La memoria dei defunti è un atto d'amore. Rimasta vedova, Clelia Marchi usò un lenzuolo matrimoniale per raccontare la vita condivisa col marito. Più di 180 righe scritte di notte a mano da una contadina che pativa la mancanza dell'amato.
Oggi è il giorno in cui facciamo memoria dei nostri defunti. La morte impone uno spazio di vuoto e silenzio tra noi e i nostri cari. Ma è proprio la mancanza ad accendere il bisogno di non perdere la storia preziosa che è ogni vita. Il buio è uno sfondo duro e netto, eppure è quello più adatto per distinguere anche piccoli segni di luce. Non è forse vero che ci rendiamo vividamente conto della voce preziosa di un amico, di un nonno, di una madre quando la nostalgia di non averlo accanto ci apre gli occhi su di lui o su di lei?
A Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, c’è l’Archivio Diaristico Nazionale, un vero patrimonio di storie del passato, ma ancora vive. Al suo interno sono conservati circa novemila scritti in cui voci di gente comune raccontano le loro storie. Testi scritti a mano, squarci di vita quotidiana, tra cui si può trovare anche l’impresa eroica di Clelia Marchi. Rimasta vedova all’improvviso nel 1972 decise di mettere al lavoro il suo dolore: scrisse a mano su un lenzuolo matrimoniale del corredo tutta la storia della sua vita insieme all’amatissimo marito Anteo.
Non poteva più condividere il letto con lui, condivise con gli altri tutta l’intima verità dell’affetto che ci fu tra loro.
Sailko, CC BY 3.0 , via Wikimedia Commons
Custodire la propria storia
Il lenzuolo di Clelia Marchi è conservato ed esposto in una delle sale dell’Archivio Diaristico, ed è un luogo che vale la pena visitare. Si può dire che sia un’esperienza che insegna un criterio di illuminazione diverso dal solito. Sotto i riflettori – abitualmente – ci stanno persone ed eventi importanti. Ma cosa è poi importante? Lo è ciò che incide davvero sulla realtà e sulle relazioni. Scrivere a mano un diario è incidere una storia, che ha inciso sul vissuto di chi l’ha scritta. Negli scritti di memoria delle persone comuni, nelle storie uniche e minuscole (rispetto alla Storia), noi ci ritroviamo allo specchio.
Nessuna fiction. Eccoci in presa diretta dove pulsa l’umano, tra fatiche, scommesse, affetti, delusioni, errori, paure. E queste voci sono l’antidoto al rischio dell’astrattezza ideologica che ci attanaglia. Ci dicono che le presenze tengono in piedi il mondo.
Novemila storie, acquisite anche digitalmente. La calligrafia minuta e perfetta, gli scatti dell’inchiostro, i disegni, ritagli. Dentro un Paese che ha vissuto la Prima Guerra Mondiale, la Seconda, il ’68, il terrorismo. L’intuizione di Saverio Tutino che ha voluto questi diari in ordine alfabetico, non in ordine di importanza delle storie o dei personaggi che si raccontano, una uguaglianza di vita che l’Archivio Diaristico Nazionale tiene come un valore. Spiega Natalia Gangi, che da oltre trent’anni ne è l’anima e il motore: «Questo luogo è aperto a studiosi, a persone che vogliono capire chi siamo. Alle storie di vita. I diari ci vengono affidati per essere custoditi, ma anche perché possano diventare accessibili».