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Giuseppe, il vero padre è più un servo che un eroe

JOSEPH, NATIVITY

Catherine Leblanc | Godong

Annalisa Teggi - pubblicato il 07/12/21

Si conclude domani l'anno speciale dedicato a San Giuseppe, ma lui ci resta accanto. Su 'Donne chiesa mondo' un affondo di Johnny Dotti su questo padre che sogna, sta nascosto e non dice una parola: è completamente libero e a servizio del mistero del Figlio.

Giuseppe, così nascosto così presente

Si conclude domani l’anno speciale dedicato a San Giuseppe. Con la lettera apostolica Patris Corde Papa Francesco ci propose nel dicembre 2020 di stare al passo di questo falegname silenzioso dentro le sfide della quotidianità. Rilette oggi quelle parole suonano ancora più a fuoco su quanto accade attorno a noi:

«Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. […]». Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza.

Da Patris Corde

Come rami innestati su un tronco robusto, tante voci hanno risposto a questa proposta del Papa. Ciascuno nel suo contesto, abbiamo prestato attenzione al profilo in penombra del falegname, del marito di Maria, del padre terreno di Gesù.

Da dopodomani non cambia nulla, in effetti. Concluso l’anno speciale, Giuseppe ritorna al posto che preferisce – ci resta accanto nella marcia quotidiana, nascosto. Quest’uomo che fece tutto il necessario e poi sparì quando la storia più interessante cominciava (Giuseppe non è più presente quando Gesù inizia la sua missione pubblica) ci è padre perché sposta il discorso dalla visibilità alla presenza.

Giuseppe, un uomo che si addormenta nei momenti difficili

Il numero di dicembre di donne chiesa mondo, inserto femminile dell’Osservatore romano, è interamente dedicato al tema dei padri, con un evidente punto di appoggio sulla roccia che è Giuseppe. Il contributo scritto da Johnny Dotti, A scuola da San Giuseppe, mi ha colpita, l’ho letto e poi riletto a voce alta. Continuo a farlo, scoprendone spunti che gemmano da ogni parola. Strano, sono scarne le informazioni che abbiamo su Giuseppe, e lui sta sempre in silenzio. Ma è come se questo sposarsi dal centro e sparire sia il metodo giusto – e a noi ormai ignoto – per ridestare dal letargo la nostra coscienza.

Johnny Dotti è un pedagogista e imprenditore sociale, la sua voce è quella di chi guarda le presenze alla luce del loro legame fecondo con il benessere della comunità. La prima cosa che mette in luce su Giuseppe è il suo addormentarsi di fronte ai traumi. Paradossale e illuminante.

I passaggi fondamentali della vicenda esistenziale e spirituale di Giuseppe sono trauma, sogno, azione.
Noi oggi siamo tuttora immersi nel trauma.
Il punto è che, dopo il trauma, nella vita di Giuseppe segue il sogno e, dopo il sogno, un’azione trasformativa. È la dinamica attraverso cui egli diventa padre. […]

Nel trauma Giuseppe si addormenta, cioè si abbandona, e sogna.
Nel sogno incontra l’angelo del Signore che non gli risolve il problema, non gli cambia la realtà, semplicemente gli chiede di guardare le cose da un altro punto di vista.

SAINT JOSEPH

Colpita e affondata. L’insonnia è la mia prima reazione di fronte a traumi piccoli e grandi. Lo capisco meglio dopo aver letto questo passaggio, vuol dire che pretendo di rimanere al comando di ogni briciola di tempo in cui la paura, il dubbio, il rammarico assalgono. Sono come un cane da guardia che non molla l’osso delle sue fobie e inadeguatezze. Addormentarsi nel momento del trauma è lo schiaffo di Giuseppe al nostro delirio ansiogeno. Dormire è un atto di abbandono che quasi ci repelle quando sono in ballo cose grosse.

Perché la presunzione a cui ci aggrappiamo con le unghie e coi denti è quella di cambiare le cose, di essere capaci di modificare la realtà. Stai sveglio e trova una soluzione. Invece no. Dormi – lasciati andare tra le braccia di Dio – e lascia che Lui cambi il tuo sguardo su quello che c’è.

Un padre è chi sa dire “tu”

Tanti discorsi lanciati sulla piazza mediatica dalla carovana del femminismo insistono nel dire che la visione patriarcale va superata. Intendono qualcosa di vero che però degenera facilmente in una caccia alle streghe che mira a destituire i padri. L’autoritarismo violento è una macchia non il colore prevalente del qui e ora. Oggi semmai il padre vive in una nicchia in penombra, è una voce fin troppo flebile – e lo é anche per colpa di certi urli femminili.

Il ritratto del padre oggi è come un mosaico scomposto. E le sue tessere somigliano a placche tettoniche pronte a collidere, in mancanza di un disegno intero di riferimento. Ecco, Giuseppe ci viene in soccorso. Né autoritario né indifferente. La sua robustezza mite ha una pietra angolare: il superamento dell’egoismo come punto di forza.

Il padre non è altro che l’evoluzione della libertà della persona, che si mette a disposizione nell’essere il “tu” dell’altro .
Di questo Giuseppe è un segno limpidissimo. Il fatto che non parli mai nel Vangelo è il segno evidente del superamento del proprio “io”.
Non della potenza del proprio io, ma del superamento del proprio io, attraverso l’essere il “tu” di Maria e il “tu” di Gesù.
Come comincia per Giuseppe il suo diventare Padre? Prendendo “con sé”, non “per sé” la donna che amava.

ICONA DELLA SACRA FAMIGLIA

Ecco un altro passo coraggioso fuori dall’autostrada trafficatissima del nostro prendere ogni cosa e persona “per sé”, cioè a nostro uso e consumo. L’autorevolezza del padre è mettersi a servizio del tu di chi ha accanto. Si diventa uomini e donne adulti quando l’orizzonte smette di essere la prima persona singolare e ci si scopre vivi e lieti e interi nell’essere con te. Rispetto alla fecondità di questo spazio di rapporti davvero liberi perché legati, la smania di stare soli al centro dell’inquadratura è uno specchietto per le allodole.

Giuseppe, più servo che eroe

Dunque Giuseppe si addormenta, poi sta in disparte, poi non dice una parola. Le azzecca tutte per essere un anti-eroe. E la annusiamo questa smania di eroi da tutte le parti. Qualunque cosa succeda, si deve trovare la figura che in qualche modo ne esca trionfante. Se una trama ha uno spunto positivo, ci deve essere un eroe. Davvero?

Giuseppe osa proporci che nelle grandi storie c’è bisogni di servi, gente che serve in tutti e due i sensi (si mette a servizio, porta un frutto di bene). Abbiamo paura di pronunciare parole che si avvicinino all’area semantica del perdente e del fallito, forse perché qualcosa di molto brutto cova nel nostro timore di non essere all’altezza della situazione.

Giuseppe è il fragile, che non teme però la propria fragilità. Del resto “non temere”, gli aveva detto l’angelo, come lo aveva detto a Maria. Che cosa temiamo noi? La sproporzione tra la nostra fragilità e le sfide della vita. […]
Noi siamo come dominati, nel sistema digitale e binario, dalla dinamica domanda-risposta. La via di Giuseppe è un’altra: custodire la domanda, attraverso il silenzio, l’ascolto, la preghiera.

L’ultima cosa irrinunciabile per un padre è che non può rinunciare a benedire la propria fragilità.
Niente come la verità del figlio – ma non immaginiamo solo i figli biologici – mette a nudo la fragilità del padre. Il padre ha poco a che fare con l’eroe, ha più che fare con il servo, con il giocare con serenità la sua esperienza e la sua testimonianza con il figlio […].

Padri fragili è l’opposto di padri deboli. Al padre spetta il coraggio di custodire il mistero che è la vita di ogni figlio con la virtù più vigorosa possibile, l’umiltà. Giuseppe sapeva di non essere Dio, e anzi si può dire che ogni suo gesto non sia stato altro che un freccia puntata altrove da sé, verso l’unico Padre.

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