Concentrarsi significa rivolgere l’attenzione e applicare la mente su un determinato oggetto o una determinata azione, ma in un mondo invaso dalla tecnologia la nostra attenzione sembra frammentarsi: come è possibile evitarlo?
Pretendiamo di essere virtualmente in più luoghi e di gestire più attività nello stesso momento: il risultato? La nostra attenzione dà forfait. Il declino della capacità di attenzione da parte degli studenti, le diagnosi di disturbo da deficit di attenzione nei bambini e (sempre più) negli adulti, i problemi e le difficoltà sul posto di lavoro a causa dell’iperconnettività, le dipendenze dalle nuove tecnologie, lo scrollare compulsivo sullo smartphone e l’imperativo del multitasking sono tutte problematiche riconducibili al nostro bisogno di onnipresenza digitale.
Ma quando siamo investiti da una serie di compiti tutti apparentemente importanti, o che riguardano la stessa area cerebrale, il nostro cervello va in tilt. L’attenzione, infatti, ha il compito di selezionare costantemente ciò che è più importante, lasciando il resto da parte. Il problema è che nella nostra società iperconnessa non riusciamo mai a concentrarsi su un compito alla volta, ma pretendiamo di avere più lampadine accese nello stesso momento; questo fa sì che perdiamo la concentrazione molto più spesso di quanto vorremmo. Vittime di un grave errore, crediamo di poter svolgere più compiti contemporaneamente solo grazie alla forza di volontà. Invece non è così: non possiamo prestare attenzione completa a due compiti nello stesso momento.
La nostra attenzione viene costantemente catturata sia dal mondo reale sia da quello virtuale: rimbalziamo da una story a un’immagine, da un video a un’allerta sui social, vittime del grande universo digitale. Non solo: gli smartphone ci danno anche la possibilità di autostimolarci in momenti di “vuoto mentale”, vuoto che prima era riempito dalla noia, dal fantasticare, dal riflettere. E quando non lo facciamo per piacere, riempiamo questi vuoti per placare l’ansia, in un vortice di azioni e reazioni che non ci fanno mai fermare, perfino di notte, quando dovremmo staccare la spina, e invece ci ritroviamo a ruminare fissando il soffitto (o lo schermo del nostro smartphone).
È in questo contesto di iperstimolazione che avviene il sovraccarico mentale cronico: l’attenzione deve costantemente calibrarsi sugli stimoli e sulle informazioni che riceviamo in ogni istante, ma ha un limite.
Con l’avvento di tecnologie sempre più potenti, come i caschi della realtà virtuale o gli occhiali intelligenti, il sistema scolastico dovrebbe svolgere un ruolo centrale nella battaglia per il controllo dell’attenzione. Dobbiamo porre i bambini, gli adolescenti e anche noi stessi nella condizione di essere protagonisti attivi della nostra attenzione e non consumatori passivi soggetti al catalizzatore più forte. Bisogna mettere i giovani nella posizione di sfruttare al massimo le nuove tecnologie senza per questo perdere il controllo della nostra concentrazione.
Ed ecco il ruolo fondamentale di una nuova educazione digitale per aiutare i giovani a sviluppare la capacità di scegliere realmente a che cosa concedere l’attenzione. L’importante è far loro comprendere che la possibilità di accedere a ogni possibile informazione grazie a internet non significa che tutto è loro destinato personalmente: devono accettare i limiti umani e il fatto che l’obiettivo non è essere ovunque, su tutti gli schermi e i social network. L’obiettivo è invece quello di imparare ad avere una connessione reale con l’attività che si è momentaneamente scelta a scapito di altre, e che possiamo svolgere con tutti gli strumenti tecnologici a nostra disposizione, senza che questi ci rubino il nostro strumento più prezioso: una mente concentrata.