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Armi e legittima difesa nella dottrina sociale della Chiesa: una confusione tipica della nostra epoca

WAR, WEAPON

FotoArtist Stockphoto / Shutterstock.com

Francisco Borba Ribeiro Neto - pubblicato il 26/10/21

La scarsa efficienza della sicurezza pubblica ci porta a immaginare una sorta di Far West, in cui uomini armati proteggono se stessi e i propri cari

Un gioco di parole senz’altro provocatorio ma in perfetta sintonia con la dottrina della Chiesa, “La patria amata non può essere patria armata”, pronunciato dall’arcivescovo di Aparecida, monsignor Orlando Brandes, il 12 ottobre scorso, ha fatto scalpore sulle reti sociali e nei teatri della politica. Per peggiorare la situazione, molti hanno citato in modo decontestualizzato un documento del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace del 1994, Il commercio internazionale delle armi. Una riflessione etica (erroneamente attribuito a San Giovanni Paolo II).

Nel testo, si afferma che in un mondo in cui esistono il male e il peccato, esiste anche il diritto alla legittima difesa mediante l’uso delle armi. Questo diritto può diventare “un serio dovere” per chi è responsabile della vita altrui, del bene comune della famiglia o della società, e solo questo diritto può giustificare il possesso o il trasferimento di armi, ma non si tratta di un “diritto assoluto”, essendo accompagnato dal dovere di fare tutto il possibile per minimizzare e ancor più eliminare le cause della violenza.

La confusione è tipica del nostro tempo, dominato da fake news, “post-verità” e discorsi carichi di rabbia e risentimento. Per questo, bisogna comprendere con precisione ciò che la Chiesa ha imparato e ripete nel corso della sua storia, quelle che sono posizioni nate dall’analisi della realtà e quelli che sono invece atteggiamenti ideologici in questo dibattito.

Nel Vangelo

Cristo non è un ingenuo che immagina un mondo senza conflitti. Nel Vangelo, dice di essere venuto per portare non la pace, ma la spada (Mt 10, 34). Lo stesso Papa Francesco, famoso per le sue esortazioni al dialogo e alla riconciliazione, ritiene che il conflitto faccia parte della nostra vita e non possa essere ignorato (cfr. Fratelli Tutti, FT 237-240).

Nel discorso delle Beatitudini, però, Gesù esalta i miti (Mt 5, 5), dice di amare i nemici, di porgere l’altra guancia e che a chi ci chiede la tunica si deve dare anche il mantello (Mt 5, 38-44). Egli stesso si dichiara mite e umile di cuore, chiedendo ai discepoli di seguire il Suo esempio (Mt 11, 29). Sono dichiarazioni che indicano una forma di superamento dei conflitti che oggi definiamo “non violenza”.

San Giovanni Paolo II considera la non violenza un valore proposto dalla vita e dal messaggio di Cristo (Discorso ai giuristi cattolici italiani, 1980, n. 4). A suo avviso, il modo cristiano di combattere la violenza nella società non risiede in un’opposizione violenta ai violenti, né in una non violenza che nega semplicemente la violenza, ma nella costruzione di una “civiltà dell’amore”: Benedetto XVI ha spiegato che non si tratta di lasciarsi dominare dai malvagi, ma di rispondere al male con il bene, in un “modo di essere della persona” basato sull’amore.

Non è un’utopia irraggiungibile, ma un principio ideale che può orientare la costruzione di un sistema di sicurezza pubblica che preservi i diritti e la dignità di tutti.

La Chiesa e il disarmo

La questione delle armi e della legittima difesa preoccupa da molto tempo la Chiesa, soprattutto nella prospettiva della pace tra le Nazioni (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, CDSC 508-512). I Paesi hanno il diritto e il dovere di avere le armi necessarie a garantire la propria autodifesa, ma la Chiesa si è sempre preoccupata della corsa alle armi in cui ogni Paese vuole avere più armi dell’altro, optando per la guerra in funzione del suo potere bellico, desistendo dai negoziati che porterebbero alla pace. Oltre a questo, l’acquisto di armi impiega risorse che dovrebbero essere usate per garantire lo sviluppo e il benessere delle popolazioni, e il prezzo delle armi è un fattore proibitivo, e allora i poveri (persone o Paesi) non sono ancora più indifesi di fronte ai ricchi e ai potenti?

Chi compra armi immagina che le userà, e quindi più è alto il numero di armi disponibili, maggiore è il pericolo di un’azione violenta. La logica vale per le Nazioni, ma può essere applicata anche agli individui. Chi comprerebbe molte armi se non pretendesse di usarle? Tutti coloro che hanno armi hanno anche la capacità e il buonsenso necessari per usarle in modo responsabile?

La Chiesa non vuole proibire il possesso di armi, da parte di un Paese o di un individuo, e riconosce anche il pericolo di un disarmo asimmetrico tra le Nazioni. Ad ogni modo, ritiene che la pace non possa essere costruita sulla base di un equilibrio di forze in cui ciascuno si sente minacciato dall’altro, ma in un’opzione per il negoziato pacifico e per l’intesa. In modo analogo, possiamo pensare che l’idea che i ladri smetteranno di derubarci perché hanno paura delle nostre armi sia un po’ fantasiosa. La cosa più probabile, in una società fortemente armata e in cui non esiste un buon sistema di sicurezza pubblica, è che gli attacchi diventino più violenti e le morti aumentino.

E la legittima difesa?

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC 2258-2317) spiega che tutti gli esseri umani hanno diritto alla legittima difesa, che è una conseguenza del proprio diritto alla vita. C’è di più: è un dovere di ciascuno di noi difendere la propria vita e quella altrui. Come abbiamo detto all’inizio, anche se in un mondo segnato dal male e dal peccato esiste il diritto alla legittima difesa con armi e per giusti motivi, il suo senso non è incentivare l’uso delle armi, ma limitarlo. È un’alternativa che dipende da un “giusto motivo”, e come dice il testo va accompagnata dal dovere di fare tutto il possibile per minimizzare e ancor più eliminare le cause della violenza.

Benedetto XVI parla del “principio della sufficienza”: dobbiamo avere solo le armi necessarie per garantire la nostra sicurezza. San Giovanni Paolo II considerava che la pace non si potrà raggiungere finché “non potrà essere garantita finché la sicurezza basata sulle armi non sia gradualmente sostituita da una sicurezza fondata sulla solidarietà della famiglia umana”.

Qual è il modo migliore per garantire la sicurezza dei cittadini?

Il problema reale non è dottrinale, ma pratico: qual è il modo migliore di garantire la sicurezza dei cittadini? La Chiesa riconosce il diritto della popolazione di armarsi se è necessario per garantire la sua sicurezza, ma se ci sono alternative indica queste altre forme.

Lo Stato moderno si è sviluppato a partire dall’idea che il monopolio della forza e la responsabilità della sicurezza della popolazione spettasse al Governo e non agli individui. La storia dell’Occidente indica che questa è stata la migliore alternativa per garantire il bene comune. Analizziamo la cosa. La probabilità che un cittadino armato, anche se addestrato, ma preso di sorpresa, riesca a vincere un criminale armato è molto bassa. Cosa darà più sicurezza a noi, alle nostre famiglie e ai nostri giovani, che tuti usino armi e si predispongano ad affrontare i criminali o che la polizia sia più efficiente e catturi i delinquenti?

La scarsa efficienza della sicurezza pubblica ci porta a immaginare una sorta di Far West, in cui uomini armati proteggono se stessi e i propri cari. Anche in questo mitico mondo hollywoodiano, però, le armi non portano la sicurezza ai deboli, costantemente intimiditi da pistoleri e banditi. Anche in quell’universo, è l’arrivo della legge e non la forza degli individui a garantire la sicurezza per tutti.

Ricerche internazionali non mostrano che l’aumento del numero di armi tra la popolazione aumenta o diminuisce il numero delle morti violente. In realtà, la violenza e la sua letalità dipendono da molti fattori, come l’azione del crimine organizzato, l’efficienza della polizia, condizioni socio-economiche e infrastrutture urbane.

Per tutti questi fattori, la rivendicazione più efficace per garantire la sicurezza della popolazione è aumentare l’efficienza delle organizzazioni di sicurezza pubblica e non il numero di armi disponibili.

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