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Nigeria: un sacerdote racconta il suo rapimento

NIGERIA;Father Bako Francis Awesuh

© Secretariat of Nigeria (CSN) Directorate of Social Communications

Aiuto alla Chiesa che Soffre - pubblicato il 02/12/21

Padre Bako Francis Awesuh, 37 anni, racconta il suo sequestro ad opera di pastori Fulani

In Nigeria, i rapimenti sono ormai un tratto caratteristico delle organizzazioni terroristiche, tra cui Boko Haram e lo Stato Islamico-Provincia dell’Africa Occidentale, e i religiosi sono sempre un obiettivo di questi crimini. Per più di un mese nella primavera 2021, padre Bako Francis Awesuh, 37 anni, parroco della chiesa di San Giovanni Paolo II a Gadanaji, nello Stato di Kaduna, è stato tenuto prigioniero dai pastori Fulani, accusati di attacchi mortali agli agricoltori cristiani nella Middle Belt nigeriana. Padre Awesuh ha descritto le sue peripezie in un’intervista rilasciata di recente all’associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).

“È successo tutto il 16 maggio, esattamente alle 23.00. Ho sentito dei colpi di arma da fuoco e ho spento rapidamente la televisione. Spegnendo la luce, ho visto delle ombre e sentito dei passi. Ho aperto con cautela la tenda per vedere cosa stesse succedendo. Ho visto cinque imponenti pastori Fulani armati. Li ho riconosciuti dagli abiti e dal modo in cui parlavano. Sono rimasto lì in piedi confuso, non sapendo cosa fare e sentendomi completamente perduto. Hanno bussato alla porta. Il mio corpo si è irrigidito. Sudavo a profusione”.

“Hanno continuato a bussare, ma spaventato non ho voluto aprire la porta. L’hanno buttata giù e hanno fatto irruzione. Uno degli uomini mi ha gettato a terra, mi ha legato e mi ha frustato senza pietà, dicendo ‘Ka ki ka bude mana kofa da tsori‘ (Vieni torturato perché ci hai fatti rimanere fuori tanto a lungo e ti sei rifiutato di aprire la porta quando abbiamo bussato). Mi hanno spogliato”.

“Sono stato rapito insieme a dieci dei miei parrocchiani. Abbiamo camminato per tre giorni nella foresta senza cibo né acqua, nutrendoci solo di mango. Avevamo fame, eravamo stanchi e deboli, le gambe ci facevano malissimo e i piedi erano feriti perché camminavamo scalzi. Il secondo e il terzo giorno pioveva, ma dovevamo continuare a muoverci”.

Il terzo giorno, prosegue il sacerdote, sono arrivati “in un campo nel folto della foresta”, in cui c’era “una piccola capanna” in cui sono stati trattenuti. “All’arrivo ci hanno servito riso con olio e sale, come ai prigionieri. Quello è stato il nostro cibo mentre eravamo nella foresta. Le donne rapite con me cucinavano. Siamo rimasti un mese e cinque giorni lì”.

“Durante la nostra prigionia non ci era permesso di lavarci. Dovevamo urinare e defecare nella capanna. Avevamo l’odore dei cadaveri, e la capanna di camera mortuaria”.

“Siamo stati torturati e minacciati di morte se non fosse stato pagato un riscatto di 50 milioni di naira (circa 120.000 dollari). Hanno telefonato alle nostre famiglie dicendo di pagare il riscatto se ci volevano rivedere in vita. Le nostre famiglie hanno pregato e negoziato con i nostri rapitori, finché questi non hanno accettato la somma di 7 milioni di naira (17.000 dollari)”.

“Nel frattempo, alcuni dei miei parrocchiani avevan provato a liberarci. Tre persone hanno perso la vita nel tentativo: Jeremiah Madaki, Everest Yero, della segreteria parrocchiale, e un anziano. Ci avevano rintracciati”.

“Che dolore vedere tre dei miei parrocchiani uccisi a sangue freddo, proprio davanti ai miei occhi!”, ha riconosciuto il sacerdote. “E io non ho potuto fare niente. È stato molto doloroso. A quel punto mi sentivo impotente, senza speranza, inutile. Ho desiderato che la morte mi prendesse, mentre nella mia mente continuavano a riprodursi le scene della mattanza. Non riuscivo a pregare per lo shock. Ogni volta che aprivo la bocca per pregare, le parole venivano meno. Tutto quello che riuscivo a dire era ‘Signore, abbi misericordia’”.

“Alla fine le nostre famiglie sono riuscite a pagare il riscatto, e per la maggior gloria del nome di Dio siamo stati rilasciati e siamo tornati sani e salvi. Ho evitato per poco la morte. So di tanti sacerdoti rapiti prima e dopo di me che sono stati uccisi dopo il pagamento del riscatto”.

“In seguito sono rimasto traumatizzato e ho dovuto far ricorso a un professionista; ho anche trascorso del tempo in ospedale. Oggi vivo ancora nascosto per motivi di sicurezza e per riprendermi completamente. L’amore che ho ricevuto e che ho sperimentato da parte della mia famiglia, dei miei amici e soprattutto della Chiesa è stato enorme”.

“Gli attacchi dei Fulani sono diventati molto comuni nello Stato di Kaduna”, ha concluso il sacerdote. “Esorto quindi la comunità internazionale a venire in nostro aiuto”.

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