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Quando Sant’Agostino andò a caccia di mostri

SAINT AUGUSTINE

Public domain

Daniel R. Esparza - pubblicato il 18/10/21

Nei suoi testi, Agostino si riferiva spesso a un tipo molto specifico di mostruosità.

Uno degli argomenti preferiti da Sant’Agostino è quello dell’infermità, ma come accade spesso, il termine latino originale infirmitas usato da Agostino si può riferire a molteplici realtà. Infirmitas si traduce innanzitutto con “malattia”. Quando un individuo è malato è infirmus: fragile, debole, incapace di stare in piedi senza aiuto.

È evidente, però, che si può essere deboli e fragili anche per fattori non legati alla salute del corpo. Agostino testimoniò l’indebolimento dell’Impero Romano, che aveva perso la sua apparentemente eterna “fermezza”. Alcuni biografi sostengono che la sua preoccupazione per la questione del male fosse motivata dalla sua esperienza personale, incluso il crollo dell’impero. Anche la sua vita era piuttosto inferma, e lui venne costantemente colpito dal dolore. Subì varie perdite gravi, una dopo l’altra – prima la sua padrona, poi sua madre e infine il figlio.

Shari Boodts spiega che nel tardo Medioevo “circolava un discorso agostiniano che danneggiava la reputazione del suo autore come uomo razionale e intelligente”, ovvero dava l’impressione che Agostino fosse “infirmus”. Alla fine del discorso si legge:

“Ero già vescovo di Ippona quando andai in Etiopia con alcuni servitori di Cristo per predicare il Vangelo. In questo Paese abbiamo visto molti uomini e donne senza testa, che avevano due grandi occhi sul petto, e in Paesi ancora più a sud abbiamo visto persone che avevano un unico occhio sulla fronte”.

Le creature mostruose descritte da Agostino nel suo discorso erano piuttosto note al pubblico medievale. La maggior parte di loro era stata descritta non solo da Omero, ma anche da Plinio e in alcune leggende. Non c’è alcuna prova (oltre ovviamente a questo discorso) del fatto che Agostino si sia mai recato in Etiopia. A differenza di Paolo, non viaggiò molto. Dalle Confessioni si può infatti dedurre che temesse di viaggiare, e probabilmente era nostalgico nonché incline al mal di mare. Anche se fosse stato in Etiopia, poi, è piuttosto difficile che possa essere stato infirmus al punto da dire davvero di aver visto quelle creature.

Come indica la Boodts, “ovviamente non l’ha fatto”.

Il frammento appartiene a un discorso tra le centinaia che circolavano nel Medioevo sotto il nome di Agostino. Firmare la propria opera con il nome di un autore già noto era un modo piuttosto comune per garantire che il testo venisse letto ampiamente, e per varie ragioni storiche la cosa ha funzionato molto bene per questo discorso in particolare, che venne incluso nei famosi Sermones Ad Fratres In Eremo, il più noto falso agostiniano del Medioevo, copiato centinaia di volte (e tradotto perfino nelle lingue vernacolari) e molto più famoso della Regola agostiniana.

Ma allora Agostino credeva nei mostri?

È interessante che l’infermità a cui Agostino si riferiva spesso nei suoi testi abbia a che vedere con un tipo di mostruosità molto diverso: quello del male stesso, che trasforma un essere umano sano in uno infirmus. Agostino ripeteva spesso nei suoi scritti (in particolare nel De Genesi ad Litteram, La Genesi alla lettera) che l’uomo era stato fatto “eretto, in grado di guardare le stelle, il sole e il cielo”. Questa dimensione eretta, verticale, degli esseri umani primordiali (Adamo ed Eva) veniva compresa da Agostino come l’esatto opposto dell’infermità: l’uomo perdeva la sua statura salda ed eretta quando veniva gravato e indebolito dal peccato. E così, anche se Agostino non credeva nei mostri, aveva sicuramente una comprensione molto diretta della mostruosità in sé.

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