Possiamo comprendere il Purgatorio solo alla luce dell'illimitata misericordia di Dio
Il secondo dei tre libri della Divina Commedia di Dante, dopo l’Inferno e prima del Paradiso, è il Purgatorio. Nel suo nono canto, Dante mette queste parole sulla bocca del guardiano angelico della porta del Purgatorio, che mostrando le sue chiavi dice agli ascoltatori:
Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri
anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,
pur che la gente a’ piedi mi s’atterri.
Nel testo, come nell’insegnamento della Chiesa, il Purgatorio può essere compreso propriamente solo come espressione dell’infinita misericordia di Dio. Per questo, non è un luogo di punizione, ma un posto in cui, come conseguenza della generosità divina, i peccatori penitenti vengono preparati a entrare in Paradiso.
Se il calendario ecclesiale non contiene una festa del Purgatorio in quanto tale, abbiamo il suo equivalente il 2 novembre, quando la Chiesa ci incoraggia a pregare in modo particolare per i nostri cari defunti, che crediamo e speriamo siano ora in Purgatorio. Quest’anno potremmo recitare una preghiera anche per Dante nel 700° anniversario della sua morte.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica offre questa definizione della dottrina del Purgatorio:
“Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo” (CCC 1030).
Al di là della preoccupazione naturale per le persone care, l’amore per noi stessi dovrebbe spingerci a desiderare il Purgatorio. Come sottolinea San John Henry Newman, “in un certo senso, tutti i cristiani muoiono senza aver concluso il proprio compito”. Il Purgatorio è il luogo in cui vengono aggiunti i ritocchi finali.
Newman sottolineava questo aspetto in uno dei suoi sermoni anglicani, “Lo Stadio Intermedio”. Come molti non cattolici, prima della sua conversione era esitante sull’idea del Purgatorio in quanto tale, ma aveva già riconosciuto la necessità di un “tempo di maturazione” tra la morte e il paradiso, e lo riteneva una “grande consolazione” per chiunque pensasse seriamente a tali questioni.