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Colosimo: «La coscienza europea moderna è nata a Lepanto»

Bataille de Lépante

Bataille de Lépante, Notre-Dame de Fourvière à Lyon.

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Laurent Ottavi - pubblicato il 07/10/21
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Oggi, 7 ottobre, ricorre l'anniversario della battaglia di Lepanto, il grande scontro tra l’Impero Ottomano e la Lega Santa, nel corso della quale Cervantes, l’autore del Don Chisciotte, perse la mano. Il teologo e storico Jean-François Colosimo spiega in cosa essa fu una battaglia decisiva per l’avvenire dell’Europa.

Jean-François Colosimo è un teologo e uno storico delle religioni. Finissimo conoscitore della situazione dei cristiani d’Oriente, è anche da geopolitico che evoca il senso della battaglia di Lepanto – la quale fu anzitutto una battaglia difensiva. L’autore di Le Sabre et le Turban. Jusqu’où ira la Turquie ? (Cerf, 2020), vi vede l’atto di nascita della coscienza europea, unita nella sua religione. 

Jean-François Colosimo: L’Impero Ottomano, stabilito su tre continenti e quattro mari, era la grande potenza navale dell’epoca. Dominava il Mediterraneo e non cessava di avanzare, accumulando conquiste. Dopo aver posto la propria egida sulla cristianità orientale, minacciò quella occidentale. S’impadronì di Costantinopoli e ambì a prendere Roma, per così sottomettere tutta l’antica sfera dei Cesari all’avanzata dell’Islam. Ecco che dunque attaccò Cipro. L’Europa cattolica, guidata dal papa domenicano Pio V, finì allora le proprie forze attorno alla Lega Santa, alleanza alla quale la Francia – reagendo all’ostilità delle potenze centrali che la componevano – non aderì. Il sentimento unanime, per, era che bisognava stoppare il Grande Turco. 

L’amnesia generale che colpisce la nostra coscienza storica vale anche per Lepanto. Si iscrive subliminalmente questa battaglia nel registro offensivo della crociata, mentre si trattò di un atto di strategia difensiva. Lepanto cristallizza l’incontro/scontro fra due mondi differenti per culto e per cultura – la cristianità latina e l’islam ottomano –, ma non ci fu che un solo aggressore, ovvero il sultano della Sublime Porta, per il quale la dominazione era una dimostrazione di superiorità religiosa e politica. Non comprendere Lepanto significa, a partire da ciò, non comprendere il nostro presente. 

L’Europa inflisse al Gran Turco una disfatta tanto più cocente in quanto contraddiceva il rapporto delle forze schierate. Alla fine si contò un’ecatombe: 200 navi e 20mila soldati ottomani finirono inghiottiti nelle acque greche. La Sublime Porta non avrebbe cominciato ad arretrare se non dopo la vittoria, stavolta di terra, della Lega Santa a Vienna, nel 1683. Fu però a Lepanto che venne annientato il mito della sua invincibilità: fu l’inizio della fine per l’Impero ottomano, l’evento che sbrindellò la sua certezza di predestinazione e annunciò la sua dissoluzione (anche se ci sarebbero voluti secoli). I membri della Lega Santa vi videro anche un intervento divino, ma in loro favore. Il mondo cristiano occidentale rialzava la testa. Grazie a Lepanto, Pio V restaurava l’autorità pontificia e instaurava le decisioni del concilio di Trento. Venne allora istituita una festa destinata a durare: Nostra Signora delle Vittorie. In più Cervantes, che in battaglia perse la mano, ravvivava l’ideale cavalleresco. 

La battaglia di Lepanto prefigura l’idea secondo la quale le nazioni che formano l’Europa non sono mai tanto forti come quando sono unite. Essa imparte pure la lezione per cui la genesi di questa unità è religiosa – essenzialmente cristiana e anzitutto cattolica –, prova del fatto che la secolarizzazione s’affievolisce nei fatti ma non cancella le mentalità. Quelli che ancora oggi vagheggiano di ammettere la Turchia nell’Unione europea ignorano spesso di piegarsi così alla volontà americana di una Europa debole. Essi dimenticano, soprattutto, che la coscienza europea moderna è nata appunto da una vittoria sui Turchi. In ultimo, quella battaglia definisce un assioma che toccherà il suo apogeo nel XIX secolo, prima di finire nel dimenticatoio: il controllo del Mediterraneo è indispensabile a chi, affacciandosi sulle sue rive, vuole garantirsi la libertà. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]