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Morto l’ultimo monaco sopravvissuto al massacro di Tibhirine

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Capture YouTube / France 24

Aleteia - pubblicato il 21/11/21

Era la notte tra il 26 ed il 27 marzo 1996 quando sette monaci trappisti di Notre Dame de l’Atlas furono sequestrati da rapitori islamici e in seguito uccisi

E’ morto questa domenica fratel Jean-Pierre Schumacher, l’ultimo sopravvissuto al massacro avvenuto nel 1996 dei monaci trappisti del monastero di Tibhirine, in Algeria, rapiti e poi uccisi da militanti islamici, e in seguito beatificati nel 2018 a Orano, insieme ad altri dodici martiri d’Algeria.

Quella tragica notte fratel Jean-Pierre scampò al sequestro perché era di servizio in portineria, in un edificio adiacente al monastero. Questa vicenda a tinte fosche e dai contorni avvolti nel mistero – non si sa ancora con certezza chi rapì e uccise i monaci – non cancellò però quello “spirito di Tibhirine” che dà il titolo anche a un bel libro edito dalle Paoline: l’amore di Dio condiviso con i propri fratelli e sorelle. “Il dialogo con i musulmani non è un passaggio obbligato – vi si legge -, ma una scelta deliberata fatta di rispetto, fiducia, ascolto e condivisione. Lo spirito di Tibhirine non è riservato ai monaci; tutti possono viverlo, ovunque essi si trovano”.

Fratel Jean-Pierre è stato ordinato a 40 anni nel 1964 a Timadeuc, in Bretagna. Nel 2019, fra i momenti più toccanti del viaggio apostolico del Papa in Marocco, ci fu proprio l’attimo in cui Francesco abbracciò e baciò la mano del monaco trappista.

Il volume “Lo spirito di Tibhirine”, che getta nuova luce sulla vicenda del 1996, si basa su alcune approfondite conversazioni di Nicolas Ballet con fratel Jean-Pierre Schumacher nel monastero Notre-Dame de l’Atlas, a Midelt (Marocco). Ballet ha effettuato nel monastero tre soggiorni di immersione completa per un periodo totale di un mese e mezzo, tra il 2011 e il 2012.

Come spiega Ballet, “non tutto” è stato detto su Tibhirine. Fratel Jean-Pierre nelle sue conversazioni aveva rivelato “alcune informazioni totalmente inedite sulla storia di questa avventura trappista originale, drammatica e al contempo piena di speranza”.

Il nome di fratel Jean-Pierre era sulla lista dei quattro designati dalla comunità di Timadeuc. Per lui “entusiasmo e una grande riconoscenza”, e la voglia di “costruire una piccola comunità situata in mezzo ai musulmani, povera in mezzo ai poveri, secondo le parole del cardinale: ‘L’amore fraterno è una leva potente per salvare il mondo…’”.

Alla fine del marzo 1996, aveva ricordato il religioso, da qualche settimana si avvertiva “un piccolo inizio di tregua in quella terra di Algeria scossa dalla guerra civile. Gli scontri tra coloro che noi – preoccupati di non schierarci con nessuna delle due parti, per cercare di riconciliarle – chiamavamo « fratelli della pianura » (i militari) e « fratelli della montagna » (i guerriglieri islamici), si facevano più sporadici”; “la nostra comunità monastica ritrovava ora un po’ di quell’ossigeno che le era mancato nei mesi precedenti”.

La notte del 26 marzo, tuttavia, tutti i monaci tranne padre Amédée e fratel Jean-Pierre sono stati sequestrati. “Eravamo storditi e sconvolti, senza tuttavia cedere al panico. In quel momento e nei giorni successivi, non immaginavamo una conclusione tragica. Secondo noi – ne eravamo certi – erano stati semplicemente presi in ostaggio per servire da moneta di scambio”.

“Dal mattino alla sera, ogni preghiera era per i nostri fratelli rapiti affinché custodissero la grazia di essere fedeli testimoni e continuassero a vivere la loro vocazione monastica là dove si trovavano sequestrati. Fino a quel 21 maggio 1996, quando un comunicato attribuito al Gruppo Islamico Armato (GIA) fu diffuso dall’emittente della radio Médi 1 a Tangeri: « Abbiamo tagliato la gola ai monaci, conformemente alle nostre promesse…»”.

La vita dei nostri fratelli di Tibhirine era stata una vita riuscita, una vita offerta a Dio e all’Algeria. Erano giunti presso di lui, certamente ricompensati di tutto quello che avevano dato con tanto amore, fino alla fine. Questo dono ultimo era il pieno compimento della loro relazione con l’islam”.

Padre Amédée, morto nel 2008, e fratel Jean-Pierre si sono chiesti spesso perché fossero stati risparmiati. Nei mesi che sono seguiti al rapimento e alla morte dei fratelli, fratel Jean-Pierre ha ricevuto a Fez una provvidenziale lettera dell’abbadessa del monastero della Fille-Dieu, in Svizzera, che gli ha scritto: “Ci sono dei fratelli ai quali è stato chiesto di testimoniare con il dono della vita, e altri, ai quali è chiesto di testimoniare con la vita”. “Quelle poche parole mi hanno sollevato da tutti quegli interrogativi che mi avevano assillato fino a quel momento”, ha confessato il religioso.

La vicenda dei monaci di Tibhirine è stata raccontata nel 2010 dal film di Xavier Beauvois ed Étienne Comar “Uomini di Dio”.

“La bellezza che irradia da questo film, premiato al festival di Cannes, mi ha confermato nella convinzione che la scomparsa dei fratelli non è stata inutile”, ha sottolineato fratel Jean-Pierre. “La morte dei santi è seme di cristiani. La loro scomparsa ha creato dei legami, e non cessa di crearne, di là di ogni frontiera. Qui, a Midelt in Marocco, la nostra cuoca, Ba’ha, una berbera musulmana, ha voluto guardare Uomini di Dio. Gliene abbiamo prestata una copia, così come ad altri membri della sua famiglia. Sono stati impressionati da quanto hanno visto. Anche altri vicini ce l’hanno chiesto. Insomma, il dvd diviene uno strumento formidabile per continuare il dialogo con i musulmani. Si poteva sognare un destino migliore?”.

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