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Riflessioni su un “manifesto” per la consulenza filosofica

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Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" | 20/12/21
Un Master alla Regina Apostolorum di Roma per formare professionisti, offrendo una metodologia e strumenti adeguati per affiancare coloro che sentono la necessità di una ricerca di senso

di Guido Traversa, Ph.D. *

Consulenza filosofica, filosofia pratica, ontologia applicata: in molteplici modi si può definire la filosofia come forma particolare di comprensione di quelle condizioni individuali, di gruppo o collettive che, vissute con disagio più o meno grande, o come qualcosa di cui sfugge il profilo preciso, generano dubbio, vista la loro mancanza di coerenza, e fanno sorgere, perciò, in chi le vive, un bisogno, inappagato, di compiutezza.

Ma, al di là delle formule, la filosofia – nelle sue tante e diverse forme storiche: le filosofie – è, nella sua essenza, un modo particolare di sapere e di capire. Essa, infatti, cerca di mantenere legate fra loro, senza confonderle, le diverse dimensioni cui ci si rifà per comprendere un qualcosa:

  • la sua causa,
  • i suoi effetti,
  • le sue finalità,
  • le leggi che lo regolano,
  • le possibili emozioni o sentimenti che lo accompagnano,
  • le sue conseguenze etiche,
  • la sua eventuale bellezza,
  • i mutamenti, voluti o non voluti, che lo riguardano,
  • le paure, i desideri che, realmente o simbolicamente, vi si connettono,
  • la sua rilevanza per la dimensione pubblica (sociale, economica, lavorativa e così via),
  • i tanti aspetti, dimensioni, propensioni, che lo costituiscono e che, certe volte, gli appartengono realmente, mentre, altre volte, siamo noi che, in modo illusorio, gliele attribuiamo, alimentando così il disagio, il dubbio e, comunque, un regime di falsa certezza che, alla lunga, non tiene.

In sostanza, pur senza accordare alla filosofia una preminenza sulle altre forme del sapere, non si può non riconoscere che, quando essa comprende un qualcosa, tiene insieme dimensioni che le altre scienze tengono, di solito, nettamente separate.

Proprio per queste sue caratteristiche, possiamo dire, fin d’ora, che la consulenza filosofica dovrebbe essere diretta e intenzionata non solo, e soprattutto, al disagio individuale e/o collettivo, quanto piuttosto a fornire tutti quegli strumenti concettuali che consentono di mantenersi nelle condizioni “buone” e “favorevoli”.

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E ciò tanto a livello individuale, quanto a livello dei rapporti sociali, politici e di lavoro. Ad esempio, ottima cosa sarebbe ricorrere alla consulenza filosofica per mantenere entro una soglia positiva, “nel bene”, il proprio rapporto sentimentale, la propria dimensione lavorativa e sociale, per meglio capire i vari aspetti del proprio vissuto emotivo, della propria professione, le sfumature quotidiane della propria vita spirituale.

Non si tratta, però, di “medicina preventiva”: la filosofia non è medicina, ma è scienza che permette di conoscere e di apprezzare tutte quelle risorse individuali e collettive che sono a nostra disposizione per produrre un’attenzione “vivificante” nei confronti delle situazioni “buone” in cui ci si trova, per merito o per caso.

La filosofia come comprensione di una qualsiasi condizione di esperienza è, ad un tempo, comprensione delle sue articolazioni interne. E ciò vuol dire che essa può favorire, quanto meno, una “buona presa di posizione” all’interno di una situazione “negativa”, o anche indicare le vie per permanere in una situazione “positiva”, senza lasciarla consumare ed esaurirsi nel tempo. Nella vita, non di rado, il male sopraggiunge velocemente, mentre il bene si allontana lentamente, proprio perché gli si presta scarsa attenzione. La filosofia, così, è un’arte per ben discernere le condizioni dell’esperienza, per poterle, se possibile, modificare o anche rifiutare, se appaiono “negative”, o, al contrario, accettare e consolidare, se appaiono “positive”. La prassi della filosofia è un habitus che consiste nel capire bene un qualcosa per agire meglio rispetto ad esso e dove il primato spetta, appunto, al secondo di questi due momenti: quando certe esperienze personali o intersoggettive ci diventano familiari, quando ci si educa lentamente ad un habitus di adeguatezza a sé e agli altri, ecco che allora l’agire precede, addirittura, lo stesso capire. È come se, ancor prima di ogni indagine conoscitiva, ci si imponga la necessità di una condotta: di quel che ci avvicina a ciò cui, per natura, tendiamo e che ci allontana da ciò da cui, sempre per natura, rifuggiamo. Secondo me, tutto questo è ciò che da sempre è stato inteso con il termine “saggezza”: la capacità, sana e coraggiosa, nonché esemplare quanto serve, di mettere in atto l’azione giusta al momento giusto, di attingere l’”apice” dell’azione nel momento e nei modi che sono essenziali ad essa. Questa “cura di sé” e, ad un tempo, delle relazioni sostanziali che intratteniamo con gli altri, la si apprende neltempo, nel corso dell’esperienza della nostra esistenza.

Ma, da dove viene alla filosofia questa capacità? Certamente, da uno specifico atteggiamento logico, ontologico, etico, nonché estetico, il quale, dà vita all’unità sistematica di una forma organica di pensiero: un pensiero capace di concepire e di praticare il concetto di identità non in modo univoco, ma come un qualcosa che è, in sé, strutturalmente distinto.

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La filosofia all’altezza di tutto ciò deve praticare in modo rigoroso l’analogia e, in particolare, la dimensione ontologica di essa: l’analogia entis; esercitare, in modo non univoco, l’esperienza dell’empatia; sorreggere tutto il peso della memoria (personale e storica); sviluppare le sue riflessioni attraverso forme argomentative adeguate all’indice problematico del pensiero speculativo stesso, farsi prassi della responsabilità, non intesa solo nel senso del rapporto di reciprocità; esibire e testimoniare tutta la “difficoltà” della libertà, “difficoltà” agita e patita nel quotidiano rapporto con l’altro; affrontare la dolorosa, anche se in certi casi inevitabile, interruzione della comunicazione con l’altro; mostrare quanto decisiva sia l’azione per l’essere stesso del singolo, dal momento che l’agire discende dall’essere (agere sequitur esse); penetrare nel nucleo più intimo della volontà umana: nel suo libero voler-essere, commisurato alla natura di ciò cui essa tende. E nel caso in cui l’orientamento di questo tendere sia spirituale e, ancor più precisamente, religioso, farsi capace di non tralasciare nessun particolare, per quanto piccolo, di quella modalità del rapporto con l’altro che è il rapporto con Dio.

Questo, io credo, è il centro di gravità metafisico del capire e dell’agire della Filosofia.

Questo e molto di più nel Master di primo livello in Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e Università Europea di Roma (Master in Consulenza Filosofica e Antropologia Esistenziale – UPRA, UPRA).

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* Guido Traversa, Ph.D., è docente invitato presso la Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

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