questo materiale era rapidamente stato riservato all’aristocrazia, al potere regale, alle funzioni religiose. Nella sua accezione latina, l’oro domanda etimologicamente alla luce e al sole, poiché aurum rimanda all’aurora. 

Nella tradizione biblica l’oro viene anche rigettato come segno di idolatria, ma l’autore dell’Apocalisse conferma la sua dignità in molti punti del testo, non ultimi i dettagli relativi alla persona di Cristo al suo ritorno. 

L’incenso riservato al divino 

Frequentemente utilizzato nei culti alle divinità, nelle civiltà assira ed egizia, l’incenso era uno dei beni più preziosi. Romani e Greci lo tenevano anch’essi in alta considerazione. L’incenso aveva insomma un valore equivalente all’oro, se non superiore. 

Attributo del divino, l’incenso dei Magi saluta nel neonato dell’umile prese, e al di là delle umili apparenze, un Dio. Presente anch’esso nella liturgia escatologica dell’Apocalisse, l’incenso offerto in adorazione nel turibolo s’è iscritto durevolmente nella tradizione liturgica della Chiesa. Salendo verso il cielo, le volute sacre diventano immagine delle preghiere dei fedeli: «Come profumo d’incenso / salga a te la mia preghiera» – dice il salmista (Sal 140,2). 

La mirra del Dio fatto uomo 

Proprio come l’incenso, la mirra era ricercata nelle civiltà antiche per il suo profumo. Gli ebrei se ne servivano per produrre l’olio della consacrazione dei sacerdoti. Un uso meno conosciuto ci è ricordato da Martine De Sauto: 

Mescolata a del vino, la mirra ne aumentava le virtù euforizzanti e, secondo un costume giudaico, questa bevanda era talvolta proposta ai suppliziati per attenuare le loro sofferenze, e così avvenne anche per il caso di Gesù (Mc 15,23). 

Utilizzata per apparecchiare i cadaveri alla sepoltura, essa era servita a preparare anche le spoglie mortali di Cristo, come ci riporta il Vangelo secondo san Giovanni: 

Nicodemo – quello che da principio era venuto a trovare Cristo di notte – venne anch’egli; portò una mistura di mirra e aloe di circa cento libbre. Presero dunque il corpo di Gesù, lo avvolsero in lini e lo unsero con aromi secondo il costume ebraico per la sepoltura dei morti. 

Gv 19,39-40

Due usanze che ricordano l’umanità del redentore fin dal principio della sua esistenza terrena. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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