La vocazione toglie, snellisce
La vocazione è un sussurro, anche se a noi piacerebbe molto se fosse un messaggio a voce alta, scandito chiaramente e con qualche cartello pieno di frecce luminose. Tanto per avere la conferma di essere nel posto giusto e fare la cosa giusta.
E invece è un sussurro, qualcosa che l'orecchio e il cuore odono pianissimo. Dio è nelle brezza leggera e non nel terremoto, dice la Bibbia. Perché? Perché è un incoraggiamento e non un'imposizione. Mi sono fermata a pensarci leggendo il libro di Lisa Zuccarini, Doc a chi? (Berica editrice). Nel caso di Lisa il sussurro l'ha incoraggiata a una scelta che di questi tempi è ardimentosa, proprio perché un certo pensiero femminista la etichetterebbe retrograda. La vocazione di Lisa procede nel migliore dei modi, cioè per sottrazione.
Anche questo è incoraggiante. Quando siamo chiamati a dire davvero sì a quello che è il nostro cammino, non si devono per forza aggiungere etichette, possono anche essere tolte. E' un'opera di pulizia. La vocazione snellisce le nostre attese ridondanti, ci strucca per mostrare nuda la nostra sostanza.
A un passo dalla laurea Lisa si arrende. Non a una moda, non a un'imposizione. Si arrende al bisogno. Appende al chiodo il camice da dottoressa e si sente chiamata a spendere la sua attesa di felicità piena come moglie e madre. Diciamocelo, la vera libertà delle donne (e di tutti) non va solo nella direzione pre-impostata dalle griglie del successo stabilite dai guru moderni. La libertà è proprio libera, anche di togliere titoli dal curriculum per guadagnarci in pienezza di esperienza.
Chi sono?
È davvero tutto qui. Vale anche per ciascuno di noi: il nostro nome è un punto di arrivo. Leggendo i racconti familiari di Lisa sarete travolti da un'ondata di ironia senza freni e mirabolante. Ci ritroverete in controluce tante quotidiane disavventure di ogni mamma-matta-e-disperatissima-come-si-deve. Eppure io la ringrazio soprattutto per aver a un certo punto interrotto il ritmo narrativo con la secca affermazione appena citata.
Se resta solo il mio nome, è ok? Non solo è ok, bisogna proprio che sia così. Non è male pensare che le nostre giornate piene di impegni, pensieri, imprevisti e incognite siano una spesa al contrario, quasi un carrello che anziché riempirsi si svuota per arrivare alla cassa (leggi: morte, ingresso nell'eternità) con la sola nostra presenza. Resta Lisa. Vuol dire non tanto "c'è solo Lisa", ma "tutto quel che si salva dalle tempeste e dal nulla è Lisa".
Via le rigidità, i piedistalli, le pianificazioni. Resta un presente sentito come dono irrinunciabile.
Una vera dottoressa è paziente
Ho notato che un frutto del lockdown è stato il proliferare di libri autobiografici. Voci che desiderano mettere per iscritto la propria storia, raccontarsi agli altri. Intuisco che sia una necessità nata dal bisogno di fare il punto della situazione in questo tempo burrascoso. L'esame di coscienza è sempre un ottimo esercizio. Abbiamo un bisogno smodato di raccontarci. Ma possiamo anche alzare l'asticella. Me ne sono accorta rileggendo un passo molto bello del libro di Lisa Zuccarini, che potrà anche avere appeso il camice al chiodo ma resta dottoressa.
E' molto bello immedesimarsi nella quotidianità di questa mamma imperfetta e indaffarata, ancora di più quando la sua voce si ferma a osservare certe presenze che irrompono nelle sue giornate. Il dottore è un ottimo osservatore, ascoltatore, anche detective. Capita dunque che un giorno Lisa sia al parco con suo figlio. E lì in veste di mamma, ma le scappa di essere dottoressa. L'occhio con cui guarda la ragazza seduta nell'altalena accanto al figlio è meglio di una radiografia all'anima:
L'ho detto anche a Lisa personalmente, mi piacerebbe che - se continuerà a scrivere - questo suo sguardo paziente sugli altri, da vera dottoressa, non si perdesse per strada. Aspetto e non dico niente è l'inizio di una vera autobiografia, che osa girare la telecamera da sé al mondo. Aspettare è un verbo da veri protagonisti!
Vuota cioé ospitale
Avrei dovuto essere più leggera e scanzonata per rendere giustizia a questo libro che mette di buonumore, ci consola e osa lodare il bello di ogni putiferio domestico quotidiano. La leggerezza però, inevitabilmente, porta in alto, cioè ci fa fare i conti con ciò che è celeste, eterno.
Ringrazio Lisa di aver fatto una mossa azzardata (e oso dire vincente) nella conclusione del libro. Il finale dovrebbe essere col botto, e se scrivi della gioia incasinata di essere mamma dovresti usare tutti i fuochi d'artificio che hai a disposizione nelle ultime pagine. E invece no, il vero azzardo è proprio l'opposto. Lisa osa raccontare il momento più buio e dolente della sua maternità: la fatica a concepire, poi una gravidanza che si interrompe troppo presto. Capitò anche me (e a quante mamme capita!) di sentirmi dire che non c'era più battito nella mia pancia in un reparto che traboccava di neonati e partorienti.
Non ho mai capito bene cosa significhi essere aperti alla vita come quando vissi la stessa cosa appena raccontata. Siamo madri perché abbiamo un corpo che ospita la vita, potremmo osare dire che il grembo vuoto è la vera maternità. Parla di un'ospitalità che esiste a prescindere da tutto. Parla di un sì in attesa.
Per alcune l'attesa diventa l'esperienza travolgente di cambiare pannolini e poi sgridare adolescenti e vedere all'altare giovani donne. Ma la madre c'è già intera lì nel grembo vuoto che Lisa coraggiosamente lascia come finale, cioè come massimo di ospitalità.