In quel tempo Gesù, entrato nel tempio, cominciò a scacciare i venditori,
dicendo: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo;
ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.
Si percepisce che ci troviamo verso la fine della storia da come il vangelo diventa breve e drammatico. Gesù non riesce ad avere nessun atteggiamento politicamente corretto davanti a ciò che è radicalmente sbagliato. E tra le cose più sbagliate c’è proprio l’aver pervertito il tempio in un luogo di commercio.
Non è la demonizzazione delle cose materiali, ma la confusione che si viene a creare quando a una relazione si sostituisce il commercio delle cose. È come se un uomo che ama una donna smettesse di investire in una relazione e comprendendo le ferite e i vuoti che si vengono a creare per questa mancanza, gli venisse in mente di emendare con una serie infinita di regali. Magari ci sono donne a cui questo piace, ma chi cerca l’amore non può mai accontentarsi delle cose. “Io non voglio i tuoi regali, voglio te”. È questo che sta cercando di dire Gesù con un gesto estremo. Dio non vuole le nostre cose, vuole noi. Non vuole che la nostra preghiera sia uno scambio di favori, ma un incontro tra persone che si amano.
Non si può dire di pregare se la mediazione della preghiera è affidata a qualcosa di diverso del cuore. Nella preghiera non esistono meriti, punti paradiso, sensi di colpa, conteggi di peccati; nella preghiera vera esiste il mio cuore che incontra il cuore di Dio. E poco importa se il nostro cuore non è dei migliori. Non è forse per questo che Lo cerchiamo? Lo cerchiamo non per convincerlo ma per lasciarci guarire, sanare, convertire. Ma questa logica innervosisce chi invece ha costruito tutto sui meriti, i sensi di colpa, gli schemi, i riti, le consuetudini:
Gesù innervosisce e attrae contemporaneamente.
#dalvangelodioggi