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Cristiani in Siria: “Aiutateci! Qui non c’è futuro” (VIDEO)

RAQA CROSS

Delil Souleiman - AFP

A member of the Syrian Arab-Kurdish forces places a cross in the rubble ahead of a Christmas celebration at the heavily-damaged Armenian Catholic Church of the Martyrs in the city centre of the eastern Syrian city of Raqa on December 26, 2017 following a mine clarence operation at the site a few days earlier. A US-backed offensive ousted the Islamic State group from Raqa in October but the city has been left ravaged by fighting, and only a small percentage of its pre-war population has returned as the year draws to a close. / AFP PHOTO / Delil souleiman

Vatican News - pubblicato il 21/12/21

Monsignor Nidal Abdel Massih Thomas, vicario patriarcale caldeo di Al Giazira, lavora nel nord est della Siria, in una regione posta sotto il controllo dei curdi. Nell’intervista a Vatican News, racconta la drammatica situazione dei cristiani nella zona e la loro inarrestabile fuga in cerca di un futuro migliore

La regione di Al Giazira è nel nord della Siria, a est dell’Eufrate, al confine con la Turchia, ed è in gran parte controllata dalle forze curde. Dai villaggi cristiani sono andati via quasi tutti i fedeli, assiri per la stragrande maggioranza. Nei 38 villaggi abitati da popolazioni cristiane si trovano numerose chiese, ma a causa delle migrazioni, solamente due sono ancora attive. E su 21mila ortodossi assiri presenti in zona prima della guerra, ne sono rimasti oggi solo 800.

Le origini dell’esodo  

A spiegare questa fuga massiccia, un episodio avvenuto 4 anni fa quando 150 cristiani furono rapiti dagli islamisti dell’Isis. Tra loro, anche una famiglia caldea di 5 persone. I terroristi chiesero un riscatto dopo 15 giorni, ma poiché non arrivava nessun pagamento, diffusero un video dell’esecuzione di tre ostaggi. Lo stesso video mostrava, dietro i tre condannati a morte, altri tre ostaggi, tra cui un membro della famiglia caldea, come possibili vittime successive. All’ostaggio caldeo venne chiesto di leggere un messaggio rivolto ai leader delle Chiese cristiane per chidere loro di pagare il riscatto. Il pagamento avvenne, in cambio del rilascio di 146 dei 147 sopravvissuti. Purtroppo un esponente dell’Isis trattenne una donna che si era scelta come moglie e con la quale ebbe poi due figli Alla caduta del califfato, fu lasciata alla donna la possibilità di andarsene, ciò che non lei non riuscì a fare per paura di essere uccisa dalla sua famiglia di origine, anche se era stata trattenuta con la forza dal terrorista.

Il “business” dei rapimenti 

In seguito, l’80 per cento degli assiri fuggì in Libano. Ma quel rapimento non è stato l’unico episodio. “Era un business”, afferma infatti monsignor Nidal Thomas: “Catturavano i cristiani ad Hassake e incassavano i soldi del riscatto”. All’epoca, spiega il sacerdote, nessuna delle parti coinvolte e presenti nella regione poteva proteggere i cristiani, tanto che molti se ne sono andati e continuano a partire ancora oggi. 

7 cristiani su 10 emigrano 

Sono numerose le parti in causa presenti sul territorio: la Turchia occupa una striscia di terra in Siria dietro il confine; Hezbollah; alcuni soldati francesi; gli iraniani; l’esercito siriano con i suoi alleati russi; e i curdi, sostenuti dalle forze statunitensi presenti nella zona. Sono loro, i curdi, ad avere il controllo dell’estrazione petrolifera dell’area. Geograficamente, la regione confina anche con l’Iraq. Sempre in questa regione, monsignor Thomas riferisce che alcuni gruppi cristiani si sono alleati con i curdi, altri con l’esercito siriano. Il che rende complicata la permanenza dei cristiani nella zona, in quanto possono essere sempre sospettati di essere nemici da una delle parti, e presi di mira. Di conseguenza, se la situazione dei cristiani è difficile in tutta la Siria, lo è ancor di più nella regione di Al Giazira (l’isola, in arabo). Per questo, sette su dieci hanno scelto di partire, soprattutto assiri. 

Appello agli aiuti internazionali 

A questo si aggiunge il reclutamento militare organizzato dai curdi, spiega il presule, perché hanno necessità di nuove leve, specialmente giovani. Per chi è rimasto, per scelta o per forza, in questa regione dove la guerra non è finita, si aggiunge un’ulteriore complicazione: l’enorme difficoltà a riceve il denaro spedito dai familiari residenti all’estero. Si tratta di denaro indispensabile, considerata la mancanza di lavoro, la crisi economica e l’inflazione. Monsignor Thomas implora dunque il sostegno di tutte le persone di buona volontà: “Tutti devono conoscere le condizioni in cui viviamo – dice – Qui tutti non vedono l’ora di andarsene. Pregano i parenti rifugiati all’estero di aiutarli a fuggire, perché qui incontrano difficoltà ovunque, e non hanno alcun futuro” conclude il vicario patriarcale caldeo per il nord est della Siria.

L’originale su Vatican News

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