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Madame alle Iene: il vuoto di un’anima e il miraggio dell’autostima

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LUCA CARLINO / NURPHOTO / NURPHOTO VIA AFP

Annalisa Teggi - pubblicato il 03/11/21

Una ragazza di 19 anni all'apice del successo, col vuoto dentro: "Non mi riconoscevo, non mi amavo". Si è aggrappata all'autostima, ed è uno sforzo solitario che nasconde l'attesa di una voce che ci dica che siamo amati prima di imparare ad amarci da soli.

Un applauso a Madame bisogna farlo. Ieri sera dal palco delle Iene ha parlato con la voce di se stessa, Francesca Calearo di 19 anni. Il suo monologo di neanche 3 minuti è stato alla larga da copioni ideologici (ammetto che temevo ci sarebbe cascata e sono felice di essermi sbagliata). Ha messo a nudo la sua vulnerabilità personale, ansia e vuoto di senso.

Di questi tempi una confessione così vale oro, perché è pura condivisione del punto debole che apre una crepa in chi parla e in chi ascolta. Madame ha svelato, forse al di là delle sue intenzioni, un grande nemico: l’abbaglio di dover puntare solo sul nostro sforzo egocentrico per vincere la paura del male, per trovare un senso al soffrire.

Amarci da soli. Possibile?

Questa sera voglio parlarvi di qualcosa che fino a qualche tempo fa non avevo, che è l’autostima. […] Dobbiamo imparare ad amare tutto di noi, anche le parti peggiori, quelle che ci fanno soffrire, che vorremmo cambiare. Ma se proviamo a cambiarle odiando ciò che siamo, facciamo casino. L’assenza di autostima è una brutta bestia, se non ce l’hai senti di non valere nulla.

L’esordio di Madame ricalca perfettamente quello che era a tema nella canzone portata a Sanremo:

in un bosco di me c’è un rumore incessante

Siamo un groviglio di sterpi e penombre, un bosco pieno di rumori. Nessuno, guardandosi allo specchio, vede un ritratto pulito. Siamo pantano. Che l’unica risposta possibile a questo grumo di domande e inciampi che ci portiamo dentro sia l’idolo dell’autostima, dell’autoconvincersi che va bene tutto, anche il peggio, è un approdo apparente e poco stabile. Questo lo vorrei dire a Madame, ma prima faccio tesoro del suo racconto del buio che ha attraversato.

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Applaudita sui palchi e ansiolitici come acqua

L’anno scorso sono stata ospite a Xfactor per due volte. E prima di salire sul palco ero da sola dentro il camerino e piangevo e dicevo: “Ma cosa ci faccio qui? Io non me lo merito…”. E non mi riconoscevo enon mi amavo. La verità è che sono stata male per anni, pure a Sanremo e con un disco di esordio in uscita. Stavo male sempre, ansiolitici come fossero acqua, stomaco chiuso, non mangiavo, non dormivo.

Una ragazza di 19 anni all’apice del successo, col vuoto dentro. Tante volte abbiamo sentito il ritornello di celebrità che hanno confessato l’amaro lasciato in bocca dal successo, un’attesa tradita di felicità. Ed è vero anche per chi non è famoso. Banalmente, ci aspettiamo una svolta o un sollievo dai momenti in cui le cose vanno bene, dagli istanti in cui siamo applauditi per un qualunque motivo. E puntualmente la svolta o il sollievo non arriva.

Perché l’esigenza vera non è un applauso, ma un’accoglienza incondizionata alla nostra presenza così com’è, non solo per un talento momentaneo.

La crisi – volenti o nolenti – è la parte più schietta della nostra esistenza. Io non me lo meritavo, dice Madame. Non ci meritiamo il bene? Non ci meritiamo di essere apprezzati? E’ così. Dipendesse dalla nostra personale unità di misura non saremmo mai meritevoli, perché le parti più scabrose, sconce, pessime di noi ce le abbiamo sempre di fronte.

E’ molto onesto ilsalmo 51quando afferma:

il mio peccato è sempre davanti a me.

Si potrebbe dire che questa è la roccia salda per sconfiggere l’egocentrismo, l’illusione di risolverci da soli. Forse è un po’ azzardato, ma mi pare che proprio questo versetto, solo apparentemente pessimistico, sia la porta d’ingresso in un mondo in cui l’io si congeda dai suoi cortocircuiti e si rivolga a voci diverse dalla propria. Ed è quello che anche Madame racconta:

All’improvviso nella mia vita era tutto vuoto, senza un senso, senza una pasta. E mia madre, e il mio cane, e la mia musica: niente, vuoto. E chiedevo alla gente: potete dirmi che senso date alla vostra vita? Da sola non riuscivo più a capirlo. E’ stato orribile, un dolore atroce. In quel momento ho persino scritto una delle mie frasi più belle: non ho paura di morire, ma ho paura di voler morire.

Lo sforzo solitario dell’autostima

E’ scritto dentro di noi che l’io vive e si risolve dentro una relazione. Si comincia chiedendo alla gente, agli amici, ai genitori, a tutti. Che senso ha la vita, il male, io? I ragazzi lo chiedono ai testi delle canzoni, io lo facevo. Ed è l’unica direzione sensata (quella opposta al senso unico dell’ego), è la via per l’incontro di cui abbiamo così tanta sete: un io che vive e si risolve dentro la relazione con suo Padre.

Ancora una volta mi pare che sia la voce dei Salmi a stare al passo giusto con la nostra vera umanità, e sembra rispondere puntualmente anche al vulnus che Madame ha esposto al pubblico:

O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta,
arida, senz’acqua.

Forse non gli diamo il nome di Dio, ma fin dall’aurora della vita cerchiamo nutrimento fuori da noi. Ci aggrappiamo a un seno, ad esempio. Siamo un giardino che non può autoprodurre la pioggia che lo fa fiorire. Eppure la voce imperante che ci assedia è quella di illuderci che l’unico modo per dare frutto sia concimarci e innaffiarci da soli. L’autostima è ciò a cui Madame si è aggrappata, cioè ha dissetato il suo deserto con un grande lavoro personale:

Ho cominciato a lavorare ogni giorno per trovare un senso. Ho guardato in faccia l’ansia che mi aveva sempre accompagnata e ho trovato il modo per eliminarla. Mi sono detta: prima o poi soffrirai, ma non devi aver paura perché se soffrirai, ti curerai. E se non ti curerai, morirai. E sai cosa c’è? Tutti muoiono prima o poi. Non possiamo rovinarci la vita perché abbiamo paura di soffrire o di morire. Per me capirlo è stata una grandissima liberazione. Ho imparato a non essere schiava della fretta, a godermi i silenzi, il buio. Ho imparato a respirare, ad accettare le cose che accadono senza che io possa controllarle.

Adesso sono a posto, ho trovato un senso nell’amore, nella stima di me. […] Sto bene e anche se non ho trovato la cura per lo stare male, ho curato la paura di stare male.

Siamo amati prima di amarci

Adesso sono a posto. Perdona, cara Madame, ma non ci credo. L’ho detto tante volte a me stessa ed era un cerotto che si staccava in fretta dalla pelle. C’è invece qualcosa a cui credo assolutamente: non mi riconoscevo enon mi amavo. Questo è un dono inaspettato di fronte a cui trovarsi in prima serata. E’ un attimo di dura e pura verità, in mezzo a mille altoparlanti che gridano slogan per censurare l’evidenza che – anche quando siamo al top – non andiamo bene così come siamo. Sì, possiamo darci da soli una falsa pacca sulle spalle, possiamo stringere i denti per convincerci … ma è un placebo.

Molto più salubre è stare esposti al vero di noi, al fatto che molto di noi brucia e grida, duole e sanguina, al fatto che non siamo capaci di amarci da soli. Eccoci nel posto giusto e scomodo. Dire “Io da solo non mi amo” è stare sul bordo del trampolino, sul punto di confine in cui siamo pronti a dire addio alle bugie dell’egocentrismo. Siamo pronti al tuffo che toglie il fiato e ci riporta in vita. Non ci possiamo accontentare dell’autostima (del “vado bene così”), la verità è che siamo stati amati prima di amarci da soli e c’è Chi aspetta di dircelo, ripetercelo, accompagnarci a riconoscerlo dentro il pantano quotidiano.

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