Dopo la visita ai rifugiati sull’isola di Lesbo, il secondo giorno di Francesco in Grecia prosegue ad Atene. Nella Santa Messa nella “Megaron Concert Hall, considerata patrimonio culturale nazionale, si intrecciano suoni fonetici contemporanei con vocaboli antichi che, lungo secoli di storia, hanno accompagnato l’annuncio del Vangelo in Grecia, in Europa e oltre il bacino del Mediterraneo. Nella celebrazione eucaristica in latino e nella preghiera dei fedeli in greco, in armeno e in inglese si riflettono culture protese tra Oriente e Occidente. Ad Atene e dalla Grecia, da dove il cristianesimo si è diffuso in tutto il Continente europeo, Papa Francesco incentra la propria omelia sulle due parole chiave del Vangelo di questa seconda domenica di Avvento: il deserto e la conversione.
Deserto
Nella “Megaron Concert Hall”, dove sono 2000 i fedeli che complessivamente, nella sala principale e in due attigue, partecipano alla celebrazione eucaristica, risuonano le parole del Papa. Il Pontefice ricorda che, prima di riferirsi al deserto, l’evangelista Luca cita grandi personaggi del tempo, tra cui l’imperatore Tiberio Cesare, il governatore Ponzio Pilato, il re Erode e altri “leader politici” di allora. La Parola di Dio non è rivolta loro, come ci si aspetterebbe, “ma a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”. “Dalle righe del Vangelo - afferma Francesco - emerge una sottile ironia: dai piani alti dove dimorano i detentori del potere si passa improvvisamente al deserto, a un uomo sconosciuto e solitario”.
Dio sorprende, le sue scelte sorprendono: non rientrano nelle previsioni umane, non seguono la potenza e la grandezza che l’uomo abitualmente gli associa. Il Signore predilige la piccolezza e l’umiltà. La redenzione non inizia a Gerusalemme, ad Atene o a Roma, ma nel deserto. Questa strategia paradossale ci dona un messaggio molto bello: avere autorità, essere colti e famosi non è una garanzia per piacere a Dio; anzi, potrebbe indurre a insuperbirsi e a respingerlo. Serve invece essere poveri dentro, come povero è il deserto.
Dio ci visita nelle situazioni difficili
Restando sul “paradosso del deserto”, il Papa sottolinea che Giovanni, Precursore di Gesù, non predica “in posti belli, dove c’è tanta gente, dove c’è visibilità”. Predica invece nel deserto, nel luogo dell’aridità: “in quello spazio vuoto che si stende a perdita d’occhio e dove quasi non c’è vita - afferma il Pontefice - si rivela la gloria del Signore, che cambia il deserto in un lago, la terra arida in sorgenti d’acqua”.
Ecco un altro messaggio rincuorante: Dio, adesso come allora, volge lo sguardo dove dominano tristezza e solitudine. Possiamo sperimentarlo nella vita: Egli spesso non riesce a raggiungerci mentre siamo tra gli applausi e pensiamo solo a noi stessi; ci riesce soprattutto nelle ore della prova. Ci visita nelle situazioni difficili, nei nostri vuoti che gli lasciano spazio, nei nostri deserti esistenziali.
Non temete le aridità
Lo sguardo di Dio accarezza l’uomo e i popoli nei momenti della prova, quando si ha “l’impressione di trovarsi in un deserto”. “Ed ecco che proprio lì - spiega il Papa - si fa presente il Signore, il quale spesso non viene accolto da chi si sente riuscito, ma da chi sente di non farcela”. “E viene con parole di vicinanza, compassione e tenerezza”.
Il Signore viene a liberarci e a ridarci vita proprio nelle situazioni che sembrano irredimibili, senza vie d’uscita: lì viene. Non c’è dunque luogo che Dio non voglia visitare. E oggi non possiamo che provare gioia nel vederlo scegliere il deserto, per raggiungerci nella nostra piccolezza che ama e nella nostra aridità che vuole dissetare! Allora, carissimi, non temete la piccolezza, perché la questione non è essere piccoli e pochi, ma aprirsi a Dio e agli altri. E non temete nemmeno le aridità, perché non le teme Dio, che lì viene a visitarci!
Conversione
L’altra parola su cui si sofferma Papa Francesco nell’omelia è una tematica “scomoda”. Si tratta della conversione. “Come il deserto non è il primo luogo nel quale vorremmo andare”. “L’invito alla conversione non è certamente la prima proposta che vorremmo sentire”.
Parlare di conversione può suscitare tristezza; ci sembra difficile da conciliare con il Vangelo della gioia. Ma questo succede quando la conversione viene ridotta a uno sforzo morale, quasi fosse solo un frutto del nostro impegno. Il problema sta proprio qui, nel basare tutto sulle nostre forze. Questo non va! Qui si annidano pure la tristezza spirituale e la frustrazione: vorremmo convertirci, essere migliori, superare i nostri difetti, cambiare, ma sentiamo di non esserne pienamente in grado e, nonostante la buona volontà, ricadiamo sempre.
Pensare oltre
Il Papa traccia poi un parallelismo tra le nostre frustrazioni e quello che provava l’apostolo delle genti: “Proviamo la stessa esperienza di San Paolo che, proprio da queste terre, scriveva: ‘In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio’ (Rm 7,18-19)”. Francesco pone dunque una domanda che interpella gli uomini di ogni tempo e latitudine: “Se dunque, da soli, non abbiamo la capacità di fare il bene che vorremmo, che cosa significa che dobbiamo convertirci?”
Ci può venire in aiuto la vostra bella lingua, il greco, con l’etimologia del verbo evangelico “convertirsi”, metanoéin. È composto dalla preposizione metá, che qui significa oltre, e dal verbo noéin, che vuol dire pensare. Convertirsi è allora pensare oltre, cioè andare oltre il modo abituale di pensare, al di là dei nostri soliti schemi mentali. Penso proprio agli schemi che riducono tutto al nostro io, alla nostra pretesa di autosufficienza. O a quelli chiusi dalla rigidità e dalla paura che paralizzano, dalla tentazione del “si è sempre fatto così”, dall’idea che i deserti della vita siano luoghi di morte e non della presenza di Dio.
Dio è il nostro oltre
“Esortandoci alla conversione - osserva il Papa - Giovanni ci invita ad andare oltre e a non fermarci qui; ad andare al di là di quello che i nostri istinti ci dicono e i nostri pensieri fotografano, perché la realtà è più grande”. “É più grande - aggiunge a braccio - dei nostri istinti, dei nostri pensieri“.
La realtà è che Dio è più grande. Convertirsi, allora, significa non dare ascolto a ciò che affossa la speranza, a chi ripete che nella vita non cambierà mai nulla – i pessimisti di sempre. È rifiutare di credere che siamo destinati ad affondare nelle sabbie mobili della mediocrità. È non arrendersi ai fantasmi interiori, che si presentano soprattutto nei momenti di prova per scoraggiarci e dirci che non ce la faremo, che tutto va male e che diventare santi non fa per noi. Non è così, perché c’è Dio. Bisogna fidarsi di Lui, perché è Lui il nostro oltre, la nostra forza. Tutto cambia se si lascia a Lui il primo posto. Ecco la conversione: al Signore basta la nostra porta aperta per entrare e fare meraviglie, come gli sono bastati un deserto e le parole di Giovanni per venire nel mondo. Non chiede di più.
Chiediamo la grazia della speranza
Le ultime parole di Papa Francesco nell’omelia pronunciata nella Megaron Concert Hall sono “preghiere” da scrivere nel proprio cuore:
Chiediamo la grazia di credere che con Dio le cose cambiano, che Lui guarisce le nostre paure, risana le nostre ferite, trasforma i luoghi aridi in sorgenti d’acqua. Chiediamo la grazia della speranza. Perché è la speranza che rianima la fede e riaccende la carità. Perché è di speranza che i deserti del mondo sono assetati oggi. E mentre questo nostro incontro ci rinnova nella speranza e nella gioia di Gesù, e io gioisco stando con voi, chiediamo alla nostra Madre, la Tuttasanta, che ci aiuti a essere, come lei, testimoni di speranza, seminatori di gioia intorno a noi – la speranza, fratelli e sorelle, non delude, non delude mai –. Non solo quando siamo contenti e stiamo insieme, ma ogni giorno, nei deserti che abitiamo. Perché è lì che, con la grazia di Dio, la nostra vita è chiamata a convertirsi. Lì, nei tanti deserti nostri interni o dell’ambiente, lì la vita è chiamata a fiorire. Che il Signore ci dia la grazia e il coraggio di accogliere questa verità.
Il saluto di Francesco: “Domani lascerò la Grecia, ma non voi”
Al termine della Messa, Papa Francesco esprime la propria gratitudine per l’accoglienza ricevuta. Ed utilizza una semplice parola greca che si lega alla fonte della vita della Chiesa: “Grazie di cuore! Efcharistó! [Grazie!]”, afferma il Pontefice ricordando che dalla lingua ellenica “è venuta per tutta la Chiesa questa parola che riassume il dono di Cristo: Eucaristia”. “E così per noi cristiani il ringraziamento è inscritto nel cuore della fede e della vita. Che lo Spirito Santo possa fare di tutto il nostro essere e agire un’Eucaristia, un rendimento di grazie a Dio e un dono d’amore ai fratelli”. Infine Francesco aggiunge al proprio saluto queste parole: “Domani lascerò la Grecia, ma non lascerò voi! Vi porterò con me, nella memoria e nella preghiera. E anche voi, per favore, continuate a pregare per me”. La seconda giornata del Papa in Grecia si conclude stasera con la visita di cortesia di Sua Beatitudine Ieronymos II al Papa nella nunziatura apostolica. Il Pontefice e il primate della Chiesa ortodossa greca si sono già incontrati, nella giornata del 4 dicembre, nell’arcivescovado ortodosso.
Il "grazie" dell’arcivescovo di Atene
Alla fine della Messa l’arcivescovo di Atene, monsignor Theodoros Kontidis, ha ringraziato Papa Francesco: “La Sua presenza - ha detto - ci fa sentire e riconoscere che siamo uniti con la Chiesa universale come un corpo in Cristo, con i fedeli di ogni parte del mondo. Questo succede in ogni Messa, ma oggi lo viviamo in modo speciale, perché vediamo in Lei l’unità e l’universalità della Chiesa”. “La ringraziamo di cuore, Santità, perché è venuto presso di noi. La ringraziamo per la celebrazione della Santa Messa insieme. La ringraziamo per tutto quello che fa per la Chiesa nel mondo e per il Suo insegnamento che ci incoraggia a seguire la via di Gesù”.