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Consacrazione alla Madonna: è sbagliato dire “figlio” anziché “cosa”?

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Immaculate | Shutterstock

José Miguel Carrera - pubblicato il 07/12/21

“Custodiscimi e difendimi come cosa e proprietà tua” o “come figlio e proprietà tua”?

La consacrazione alla Madonna è un’antica devozione che risale ai primi secoli della Chiesa e nel corso dei secoli ha acquisito varie formule.

Sant’Agostino, San Bernardo di Chiaravalle, San Domenico di Guzmán e Sant’Alfonso Maria de’ Liguori sono tra i grandi autori cattolici di testi devozionali e dottrinali sulla Santissima Vergine Maria. San Luigi Maria Grignion de Montfort ha composto un metodo specifico di consacrazione personale a lei.

Uno dei testi più noti e pregati di consacrazione alla Madonna è questo, che a volte si ritrova con piccole variazioni:

“O mia Signora! O Madre mia! Io mi offro tutto a Te, e come prova della mia devozione nei tuoi confronti Ti consacro in questo giorno e per sempre i miei occhi, le mie orecchie, la mia bocca, il mio cuore e tutto il mio essere. E visto che sono tuo, o Madre incomparabile, custodiscimi e difendimi come cosa e proprietà tua; ricordati che ti appartengo, tenera Madre, Signora nostra”.

Una delle variazioni che generano più discussioni è la frase “custodiscimi e difendimi come cosa e proprietà tua”, che molti preferiscono sostituire con le parole “come figlio e proprietà tua”. Il motivo sarebbe l’interpretazione per cui “cosa” ha una connotazione dispregiativa, mentre “figlio” conferirebbe più dignità e riconoscimento del fatto che alla fine è quello che siamo.

Nella “Consacrazione di Schiavitù a Gesù e Maria”, secondo la dottrina di San Luigi Maria, non ci sarebbe questa connotazione dispregiativa nell’uso del termine “cosa”. Questa parola rimanda piuttosto al fatto che le persone sono solite conservare con affetto oggetti che ricordano persone o esperienze preziose. La preghiera chiede quindi che Maria ci custodisca come oggetti preziosi, tracciando un parallelismo con l’affermazione biblica per cui Gesù ha pagato un alto prezzo per riscattarci: “Poiché siete stati comprati a caro prezzo” (1 Cor 6, 20a).

La versione di questa consacrazione in latino, di fatto, usa il termine “cosa”, nella frase “ut rem acpossessionem tuam” (letteralmente, “come cosa e proprietà tua”).

Ma sarà sbagliato dire invece “come figlio e proprietà tua”?

Si è espresso al riguardo sulla sua rete socialepadre Allan Victor Almeida Marandola, che ha scritto:

“Noi adoriamo inventare precetti. Circa la Consacrazione alla Madonna, si insiste nel dire che ‘il giusto’ è dire ‘cosa’, non ‘figlio’. Si deve considerare che si tratta di una devozione privata. Non esiste ‘giusto’ o ‘sbagliato’. Come qualsiasi devozione privata, il fedele o la comunità può adattarla nel modo che favorisce maggiormente la sua spiritualità. Se alla persona aiuta pregare dicendo ‘figlio’ non c’è niente di male, anche perché si conserva il termine ‘proprietà’. Ciò che si può sostenere, e a ragione, è che non solo la preghiera originale dice ‘cosa’, ma è anche costume dire ‘cosa’. Ci sono sempre benefici nel recitare fedelmente una preghiera consacrata dal tempo e dall’uso, ma non sbaglia chi dice ‘figlio’, usando la preghiera originale solo come ispirazione. È diverso da una preghiera liturgica che contiene espressioni da osservare pedissequamente”.

Riassumendo, non si tratta di una formula liturgica e men che meno sacramentale che ha bisogno di essere rispettata nella sua versione ufficialmente definita dalla Chiesa, ma di una preghiera privata, che può essere quindi leggermente adattata sempre che non si contraddica la retta dottrina cattolica. La formula originale di questa consacrazione usa certamente il termine “cosa” anziché “figlio”, ma non ci sono grandi problemi nel caso in cui qualcuno preferisca il termine “figlio”.

E viva la Madonna, la Santissima Vergine Maria, madre di Gesù e madre nostra, di noi che siamo figli e cose preziose!

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