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Alisea, affetta da SMA1, scrive con gli occhi quello che vede col cuore

GIRL, GLASSES

Marina Demeshko | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 26/10/21

"Un'amica che mi impedisce di fare quasi tutto" così la 21enne Alisea Zamboni definisce la SMA1. Grazie a un puntatore oculare condivide coi suoi lettori la passione più avventurosa che ha, leggere.

Il limite come punto di forza. La resilienza come stile di vita. Si fa presto a scrivere certe frasi. È fatica raccontare certe storie senza cadere nella banalità delle etichette. Si fa presto ed è fa fatica, direi che parto da qui.

A Mantova c’è una giovane ragazza che fa fatica a fare quelloche molti fanno presto a compiere, anzi prestissimo. Scrivere è diventata un’azione meccanica velocissima e addirittura facilitata. Abbbreviazioni e T9. Due parole e clic. E poi finiamo tutti a lamentarci della frenesia e della scarsa attenzione che gli altri ci prestano.

Mi chiamo Alisea Zamboni, ho quasi 21 anni e ho una “migliore amica” molto particolare: la SMA1. È una patologia degenerativa che mi impedisce di fare quasi tutto, così da piccolissima mi sono innamorata della lettura e ho deciso di provare a trasmettere questa mia passione grazie alle recensioni che scrivo con il mio puntatore oculare.

Da Radiobase Mantova

Dunque Alisea scrive con gli occhi, lettera per lettera. Scrive lentamente usando l’organo deputato alla vista. E qui la tentazione di fare un’acrobazia del pensiero mi prende la mano: sarà mica noi cosiddetti normadotati abbiamo il grosso handicap di un’atrofia del collegamento vista-mani, sguardo-opera?

Guardare e scrive con gli occhi

Alisea vive a Mantova e cura una rubrica per Radiobase, si chiama Visto con gli occhi, scritta con gli occhi. È bello che un organo d’informazione le abbia affidato uno spazio, che è ben riconoscibile proprio per un tipo di scrittura che non si vede più. Alisea recensisce libri e propone luoghi da visitare. Le sue frasi respirano. Sono frasi che si prendono il tempo di dire quello che vogliono dire, usando aggettivi e subordinate.

Ecco un esempio, da un suo contributo in cui racconta la visita al Parco Giardino Sigurtà:

È una sorta di sottobosco che però, a differenza della maggior parte dei boschi veri, è accessibile a tutti e comprende anche delle panchine (ma devo avvertirvi che non sono tutte comodissime), delle fontanelle con acqua potabile per rinfrescarsi e vari punti di ristoro dove si possono anche acquistare dei souvenir.

Da Radiobase

Il redattore del tipo più comune – me compresa – non avrebbe mai scritto un periodo così. L’avrebbe suddiviso in 5 frasi, probabilmente avrebbe eliminato la parte dell’acqua per rifrescarsi e lasciato solo le fontanelle, e ci sarebbe stato qualche refuso. Avete notato, vero, che sui quotidiani online compaiono sempre più spesso errori grafici e grammaticali? Noi redattori lo notiamo tantissimo su noi stessi. Ed è l’abuso della vista e della fretta a farci inciampare.

Alisea scrive come chi si prende il tempo prima di guardare davvero e poi di scegliere come scrivere quello che vuole dire, sapendo che la scrittura con gli occhi le richiede sintesi e pazienza. La sua fatica si trasforma per il lettore nel lusso di una frase che respira – lo ripeto. Non c’è scritto solo quello che c’è scritto, dietro si legge: fermati, ascolta, prenditi il tempo di fare quello che stai facendo. Non solo in una frase, ma anche nelle nostre giornate c’è lo spazio per rinfrescarsi, impariamolo da chi è costretto a una lentezza che noi snobbiamo solo per ansia incancrenita.

Costretta alla tecnologia

Quando si scrive con lo sguardo, si scrive più lentamente. Quindi si ha tempo di pensare a quello che si sta scrivendo, ed eventualmente cancellarlo. Oltre a diminuire gli errori di battitura, spesso – non sempre – questo consente di evitare di dire (scrivere) cose delle quali ci si potrebbe pentire. Allo stesso tempo, però, si perde un po’ di spontaneità.

Da Gazzetta di Mantova

Intervistata dalla Gazzetta di Mantova, Alisea ha aperto qualche finestra sulla sua vita in cui la SMA1 le impedisce di fare quasi tutto. Non le impedisce il pensiero, e la lentezza a cui è costretta la obbliga a discernere quel pensiero, a digerirlo e ruminarlo prima di condividerlo. E’ agli antipodi dalla reattività immediata che noi tendiamo ad avere sui social networks, soprattutto. Ormai il tempo di vagliare un commento, di replicare a un messaggio Whatsapp è nell’ordine di grandezza dei millesimi di secondo.

Il limite come punto di forza, allora, non è solo una bella frase da scrivere. Darci dei limiti è l’unica via per arginare il flusso diabolico e sovrabbondante di un’istintività che schiaccia sempre più la nostra volontà. Alisea sarebbe un’ottima coach su come usare i social network, vorrei suggerirglielo come ipotesi di impegno futuro.

Sono costretta a usare la tecnologia per fare quasi tutto, ma sono convinta che il mondo reale sia molto meglio di quello virtuale. […] quando non c’è in mezzo uno schermo, le conversazioni siano molto più vere e abbiano anche più possibilità di andare avanti per più di cinque minuti.

Ibid
ZAGROŻENIA ŻYCIA RODZINNEGO

Una materia s’impara da chi ha competenza. E la competenza s’impara dall’esperienza. Per l’uso dei devices virtuali diventerà sempre più competente non chi scopre tutte le potenzialità degli strumenti a disposizione, ma chi saprà rimettere al centro il potenziale del soggetto umano che usa gli strumenti. Nessuno più di Alisea sa che un pc o un tablet sono strumenti, autostrade (e non idoli) di collegamento per dare espressione a un’anima.

Una vita avventurosa tra i libri

Il mio letto è una nave, disse Robert Louis Stevenson. Fu un gran narratore di avventure che ci ha fatto compagnia nell’infanzia, quando l’immaginazione era così spalancata da ospitare luoghi esotici, figure fantastiche e imprese eroiche nella nostra cameretta. Non era un atteggiamento infantile, è ben più piccolo e angusto l’abitudine adulta e pigra di essere riempiti di intrattenimento usa e getta.

Ospitare è uno dei verbi più avventurosi. E il libro è quell’oggetto vivo che ci ricorda che la nostra storia può ospitarne molte altre, che la nostra vita si dilata quando incontra altre vite. Per salpare nella vera conoscenza non occorre spingersi ai confini della terra. Si può essere missionari rimanendo chiusi tra le mura del Carmelo, vedi Santa Teresa. Non c’è missione più grande che mettere i piedi fuori da sé.

Alisea ha cominciato a leggere quando era costretta a stare in ospedale per gran parte del suo tempo. Il suo letto era davvero una nave, l’ipotesi che l’incontro con la vita fosse possibile anche da immobile. Ora recensire i libri è la sua passione:

Questa passione è cominciata da piccolissima, quando, a causa della mia “amica” SMA1, ero sempre all’ospedale. I libri erano l’unica possibilità di distrazione ed evasione. Adesso è molto tempo che non vado all’ospedale, ma i libri restano sempre l’unico modo per staccarmi da questo corpo pigro e accontentare anche la mia parte avventurosa.

Ibid.

La parte avventurosa è quella ospita, che lascia spazio al molto che c’è oltre i nostri assi cartesiani personali. Più che evasione dalla realtà – e nel caso di Alisea è una dura realtà – leggere ci aiuta a moltiplicare le vie di accesso alla realtà, a entrare nelle pieghe della vita per sentieri impossibili alla sola nostra persona.

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