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Gravidanza: mamma e figlia potevano morire, ma sono qui a dire grazie

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Di Natalia Deriabina|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 26/10/21

La testimonianza di una gravidanza difficile ma felice: la diagnosi di placenta previa e accreta mette a rischio la vita di mamma e bambino; ma con l'aiuto dei medici, l'amore della famiglia e la grazia di Dio (per quanto nascosta e mai nominata) Giorgia ha potuto abbracciare la sua bambina.

Imprevisti in agguato

La gravidanza è sempre un’avventura; quasi tutte noi, non appena scopriamo che una nuova vita si è messa in viaggio, facciamo lunghe liste di buoni propositi, ci mettiamo in riga, decidiamo di mangiare bene e fare movimento; ci sottoponiamo ai controlli necessari e a volte a qualcuno in più.

Però lo sappiamo benissimo, e anzi questa tentazione di controllare tutto ne è la prova più lampante: l’imprevisto è sempre in agguato, perché la vita non è in mano nostra.

Un bambino si sta formando dentro di noi e per quanto possiamo e dobbiamo essere attente e responsabili (siamo custodi e dimora di una persona in formazione) qualcosa può sempre andare storto.

Spesso si tratta di sorprese piacevoli, di parti un po’ rocamboleschi e precipitosi o di ritardi fisiologici ma vissuti come estenuanti attese del fatidico giorno; possono capitare innocui contrattempi domestici che ci faranno arrivare in sala parto senza la borsa che avevamo preparato con meticolosa (diciamo pure maniacale) attenzione ben 8 settimane prima.

Nostro marito potrebbe sorprenderci con un senso dell’umorismo del tutto fuori luogo capace o manovre di uscita dal garage con tanto di graffi vistosi sulla fiancata e tutti questi particolari andrebbero a formare il racconto mitico della nascita del nostro bambino, che ripeteremmo in seguito per decine di volte, raccontando di quel fatidico giorno.

Ma altre volte può capitare che qualcosa vada storto sul serio e allora la umanissima e divina commedia della nascita di nostro figlio rischia diprecipitare in tragedia.

Gravidanze difficili

Ci sono storie di gravidanze e nascite difficili, di rischi perinatali importanti; ma proprio in queste storie brilla più luminosa la gratitudine per la vita e per l’aiuto di quanti si affollano, ordinati e competenti, intorno a mamma e bambino: vogliono aiutarli a entrare e stare nella vita che, quando ci troviamo in situazioni di emergenza, si mostra per quello che è: un’imperdibile occasione.

Nelle pagine dell’Ospedale Niguarda sono pubblicate alcune di queste storie con lo scopo di confortare e dare coraggio ad altri genitori che si trovino ad attraversare situazioni simili. Questa è la storia di Giorgia (nome di fantasia) e della sua bambina che hanno rischiato entrambe di morire e invece sono qua, felici e grate di esserci.

L’inizio della gravidanza e le prime minacce di aborto

Le prime sirene suonano già nelle prime settimane di gestazione. I controlli, infatti, mettono in evidenza che c’è qualcosa che non va, qualcosa che merita la più assoluta attenzione. “Ero in vacanza al mare con l’altra mia figlia di 3 anni, ho avuto delle perdite e mi sono rivolta all’ospedale più vicino, dove hanno riscontrato che era avvenuto un distacco della placenta. Da lì si è attivato tutto l’iter di controlli perché non si riusciva bene a circoscrivere il problema”.

Ospedale Niguarda

Una diagnosi impegnativa

La diagnosi di placenta previa centrale con raccorciamento del collo dell’utero arriva intorno al terzo mese, il termine dopo il quale di solito noi madri tiriamo un sospiro di sollievo perché l’epoca più a rischio aborto spontaneo è passata. Invece per Giorgia e la sua bambina inizia la salita.


Mi dissero che queste condizioni mi avrebbero portato a partorire molto in anticipo, al quarto mese. Per evitarlo, si doveva ricorrere ad una particolare procedura chiamata cerchiaggio.”

Ibidem

La diagnosi non era ancora completa, però, perché la situazione era aggravata da un’ulteriore condizione di grande pericolo soprattutto per la vita della mamma. La placenta, oltre che previa centrale, era anche accreta: come se l’organo in comproprietà tra mamma e feto si fosse quasi fuso con le pareti uterine.

Il rischio è anche per la mamma

La placenta accreta è una placenta abnormemente adesa, che determina un ritardo nel secondamento della placenta. La funzione placentare è normale, ma l’invasione trofoblastica si estende oltre il limite normale (chiamato strato di Nitabuch).

Msd Manuals

Il rischio, altissimo, è che la rimozione della placenta (che di solito avviene per naturale secondamento) si risolva in una emorragia massiva post-partum con il conseguente decesso della donna.

Prospettiva: parto cesareo e rimozione dell’utero

Per questo la prospettiva è quella di un parto con taglio cesareo programmato seguito da isterectomia (rimozione chirurgica dell’utero)

Con questa terribile e concreta prospettiva Giorgia e il marito si sono trovati a pensare all’ipotesi di interrompere la gravidanza, perdendo la loro bambina e anche la possibilità di altri concepimenti futuri.

Sono tormentati ma sostenendosi a vicenda e considerando il valore della posta in gioco, la vita di loro figlia che non aveva nessuna colpa, hanno deciso di andare avanti, con l’appoggio prudente dei medici.

La decisione di andare avanti

Sono stati giorni veramente sofferti. Ma alla fine abbiamo deciso di andare avanti, anche perché in caso di interruzione, era molto concreta l’ipotesi di non poter avere più altri figli”.

Poteva bastare come corsa a ostacoli per arrivare ad abbracciare la loro secondogenita? Secondo noi sì ma spesso le prove si presentano a grappolo…e così, dopo poche settimane dall’intervento di cerchiaggio, l’utero si lesiona. L’emorragia conseguente porterà Giorgia a un ricovero d’urgenza presso il pronto soccorso ostetrico del Niguarda. Ricoverata al sesto mese di questa difficile gravidanza questa mamma coraggiosa e provata non uscirà se non a nascita avvenuta. Ma quanto ancora doveva attraversare prima di poter tenere in braccio la sua bambina!

I medici e gli infermieri: professionalità e calore umano

Dal suo racconto emerge un’immagine dei medici e del personale sanitario che l’ha accompagnata come sempre ci piacerebbe incontrarne: vicinanza, calore e indiscussa competenza. Anche il resto della famiglia ha fatto tutto il possibile per restarle vicina:

“Ricordo la prima visita al mattino presto con il Dottor Sanguineti e i tanti colloqui avuti con il primario, il Dottor Meroni. Per noi sono stati fondamentali, ci hanno infuso sicurezza e tranquillità in ogni momento. E’ stato un periodo molto lungo, ma grazie all’assistenza ricevuta e alla voglia di normalità sono passati senza essere paralizzati dalla preoccupazione. Essere in una camera singola aiuta parecchio e poi anche noi, come famiglia, ci abbiamo messo del nostro per non far vincere lo sconforto. A Natale e al compleanno dell’altra mia figlia abbiamo addobbato a festa la stanza, abbiamo addirittura fatto l’albero sotto cui abbiamo scartato i regali la Vigilia. Di capodanno ricordo il “cenone” in camera con il cibo comprato in rosticceria da mio marito. La nostra vita non si è fermata”.

Il parto

E così arriva il momento di accogliere questa bimba, così minacciata e attesa fin dal suo viaggio prenatale: la nascita in questi casi non può avvenire in normali blocchi parto, serve una sala operatoria attrezzata e soprattutto bisogna premunirsi di una consistente riserva di sacche di sangue (benedetti donatori!). Giorgia è alla 37ma settimana e il dottor Mario Meroni che dirige il reparto di Ostetrica e Ginecologia si prepara con tutta l’equipe all’intervento.

Nel caso specifico non c’era altra soluzione: abbiamo deciso di procedere con il parto cesareo e l’asportazione dell’utero in un’unica sessione. Sapevamo che si trattava di un intervento molto delicato”. (…) Come succede in questi casi c’è stato uno stretto coordinamento con l’équipe del SIMT- Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale. “In sala erano pronte una decina di sacche– indica Silvano Rossini che dirige il SIMT-. Altre 10 erano pronte a partire dal laboratorio in caso di ulteriori necessità. La riserva destinata all’intervento era la stessa che normalmente si mette a disposizione per un trapianto di fegato, la procedura che mediamente ne richiede di più”.

“Eccola! Grazie a tutti: medici, infermieri, donatori di sangue”

E’ tutto pronto, anestesia, incisione con il bisturi dei tessuti materni e nascita con parto cesareo della piccola: non proprio piccolissima, dato l’anticipo. La bimba pesa due chili e mezzo e la mamma potrà abbracciarla solo due giorni dopo, una volta risvegliata dall’intervento. Ecco come commenta queste fasi finali e inziali insieme la coraggiosa mamma:

L’ho vista per la prima volta al mio risveglio dopo due giorni- ci dice la mamma-. Anche il mio intervento è andato bene. La temuta emorragia si è verificata ma è stata tenuta sotto controllo. Per farlo ci sono volute 5 sacche di sangue e 3 di plasma”. In pratica il contributo di 8 donatori. “Oggi guardo la mia bambina e il mio pensiero va a tutti coloro che mi permettono di tenerla in braccio: i medici, gli infermieri e le ostetriche.  Il mio riconoscimento va anche a tutti i donatori di sangue, che hanno un ruolo di primo piano, ma di cui forse si parla troppo poco”.

Ibidem

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