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La Santarelli e il suo monologo sulla vita dopo la malattia del figlio

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Youtube|Mediaset

Paola Belletti - pubblicato il 18/11/21

“Sono grata di avere imparato questa lezione, una delle poche che posso insegnare alle mie amiche donne: non sentitevi sporche, non sentitevi in colpa. Mi sono sentita una madre sbagliata, ma non voglio farlo più. E non fatelo neanche voi. Non abbiate paura di tornare a vivere.”

La malattia del figlio e la vita che ci reclama

Elena Santarelli ha condiviso il dramma della malattia del figlio Giacomo fino alla sua guarigione. Al piccolo era stato diagnosticato un tumore cerebrale maligno, notizia che ha tenuto coperta da giusto pudore e da altrettanto saggia prudenza per molto tempo. Non voleva spaventare inutilmente altri genitori parlando di sintomi che sono di per sé assai generici e attribuibili a molti altri disturbi benigni.

Si è lasciata accompagnare dalla solidarietà che tante persone le hanno dimostrato, via social; ma sempre per quella via ha ricevuto molti insulti, accuse, giudizi assolutamente sconsiderati, irripetibili auguri che le capitasse ancora di peggio.

E’ il prezzo della notorietà, si dirà, e non senza ragione. E’ anche il prezzo della asimmetria che i social media e la fama innescano: una persona celebre è di fatto conosciuta da tutti senza a sua volta conoscere nessuno o quasi.

La guarigione del figlio

Il figlio Giacomo, grazie a Dio, è guarito o meglio il suo tumore è in remissione e sta seguendo il necessario follow up che sempre accompagna l’esito di simili storie cliniche.

Elena è felice, grata, sollevata come lo sarebbe ogni mamma. Ma è anche impegnata a superare lo shock che lei stessa ha vissuto in questa valle di molte lacrime e a fare i conti con l’incomprensione e la cattiveria che l’hanno raggiunta, fino quasi a sovrastarla.

Non ha dubbi: nella sua vita e in quella dei suoi cari prevale la gratitudine per quanto hanno ricevuto anche durante il periodo più oscuro e difficile. Tanti gli amici, tantissime le altre mamme e gli altri papà che come loro stavano a fianco del proprio bambino crocifisso dalla malattia. Tanti i gesti di aiuto che si sono scambiati come commilitoni impegnati nella stessa odiosa guerra ma per qualcuno che si ama follemente.

La “guarigione” della mamma

Per testimoniare questa esperienza di sofferenza e speranza, di angoscia per il figlio e necessità di non annichilirsi in quel solo pensiero, Elena ha offerto un commovente monologo a Le iene. La trasmissione prevede nell’attuale edizione questo format: a fianco di Nicola Savino si alternano nel corso delle puntate diverse donne e ognuna, nella sua puntata, ha lo spazio per un monologo su un tema legato alla sua vita di donna.

Il monologo: Non voglio più sentirmi in colpa

“Ho sentito parole che mi hanno fatto sentire sporca” dice Santarelli, “Tipo: ‘Ma come fai a lasciare tuo figlio solo?’. Mi sono vergognata di tornare a lavorare, di uscire a cena con mio marito. Persino di andare dal parrucchiere quando ho sentito un’altra donna sussurrare: ‘Che cazzo ci fa qui la Santarelli? Io con un figlio malato starei a casa’.

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E ancora:

Quegli sguardi, quelle parole ti dicono che c’è solo un posto dove puoi stare: al fianco di tuo figlio che si sta ancora curando. Quegli sguardi ti proibiscono di essere altro dalla malattia”.

Non solo: “C’è un’altra cosa che ti impedisce di tornare a vivere. È il senso di colpa per la fortuna che hai avuto. Perché tante amiche che ho conosciuto in ospedale, mamme come me, oggi non hanno più i loro figli. E quella fortuna sentivo di non meritarla più di loro. Così ho cercato di nascondere la mia felicità. Ma quelle mamme mi hanno detto: ‘Non ti devi vergognare’. Ed è solo grazie a loro, Valeria, Elena e Valentina, che non mi hanno condannata ma mi son state accanto, che ho potuto tornare a vivere tutte le mie emozioni e mi finalmente sono liberata.

Ibidem

Un’esperienza comprensibile che chiede però un’altra consolazione

Quello che dice è molto comprensibile e non mi permetterei mai di sminuirne l’esperienza. Il dolore altrui resta un enorme mistero e una stanza dove di fatto solo Dio può entrare senza essere fuori posto (perché è già lì che ci aspetta). Però, carissima, fortissima, bellissima Elena, siamo pur sempre noi che diamo agli altri il permesso di “farci sentire” in un certo modo. Dici che ti hanno fatta sentire sporca e una cattiva madre e hai tutto il diritto di provare queste cose perché riuscire ad opporre difese sufficienti a questi orribili inviti è un’impresa eroica, soprattutto nella condizione così dura che hai attraversato.

Non credere alle accuse fuori e dentro di noi

E’ difficilissimo non credere a ciò che qualcuno ci dice con la forza della crudeltà, facendo leva sui nostri punti resi deboli dalla prova che stiamo vivendo. Ma non perderci troppo tempo. Forse non meritava nemmeno un monologo in prima serata. Non abbiamo bisogno di queste consolazioni, noi donne e madri in fondo. Ciò che davvero può calmare e consolare un cuore spezzato dal dolore e dall’amore per un figlio è quello di nostro Padre, il Signore.

Messe in salvo

E’ l’esperienza di sentirci noi per prime amate, noi per prime figlie, noi prima ancora che i nostri figli messe in salvo. Non solo da un tumore o qualche altra crudele malattia, ma dalla tristezza e dalla disperazione. Da soli non siamo capaci di essere buoni e quindi felici, cioè santi. Ma Dio può farlo, puoi agire in noi e togliere ciò che ci appesantisce e ci fa a volte inutilmente soffrire.

Sulle tracce di Maria, lungo i nostri calvari. Ma verso la resurrezione

La Madonna non aveva bisogno di togliersi di dosso le occhiate feroci delle persone che la vedevano piangere e patire per quel figlio messo in croce; non aveva bisogno di sentirsi ripulire dai loro sguardi. Li amava già, sapeva già che anche per loro Suo figlio stava soffrendo e che anche per loro doveva essere Madre.

Ecco, credo che quando siamo trascinate nostro malgrado lungo calvari che con tutta sincerità ci vorremmo risparmiare, quello che conta è seguire le orme di Maria, appoggiarci a Lei, guardare a Gesù deturpato dalla passione ma già certe della Sua resurrezione che è preludio della nostra e di quella dei nostri figli. Non c’è niente di più grande che possiamo desiderare per il loro futuro e per il nostro.

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